Inizia con il botto il festival Giardino delle Esperidi. E non solo per la presentazione del bel libro di Giulia Alonzo e Oliviero Ponte di Pino “In giro per festival” che inaugura l’evento. Il Comune di Colle Brianza, in partenariato speciale con Campsirago Residenza, ha vinto il bando sulla riqualificazione dei borghi promosso dal Ministero della Cultura. «Il progetto Campsirago Luogo d’Arte, grazie al finanziamento di 1.600.000 euro del PNRR, entro il 2026 porterà azioni culturali e di restauro nell’antico borgo».
La notizia rimbalza tra le stanze di villa Sirtori, Olginate, durante l’incontro tra gli autori del libro, l’organizzatore del festival Michele Losi, Marco Passoni e Roberta Valsecchi (sindaco e assessora alla cultura di Olginate) ed Ettore Anghileri (vicesindaco di Colle Brianza).
Decolla dunque la riqualificazione del borgo di Campsirago. Uno tra i diciotto progetti finanziati in Lombardia. Un bando sostenuto dalla sindaca Tiziana Galbusera con Anghileri, e redatto con Marta Bertani (architetta), Edoardo Radaelli (ingegnere), Terzo Paesaggio e Fondazione Fitzcarraldo.
Losi e Giulia Castelnovo (ufficio stampa di Campsirago Residenza) illustrano i dettagli del progetto: «Nel prato di accesso al borgo realizzeremo il Granaio delle idee, manufatto architettonico sperimentale e portale manifesto di Campsirago, che sarà spazio votato alla co-creazione e all’innovazione, per progetti culturali, incontro della comunità, luogo di coworking e aggregazione. La piazza, oggi degradata, diventerà spazio pubblico attrezzato e metafora del cambiamento: luogo della comunità, degli artisti, dei turisti e viaggiatori ospitati nell’edificio rurale, che sarà trasformato in ostello. Realizzeremo un nuovo palco a Palazzo Gambassi e nella sua corte, con il main stage – anfiteatro naturale per concerti e spettacoli. La foresteria, la cucina, la sala prove e la falegnameria, l’atelier artistico e gli uffici, il forno per il pane e il pozzo, saranno lo spazio connettivo che renderà manifesta la relazione tra architettura, paesaggio e cultura, nella sua dimensione performativa e artigianale. Riqualificheremo l’antico sentiero che unisce il paese, che tornerà a essere una strada romanica accessibile e che darà valore simbolico e pratico all’antico tracciato che univa i sentieri di accesso al borgo agli edifici principali, alla fonte lavatoio, fino alla seicentesca chiesina di San Bernardo, che verrà trasformata in padiglione culturale. Una parte del parcheggio diventerà mercato, spazio di incontro settimanale con il mondo agricolo locale. E molte, molte azioni culturali».
Progetto interessante. Che inserisce Campsirago, a pieno diritto, nella “guida nomade agli eventi culturali” di Alonzo e Ponte di Pino. «Per chi ama – usiamo le parole degli autori – pensieri e parole, suoni e visioni, paesaggi artistici e umani, incontri con la bellezza e con l’altro […] Con proposte turistiche e suggestioni per mangiare e dormire: perché con la cultura “si mangia” e si fanno ripartire i territori».
Entrando invece nello specifico del festival, inizio in sordina della programmazione teatrale. “Trucioli” de Gli Omini, drammaturgia Giulia Zacchini, con Francesco Rotello e Luca Zacchini, è uno spettacolo alla chetichella. Due personaggi stanchi si ritrovano sul palcoscenico per caso e controvoglia. Ne nasce simpaticamente la fiera dei luoghi comuni, stigmatizzata dalla fiera degli stereotipi: il meridionale mangione con il figlio ciccione; il settentrionale illanguidito dal lavoro eretto a dogma; le vedove settantenni pettegole e invidiose. Un gioco che funziona se assunto a piccole dosi. Se si dilunga, diventa routine. Tanto più se la pioggia ci costringe al chiuso e al caldo.
Non va meglio con “Filmoni. Storie e canzoni sui film che cambiano la vita”, di Vittorio Ondedei e Giacomo Toni, improbabile viaggio nel cinema che non c’è stato. Lavoro di fantasia: pellicole scartate, personaggi e scene difettosi. Un po’ come i biscotti imperfetti delle grandi marche che compri allo spaccio. Qui però non c’è da lasciarsi ingolosire. I film si assomigliano tutti, a partire dalla copertina. Il meccanismo del giocattolo è presto scoperto.
Il weekend è salvifico. “Human body” di Principio Attivo Teatro è una chicca che riconcilia con il teatro, la poesia e i molteplici linguaggi scenici. Un lavoro site-specific che valorizza le bellezze architettoniche e naturalistiche di Biglio, frazione di Valgreghentino, a cospetto del lago e del Resegone. Il linguaggio del corpo. Il corpo che evolve. Il corpo come regalo di Dio, miracolo della vita, alchimia della scienza. Il corpo come voce, musica, tempio, preghiera. Il corpo come morte, che è tutt’uno con la vita: un insieme di cartoline dall’oltretomba che arrivano dalla sagacia creativa di Franco Arminio. Il corpo come tabù da ammirare ed esplorare, mito poietico, oggetto di schiavitù e sfruttamento nelle campagne del Tavoliere, come simbolo e rito sessuale, come riflessione dolorosa sulla guerra nei versi di Vassilij Grossman.
Una chiesa di campagna. Una collina di croci e scarpe. Una catasta di legna. Il bosco. Una performer in rosso. Un vecchio lavatoio. Una pioggia di fotografie proiettate su una parete. Qualche parola da sfrondare all’interno della chiesetta: per lasciar parlare le immagini. Ma vale la pena di assaporare ogni singolo attimo, ogni minima suggestione di questo canto corale delicatissimo, ideato e diretto da Giuseppe Semeraro, che lo interpreta splendidamente con Silvia Lodi, Dario Cadei, Fabrizio Saccomanno, Barbara Toma e Gianluigi Gherzi.
La natura è essa stessa performance. Senza bisogno di particolari chiose. Basta seguire in silenzio il cammino del sole. O della luna. Cercare il proprio baricentro. Snidare il senso del sacro nascosto tra gli alberi. Immergersi tra sentieri. Ammirando paesaggi bucolici. Stando attenti a dove mettere i piedi. Ma poi abbandonandosi a quei percorsi. Diventando lucertole e formiche. Ragionando come capre e scoiattoli. Facendo del paesaggio il proprio habitat naturale. Senza temerne le insidie.
Le nostre guide sono Michele Losi e Sjoerd Wagenaar. Li seguiamo nella camminata performativa “Following the Sun” che ci porta da Biglio a Mondonico, mentre il sole tramonta. E possiamo camminare nel bosco anche al buio. Con la schiena dritta tra sentieri scoscesi. Noi, soliti vacillare anche in pianura. E in piena luce.
Qualcuno lassù ci vuole bene. Arriviamo integri a destinazione. Ci attendono una focaccia, del vino e la poesia di Franco Arminio, il “paesologo” irpino che pone la letteratura accanto all’uomo comune, rifugge il concetto d’arte come nicchia, ne fa un rito rassicurante. Pensieri e parole. Geografia dei dialetti, dal bergamasco all’altamurano. Canzoni cantate con il pubblico, quelle nazionalpopolari, “Azzurro” e “Il cielo in una stanza”. Versi d’amore: «La prima volta non fu quando ci spogliammo / ma qualche giorno prima, mentre parlavi sotto un albero./ Sentivo zone lontane del mio corpo che tornavano a casa». Parole che postulano l’armonia con le cose: «Esci all’alba ogni tanto. / Passa un po’ di tempo vicino a un animale, / prova a sentire il mondo / con gli occhi di una mosca, / con le zampe di un cane».
Prima di congedarci, in attesa di risalire nel bosco, Arminio ci rivela il segreto della sua poesia: «Accarezza le cose mentre le guardi […] io guardo ogni cosa come se fosse bella. E se non lo è, vuol dire che devo guardare meglio».
Il bosco notturno ci guida, con la luce delle torce, verso “Ho sonno” rappresentazione per corpi, voci e suoni di Vittorio Ondedei e Giulio Escalona. Tra suoni amplificati, davanti a un letto pronto per dormirci, Ondedei dà il meglio di sé in un monologo di miti, riti, aneddoti, autobiografia e massime di filosofia. Uno spettacolo ilare, folle come può essere il teatro, schizofrenico come sa essere il protagonista. Che scudiscia l’insonnia con ore e ore di veglia, finché i suoi occhi arrossati, infossati, lucidi, si chiudono davanti ai nostri guardi illanguiditi, ai nostri occhi a loro volta assonnati.
Li riapriamo l’indomani, sperando che siano meno miopi di quelli dei critici d’arte che nel 1984, a Livorno, riconobbero in tre pietre svelte da qualche marciapiede sgangherato e rinvenute in un fosso i primi esperimenti scultorei di Amedeo Modigliani.
Era il centenario della nascita di Modì, genio maledetto famoso per i suoi corpi femminili intrisi di sensualità, i visi e i colli allungati, gli sguardi persi nel nulla. La Livorno del «Vernacoliere» si preparava alla celebrazione di un suo figlio rinnegato in vita, riabilitato post mortem. I fratelli Vera e Dario Durbè, curatori dell’evento, vollero agire in pompa magna, con tanto di colpo di scena. Vera ricordava la leggenda di alcune sculture gettate da Modigliani nel Fosso Reale prima di raggiungere Parigi, nel 1909. Decise di far dragare il canale. A soddisfare le attese morbose di cittadini, curiosi e addetti ai lavori, ecco la fantasia di quattro giovani che realizzarono una delle più grandi beffe della storia dell’arte. Tre buontemponi che sarebbero piaciuti a Monicelli: Luridiana, Ghelarducci e Ferrucci. Prima di loro, l’artista Angelo Froglia. Presero dei massi di pietra e, armati di scalpello e trapano, realizzarono i falsi Modì e li gettarono nel canale davanti alla draga. Quattro menti brillanti per tre teste di pietra.
A raccontare questa storia bislacca d’ordinaria arguzia toscana, Antonello Taurino, nel divertentissimo monologo “Trovata una sega”. L’attore salentino possiede la scena come un istrione. Imperversa trasfigurato. Impazza, ispirato dal rapporto empatico con gli spettatori. Interiorizza lo stile di Modì, il campanilismo di pisani e livornesi, la mordacità di quei ragazzi che regalarono all’Italia giorni d’euforia e divertimento, nell’estate assolata del 1984, tra i funerali di Berlinguer e l’ultima Olimpiade di Pietro Mennea.
Bella prova per Taurino. Che affianca al lavoro d’attore quello d’insegnante. Fortunati i suoi alunni, se è vero l’assunto del pisano Galileo secondo cui «il buon insegnamento è per un quarto preparazione e tre quarti teatro». Troppi complimenti? Forse. Volete la riprova? Non chiedete ai critici. Soprattutto quelli alla Giulio Carlo Argan. Che sui falsi Modì si giocò la reputazione.
Ultimo weekend, quello in arrivo, per questa edizione delle Esperidi. Da non perdere le due performance in mezzo alla natura di Campsirago Residenza (“Amleto” e “Hansel e Gretel”); il concerto spettacolo di Frosini/Timpano “Disprezzo della donna. Il futurismo della specie” (oggi 1° luglio alle 21 a Campsirago); lo spettacolo di poesia “Mappa dei luoghi selvaggi” di Gherzi e Semeraro (sabato 2 luglio alle 17 a Mondonico). Epilogo domenica sera a Campsirago: alle 21 con “Sergio” di Francesca Sarteanesi; alle 22 con “Le mura” di Arearea.