Insomma a farla breve, sappi questo: ogni arte umana viene da Prometeo.
(Eschilo, Prometeo Incatenato)
Se è vero, come ebbe a dire Emio Greco, che la danza per troppo tempo è stata considerata un luogo di non pensiero, incontri come quello presentato a dicembre al DOM la Cupola del Pilastro, a Bologna, ad opera dell’associazione culturale Nexus di Simona Bertozzi, certamente cercano di smontare questa credenza fornendo sostanza all’effimero, accompagnando lo spettatore dentro il pensiero che sottende la creazione, mostrando un dietro che arricchisce di significato il percorso creativo.
D’altra parte il tracciato che Simona Bertozzi sta sempre più delineando sia nei suoi progetti di formazione che di produzione è proprio quello di un fare intrinsecamente legato ad un aspetto teorico mostrato per avvicinare alla visione, fornendo ulteriori strumenti di comprensione tramite suggestioni verbali.
Nello spazio circolare della Cupola, nudo e scarno, la coreografa ci accoglie e in ginocchio di fronte a noi, in quella che è una posizione comune dei danzatori quando si approcciano alla parola durante le prove, ci racconta il progetto a cui sta lavorando, questo “Prometeo” che, di residenza in residenza, di quadro in quadro, troverà il suo compimento nel prossimo autunno.
La seguiamo nel racconto, che evidenzia la strutturazione del pensiero creativo, dalla sua scintilla iniziale – il mito di Prometeo appunto, approcciato come metafora della trasmissione di un sapere (e quale migliore metafora di questa per un lavoro come quello del coreografo, il cui campo è appunto quello della complessità della trasmissione del linguaggio danzato?) – fino alla sua declinazione successiva: i tre quadri che finora hanno visto la luce (“Contemplazione”, “Il dono” e “Poesia”), con uno sguardo a quelli in lavorazione (“Astronomia” e “And it burns, burns, burns”), che porteranno alla chiusura del progetto.
Le parole scorrono e costruiscono la visione d’insieme: a ogni riferimento del mito corrisponde una metafora relativa alla danza stessa, alla sua conoscenza, alla sua pratica, trasmissione e invenzione continua. Al centro c’è sempre il corpo, la sua anatomia che è anche geografia, il cui paesaggio è disegnato dal gesto e dal movimento.
Scopriamo anche che il procedere a tappe, per quadri successivi, con interpreti ogni volta diversi, trova un riferimento storico e un orizzonte di riferimento nel Prometeo di Salvatore Viganò, presentato alla Scala di Milano nel 1813, coreodramma che, con un sentire già quasi contemporaneo, affidava alle masse e non più agli assoli e ai duetti la narrazione, facendo scivolare la pantomima dentro la danza.
Accompagnati così per mano dentro la creazione, assistiamo all’apertura del lavoro di residenza, che inizia già a proiettarsi verso il quadro finale del progetto, in cui verranno raccolti atmosfere e rimandi dei quadri precedenti, incanalati dentro una propria declinazione drammaturgica e coreografica.
In scena due degli adolescenti protagonisti di “Poesia” e uno degli interpreti de “Il dono”. Come ci aveva anticipato la stessa Bertozzi, anch’essa in scena, non c’è nessun motivo di composizione ma solo un intento esplorativo tra questi corpi così diversi per anatomia, età ed esperienza, un primo step conoscitivo per capire dove il lavoro potrà sfociare, cominciando a gettare le basi di una conoscenza reciproca.
E si è già subito, prepotentemente, dentro l’idea del mito: capacità derivata dalla pratica dei corpi più maturi al servizio di giovani membra scattanti, fragili nel loro cercare una strada, eppure ostinate; il loro dono è quella fiamma che la gioventù porta con sé, quella speranza che lancia lo sguardo oltre ma che è accompagnata dalla mano gentile, dalla comprensione, dalla messa a disposizione di chi più sa e comprende, nella condivisione di uno spazio, di un tempo e di un senso.
Le costrizioni imposte da burocrazia e politica, così poco propense a capire e coltivare realmente la cultura, portano però talvolta alla creazione di piccoli eventi di condivisione; e se compito degli artisti è quello di rovesciare le carte in tavola volgendo il negativo in qualcosa di positivo, Simona Bertozzi ha fatto davvero di necessità virtù, creando a Bologna un momento importante di pensiero e azione che è stato esso stesso un dono di Prometeo al pubblico.