“Can we talk about this?” di DV8 Physical Theatre. Visto a Roma, Teatro Argentina, il 15 ottobre 2011
Li attendevo da anni, i DV8 Physical Theatre. Finché finalmente sono tornati a Roma, nell’ambito del Romaeuropa Festival, con il nuovo lavoro “Can We Talk About This?” e, nell’eccezionale location del Teatro Argentina, ho potuto finalmente comprendere quell’idea di “teatro fisico” alla base delle creazioni di Lloyd Newson, fondatore e regista del gruppo.
C’è una cosa che mi ha colpito immediatamente: la naturale unione fra un testo-reportage narrato dai performer, senza una cifra “poetica”, e la loro danza-movimento.
I temi affrontati (il multiculturalismo, la tolleranza, l’integrazione e le loro negazioni) vengono discussi con neutralità, senza prendere posizioni. Si spazia da casi famosi come le minacce a Salman Rushdie e all’autore delle vignette sul Profeta Maometto all’assassinio di Theo Van Gogh, fino a vicende domestiche molto pertinenti sulle famiglie musulmane in Gran Bretagna.
Fin qui nulla di nuovo, si potrebbe obiettare, ma la genialità dello spettacolo sta nell’apostrofare (a volte sottolineare, altre contrastare) questi discorsi con un’architettura sui movimenti che enfatizzano le differenze fra diverse culture. I performer britannici sono biondi, hanno un marcato accento british e movenze europee; gli asiatici portano barbe lunghe e il loro inconfondibile accento si accoppia con movimenti più sinuosi, più morbidi, che ricordano danze indiane. Gli africani, ancora, hanno un accento forte e si muovono con ritmi raggae e tribali.
un insieme non facile da descrivere, ma meraviglioso da vedere.
Ancora, i reportage giornalistici vedono una cronista muoversi enfatizzando le sue ossessioni e i suoi dubbi; altri pezzi sottolineano la difficile condizione della donna nei confronti dell’Islam. Frenesie e solitudini sono sottolineate negli assoli, tra cui alcuni accanto a un muro con posizioni acrobatiche e curiose. Ogni gesto in scena è una scoperta e una rivelazione. In questo magma di corpo e parola non si può non sottolineare la grande preparazione dei performer e la perfezione con cui i testi vengono recitati, senza soffrire delle numerosi evoluzioni fisiche che contemporaneamente compiono.
Un fiume di parole commentate solo da gesti, un mare di riflessioni sul multiculturalismo che diventano brucianti accuse al buonismo occidentale, a volte troppo superficiale, smascherando i luoghi comuni e consegnandoci una visione intellettuale intelligente e matura su aspetti del multiculturalismo non facili da giudicare (e che in Gran Bretagna hanno ben presenti). Discorsi che possono essere esemplificati dall’episodio di Ray Honeyford, insegnante della cittadina di Bradford, che considerava il multiculturalismo la via verso la segregazione e non verso l’integrazione. Era il 1984 e fu accusato di razzismo.
Tutto questo si può certo definire “teatro fisico”.
Li attendevo da anni, non sono rimasto deluso.
Can We Talk About This?
ideazione e regia: Lloyd Newson
assistente alla regia: Elizabeth Mischler
scene e costumi: Anna Fleischle
luci: Beky Stoddart
con: Ankur Bahl, Joy Constantinides, Lee Davern, Kim-Jomi Fischer, hyphen Kim-Jomi Fischer, Ermira Goro, Hannes Langolf, Samir M’Kirech, Christina May, Seeta Patel, Ira Mandela Siobha
Can We Talk About This? è una coproduzione Théâtre de la Ville e Festival d’Automne, Parigi, National Theatre of Great Britain e Dansens Hus Stockholm Adatto ad un pubblico 16+
fotografie: Stephen Berkeley-White Performers Hannes Langolf & Ira Mandela Siobhan
durata: 1h 12’
applausi del pubblico: 3’ 57’’
Visto a Roma, Teatro Argentina, il 15 ottobre 2011