Rodisio: per quel teatro ragazzi che (ai grandi) fa paura

I Rodisio all'Arti Vive Festival 2007|Il Cappuccetto Rosso di Rodisio|I Rodisio in Korea durante una tournée
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Il Cappuccetto Rosso di Rodisio
Il Cappuccetto Rosso di Rodisio (photo: Stefano Vaja)

Incontriamo la compagnia Rodisio a pochi giorni dal debutto, in scolastica, di “Cappuccetto Rosso”, il loro nuovo spettacolo per la prima infanzia, che il 23 novembre verrà presentato al Teatro al Parco di Parma nell’ambito del festival Zona Franca.
I Rodisio confezionano un gioiello drammaturgico che tiene inchiodati i piccoli spettatori alla loro piccola sedia, al buio. Il testo è la trasposizione fedele della fiaba, nella versione di Charles Perrault, la più antica.
La platea è di piccolissimi, alcuni hanno due anni e mezzo. Il pubblico viene avvisato con serietà da un prologo: ciò che sta per vedere è un racconto che “fa paura”, in linea con il concetto di Perrault stesso, che proprio la paura vuole insegnare ai bambini, per difendersi.

Ed è vero, il Cappuccetto Rosso di Manuela Capece e Davide Doro fa paura, a noi adulti forse più che ai piccini. Nessuno di loro infatti piange, si agita, chiede di andare a casa. Stanno composti e seri a godere dell’effetto che fa uno spettacolo essenziale, di poche parole perfettamente calibrate, musica classica che accoglie e accompagna l’emozione, tanti movimenti in un bosco di chiari scuri, fatto solo del disegno luci dello stesso Davide Doro. E sospirano sollevati, accennando qualche movimento di danza, nel momento di respiro finale, sulle note di “Meraviglioso” di Modugno.

Un pubblico così rapito, composto, serio e concentrato è raro incontrarlo a teatro, anche tra chi ha ben più di due anni e mezzo. Questo accade perché la lingua dei Rodisio è la stessa di questa platea. E’ chiaro il canale preferenziale che scorre tra gli spettatori e la scena, di altissimo livello. E quando parlo di lingua, intendo un sistema comunicativo raffinato e sostanziale, un esempio di teatro magistrale, godibile da bambini e da adulti, nello stesso momento, nello stesso luogo.

Oggi “Cappuccetto Rosso ed il lupo” sono una ballerina delicata ed un attore con una grande maschera e la compagnia Rodisio alla sua quinta produzione, con tournée mondiali.
Ma tutto cominciò un giorno da un lupo, ed una capra, che da piccoli (e grandi) teatri italiani, volarono fino in Giappone…

I Rodisio in Korea durante una tournée
I Rodisio in Korea durante una tournée

“Il lupo e la capra”: dall’Italia al Giappone perché, secondo voi, questa piccola utopia diventa uno spettacolo rappresentato in tutto il mondo?
Il lupo e la capra è una storia fortemente simbolica e semplice, ed è proprio la sua semplicità che diventa forza comunicativa in tante lingue e in tanti paesi nel mondo. Nella sua trasposizione teatrale abbiamo mantenuto una classicità che permette di essere letta universalmente.

“Il lupo è la capra” è tratto da un racconto giapponese di Y. Kimura. Come vi è capitato tra le mani?  Nella vostra tournée giapponese lo avete incontrato: che cosa è successo?
È un piccolo racconto che abbiamo scoperto molti anni fa, e ci siamo non solo subito innamorati, ma anche immediatamente riconosciuti nei protagonisti. E’ diventato per noi un racconto autobiografico.
Abbiamo incontrato l’autore la scorsa estate in Giappone. Ha assistito al debutto della versione giapponese dello spettacolo, che abbiamo realizzato con il sostegno del festival Kijimuna Festa di Okinawa.
E’ stato molto emozionante vederlo divertito e commosso. Ed ha apprezzato molto la regia, che ha mantenuto il senso più profondo e più intimo del suo racconto. Da questo incontro è nata l’idea di una collaborazione tra Kimura e la nostra compagnia, che speriamo di poter realizzare presto.

Chi sono il lupo e la capra?
Siamo noi. Sono tutti quelli che si sorprendono, che si lasciano sorprendere da pieghe della vita inaspettate. Sono tutti quelli che, anche in una notte fredda di temporale, riescono ad innamorarsi.

Come avete fatto a scegliere i nuovi interpreti? Cosa vuol dire ricostruire uno spettacolo, così intimamente legato a voi e alla storia della compagnia, in un altro continente?
Siamo stati molto fortunati. Abbiamo cercato e trovato due attori che non solo erano chiaramente il lupo e la capra, ma che erano anche pronti a lavorare con grande generosità e ascolto. In un primo momento li abbiamo fatti entrare nel testo e nella regia che abbiamo costruito, per poi far emergere le loro caratteristiche più personali e originali.
Il grande rischio di progetti di questo tipo è di creare semplicemente una copia, a volte sbiadita, dell’originale, e non volevamo assolutamente questo. Abbiamo lavorato insieme affinché il nostro spettacolo diventasse il loro, riscoprendo, dopo tanti anni di tournée, una freschezza e una purezza che ci hanno fatto bene. È stata sicuramente un’esperienza profonda ed emozionante che non dimenticheremo.

Il ‘rodizio’ è un luogo in cui ci s’incontra, ci si siede insieme intorno ad una tavola apparecchiata semplicemente, e si trascorre la serata assaggiando a rotazione piccole porzioni della cucina locale, fino a che non si è sazi. Dicono che si continua finché ce n’è. Avete fame?
Sempre, tanta.

Avete scelto i bambini come spettatori dei vostri spettacoli, sapendo che è il pubblico che più fa paura, perché? Come lavorate con loro?
Non solo fanno paura, ma ci danno un senso di grande responsabilità, indispensabile per noi. Il lavoro con i bambini è indispensabile per la costruzione dei nostri spettacoli, oltre che fondamentale per caricarci di energia e senso. C’è un’età in modo particolare che ci affascina, quella dai 3 ai 5 anni, colma di genialità, irriverenza, stupore e meraviglia. Caratteristiche che, da grandi, vanno perdute.

I temi dei vostri spettacoli non sono mai comodi, sottolineano la quotidianità e le sue nevrosi. Le favole le raccontate poco e molto spesso i vostri spettacoli non danno certezze, ma lasciano aperte domande a cui dare risposte. Come costruite il vostro linguaggio drammaturgico del quotidiano?
Cerchiamo le parole giuste, quelle strettamente necessarie, quelle di cui non possiamo fare a meno. E domande a cui non sappiamo dare risposte. Cerchiamo di leggere i movimenti quotidiani con verità, emozione e ironia.

Nello spettacolo “Storia di una famiglia e delle cose di ogni giorno” avete chiesto ai bambini che hanno lavorato con voi durante i laboratori di mettere in scena le loro famiglie, così da trovare una famiglia che non si ferma mai. Come guardate il mondo degli adulti, i rapporti familiari, ora?
È prima di tutto con grande rispetto che guardiamo ai rapporti familiari, consapevoli delle enormi difficoltà che s’incontrano nelle dinamiche quotidiane all’interno delle famiglie. Portando in tournée lo spettacolo, che della famiglia contemporanea fa una fotografia ironica e grottesca, abbiamo trovato un forte desiderio di condivisione e, ovunque, palpabile, il bisogno semplice e concreto di una riflessione.

“L’inverno” è un lavoro sull’amore che ne coglie l’aspetto poetico ma soprattutto il dramma che lo caratterizza. Lo spettacolo non è solo detto ma anche danzato; con voi lavorano attori e ballerini che hanno formazioni svariate e spesso non legate alla produzione del teatro-ragazzi canonica: perché questa scelta?
In generale siamo più attratti dagli attori o danzatori che non abbiano avuto esperienza con i bambini, che siano vergini da questo punto di vista. Per un attore il pubblico dei bambini è il più difficile, ed è proprio questa difficoltà che rende interessante il lavoro.

I Rodisio all'Arti Vive Festival 2007
I Rodisio all’Arti Vive Festival 2007

Da dove venite?
Dal palcoscenico, dal retro del palco, dai laboratori del teatro. Da dove si lavora seguendo i maestri, come i garzoni nella bottega.

Da chi vi allontanate?
Dai maestri.

Chi vi piace?
I bambini. I rivoltosi. Quelli che non sono d’accordo a prescindere.

“La Festa” è uno spettacolo che arriva a conclusione di un progetto di ricerca durato due anni e che ha coinvolto più di 500 bambini in Italia, Francia, Inghilterra, Irlanda e Giappone, come risultato di un’indagine su amore, paura e rivolta. E’ uno spettacolo coraggioso, che arriva immediatamente al pubblico piccolo e colpisce profondamente quello adulto. È successo qualcosa in tutti questi mesi?
“La Festa” è indubbiamente un lavoro estremo ed altrettanto estremo è stato il periodo di ricerca che ha portato alla sua realizzazione. Il lavoro parla della tragica fine di una dittatura, di potere e di libertà, di coscienza e di desiderio, di bene e di male. E ovviamente di rivolta. In questi due anni abbiamo incontrato molte difficoltà, ovviamente non da parte dei bambini, ma da parte di quegli adulti che, per paura e per atteggiamento iperprotettivo, tendono a censurare le parole e i temi più difficili. Solo un esempio.
Nel corso di laboratori con bambini di 8/12 anni, abbiamo utilizzato, fin dalle prime improvvisazioni, una pistola giocattolo, un oggetto fortemente simbolico. A Belfast ci è stata censurata, così come l’uso di alcune parole e situazioni drammaturgiche, rendendo impossibile il lavoro.
E’ un paradosso, se solo si pensa che proprio città come Belfast soffrono quotidianamente per la presenza di ragazzini di 10/12 anni, spesso armati e con gravi problemi di alcolismo. E’ chiarissimo che la censura e questo modo di pensare alla didattica e alla formazione, tipici della cultura anglosassone, non solo sono inutili, ma assolutamente dannosi, perché non fanno altro che nascondere il problema, fino all’implosione.
E questa visione “polite” dell’arte e in generale del mondo sta arrivando velocemente anche da noi.

Gli spettacoli sono spesso coprodotti da realtà molto diverse fra loro e dislocate in tutti Europa e non solo. Perché? Quali i vantaggi e gli svantaggi?
È proprio la lontananza e la differenza tra le realtà che ci spinge spesso a metterle insieme in progetti di per sé folli. Non crediamo ci siano svantaggi, ma solo vantaggi. E la stessa difficoltà di progettazione, in termini  linguistici e di diversa modalità di realizzazione, è in realtà un forte stimolo verso altre possibilità.

Che cosa sta succedendo in Italia? Il teatro ragazzi e la compagnia Rodisio, che cosa ci possiamo aspettare?
La cultura e il teatro in Italia vivono un momento difficilissimo. Anche il teatro per i bambini soffre moltissimo e la ricerca, un tempo fiore all’occhiello in Europa, lascia in modo sconcertante il posto all’animazione. La paura e la mancanza di coraggio riempiono i cartelloni. Il compito di chi fa il nostro lavoro, di artisti e direzioni artistiche, proprio in un momento così, dovrebbe essere quello di alzare enormemente il livello del lavoro. Noi non vogliamo accontentarci.

Dopo questi anni di fervida tournée, che cosa avete scoperto?
Che i bambini sono tutti uguali e che tutto il mondo è paese! È bellissimo sentire ridere alla stessa battuta pubblici diversi, lontanissimi tra loro per lingua, gusto e per tradizioni. Restano sicuramente indelebili i ricordi legati alla tournée in Asia e, tra tutti, i giorni che abbiamo trascorso sperduti tra le montagne del Nord del Giappone, in una regione considerata sacra perché dimora degli dei. Siamo stati ospitati dalle famiglie del luogo, con una sensibilità e una cura straordinarie. Loro non parlavano una parola di inglese e noi non una parola di giapponese, naturalmente. Meraviglioso.

Che cosa succederà dopo?
Non lo sappiamo ancora. Continueremo a distruggere. Continueremo a costruire.

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