Nel buio, tra pupille dilatate, alcoliche, spente, un led a luce rossa dà la notizia: Elektra ha 18 anni, veste di nero, ha disturbi relazionali ed è emotivamente instabile.
Lei non parla di sé. Indossa le cuffie, ha la sua musica, il suo linguaggio: techno, elettrico, sintetico; si flette al suo volere, si piega e poi torna in posizione. Come una ballerina nella sua “boîte à musique”: ha le braccia alzate, le gambe incrociate, il tulle e la crinolina le gonfiano il gonnellino. Ma il viso è serio, il trucco esasperato, un lungo nastro nero le stringe le gambe come un laccio emostatico. Nessuna emozione. Evanescenza inamidata vestita a lutto. Quello che rimane fuori è rumore. Acqua corrente che si trasforma prima in suono, poi in musica e infine in opera techno.
Il collettivo Macelleria Ettore, milanese ma ormai di stanza a Trento, propone al pubblico del Teatro Argot Studio di Roma (fino al 22 gennaio) una nuova produzione incentrata sul mito di Elettra.
La prolifica compagine si misura con il mito, e lo fa attraverso un approccio techno. E’ una rilettura contemporanea della tragedia di Sofocle, una partitura dark asciugata e spolpata da qualsiasi forma di pathos, costruita come una spirale che fonde nel suo involucro tutto ciò che la circonda: il mito, l’archetipo, la tragedia, la vendetta, la distanza, la pietà filiale, l’ossessione per il delitto, la deriva.
I due performer, i bravissimi Woody Neri/Oreste – vestito come un cyberpunk -, e Maura Pettorruso/Elettra-Clitemnestra, si muovono come automi, sono posseduti dall’atto e, come macchine, vanno avanti in una società violenta, che depersonalizza l’uomo, ormai soffocato e sventrato.
Raccolto in uno spazio volutamente circoscritto, come in un giradischi che non ha mai smesso di funzionare – come vuole lo stesso disegno scenografico di Maria Paola Di Francesco – Elektra e Oreste, anestetizzati, seguono le tracce dell’attesa e della noia, del piacere e del dolore, dell’ordine e del caos; mentre la musica non turba la pavida apatia ma al contrario la fa sprofondare ancora più nel torpore.
“Elektrika – un’opera techno” a partire dal titolo è un progetto ambizioso, con molti pregi ma anche alcuni difetti, a partire dalla drammaturgia che, in molti punti, si presenta vuota.
È interessante la volontà dell’autrice e regista Carmen Giordano di aggregare e disaggregare gli elementi drammaturgici, di promuovere l’elemento istintuale ma, nel momento in cui presenta un testo, cade nel suo intento. “Elektrika” funzionerebbe forse meglio se ogni velleità di scrittura riuscisse ad essere accantonata, lasciando solo il linguaggio dei corpi, del movimento frazionato, una partitura del corpo scenico che già di per sé è funzionale alla rappresentazione. Un corpo che si presenti nudo al pubblico, senza parole, che fungono solo da mediatore. Si potrebbe procedere per accumulazione di visioni, abbacinando lo spettatore col beat costante di Chiarastella Calconi, giovane e brava cantautrice romana che, oltre ad aver scritto le musiche originali (incise anche su cd), è presente in scena anche come coro/dj/deus ex machina, riscrivendo in sostanza il tema di Elettra solo attraverso l’immagine e il suono.
La musica emana l’inaudito – come suggeriscono le note di regia – e parla senza dire, quindi perché non tradire completamente il classico, il mito, la struttura della tragedia, eliminando completamente il testo e facendo sentire solo la potenza dei corpi?
Non si tratterebbe di estetica pura, ma di ulteriore definizione di un linguaggio di per sé già personalissimo, che va assolutamente riconosciuto a Macelleria Ettore.
Da un lato c’è la percezione visiva di un mondo isolato, addormentato, autistico; dall’altra gli impulsi elettrici della musica, che parla di dolore, mancanza d’identità, di prigionieri addormentati e distanza, che canta il silenzio ma non lo concede. Giocando con una citazione di Cage si potrebbe concludere che “I suoni se ne stanno in Elektrika per rendersi conto del silenzio che li separa”.
ELEKTRIKA – UN’OPERA TECHNO
con: Woody Neri, Maura Pettorruso
coro/orchestra live: Chiarastella Calconi
scene e costumi: Maria Paola Di Francesco
luci e audio: Gianluca Bosio
testo e regia: Carmen Giordano
durata: 1h
applausi del pubblico: 1’ 35’’
Visto a Roma, Teatro Argot Studio, il 17 gennaio 2012