Desh. L’ineluttabilità del destino secondo Akram Khan

Desh
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Desh (photo: Richard Haughton)
Akram Khan torna al Romaeuropa Festival, di cui è ospite sin dal 2002, inaugurando la 27^ edizione.
Non poteva che esserci una apertura migliore, con l’opportunità di assistere al nuovo lavoro dell’artista anglo-bengalese “Desh”, letteralmente “patria”.
E’ infatti nella ricerca delle proprie radici culturali che il coreografo vuole immergerci, accompagnandoci attraverso diverse esperienze autobiografiche, tratte dai suoi ricordi e dal suo immaginario.

Prima di approdare a “Desh”, Akram Khan svela di avere metabolizzato per oltre trentotto anni (la sua età anagrafica) il proprio senso di identità sociale e culturale: un imprinting che lo lega alla patria d’origine, il Bangladesh. Il coreografo è infatti nato in Inghilterra da genitori bengalesi, e in UK ha vissuto gli anni d’oro della sua ricerca coreografica, a contatto con artisti del calibro di Sylvie Guillem, Sidi Larbi Cherkaoui e Juliette Binoche, con cui ha collaborato in spettacoli presentati in giro per il mondo.

In “Desh” Akram si presenta da subito in scena in maniera molto autentica, una naturalezza così “sfrontata” da intrigare il pubblico oltre gli elaborati artifici tecnici e scenografici (alla cui costruzione si deve la collaborazione con Michael Hulls per le luci, e con il visual designer Tim Yip, artefice di magnifiche istallazioni).

Per quanto possiamo ammirare la bellezza estetica degli strumenti messi a disposizione del coreografo, quello che sicuramente emerge sono da un lato la straordinaria forza fisica e la rapidità dei movimenti, una fusione di elementi tradizionali della danza bengalese ad elementi contemporanei di floor work, e dall’altro lato la fragilità intesa come strumento di forza espressiva ed emozionale, che costituisce la cifra comunicativa dello spettacolo, e riesce a mantenere sempre alta l’attenzione del pubblico per tutta la durata del lavoro, ben ottanta minuti sostenuti interamente dal protagonista.

Emergono in “Desh” dei quadri immaginifici, storie e leggende fiabesche, particolareggiate dai dialoghi con una bambina immaginaria (la nipote), simbolo dell’innocenza nell’età infantile, cuore pulsante di una civiltà afflitta dalle guerre, e dal dialogo con il padre, immagine della maturità e della forza.
Akram è quindi espressione della forza vitale e bruta della natura, e al tempo stesso appare disarmato e indifeso di fronte all’ineluttabilità del destino.

Impossibile non sottolineare la bellezza evocativa e potente delle immagini, come il volo finale appeso ad un gancio e poi il ritorno alla realtà, lasciando sfumare il dialogo con il padre attraverso lo spegnimento improvviso dell’elica a motore.
Immagini che vengono accompagnate dalla dolcezza e dalla poesia del filo drammaturgico: di fronte al potere imperativo della storia della civiltà, l’unico spiraglio per essere liberi è probabilmente dare spazio al racconto di sé, come ha fatto abilmente e con tutta onestà Akram Khan.

DESH
direzione artistica, coreografia, interpretazione: Akram Khan
visual design: Tim Yip
musiche: Jocelyn Pook
disegno luci: Michael Hulls
ideazione: Karthika Nair, Akram Khan
scritto da: Karthika Nair, Polar Bear e Akram Khan
drammaturgia: Ruth Little
direttore tecnico: Fabiana Piccioli
produttore: Farooq Chaudhry
co-prodotto da MC2: Grenoble, Curve Leicester, Sadler’s Wells London, Théâtre de la Ville de Luxembourg, Concertgebouw Brugge, Sostenuto da Arts Council England
in collaborazione con Teatro di Roma nell’ambito di Metamondi di Telecom Italia
durata: 1h 20′
applausi del pubblico: 4′

Visto a Roma, Teatro Argentina, il 27 settembre 2012
Romaeuropa Festival 2012


 

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