A firmare la regia della rilettura contemporanea del “Giulio Cesare” shakespeariano, rappresentato al Teatro Verdi di Pisa lo scorso week-end, è Andrea Baracco, che ne cura l’adattamento insieme a Vincenzo Manna.
Sulla scena campeggiano tre porte scardinate, unici elementi di un’essenziale scenografia, avanzi di un potere in rovina. Porte manovrate a vista dagli attori che, spostate, capovolte, percosse, trascinate, creano le scene che effigiano la storia degli ultimi giorni di vita di Giulio Cesare, un protagonista che non compare mai, fino alla disfatta di Filippi.
Siamo di fronte ad una partitura coreografica che si snoda su uno scenario, l’antica Roma, squarciato da luci che svelano i segreti più reconditi dei personaggi.
Una forte valenza simbolica incombe sull’intero palcoscenico. È un sublime flusso di emozioni, un perenne contrasto fra interiorità ed esteriorità, tra dentro e fuori.
Si ha la sensazione di trovarsi non soltanto in un luogo delimitato da leggi fisiche, ma in quello spazio metafisico che è la mente dei personaggi, e soprattutto dei due protagonisti dell’intera vicenda, Cassio (Roberto Manzi) e Bruto (Giandomenico Cupaiuolo) che, caratterizzati da una intensa introspezione psicologica, ordiscono il complotto contro il potere. Un potere rappresentato da una poltrona nera sconquassata, che, così come il corpo di Cesare trafitto dalle famigerate ventitre pugnalate mortali, verrà incisa altrettante volte – con un gessetto rosso – da Casca (Lucas Waldem Zanforlini), Cassio e infine Bruto.
Ad emergere è la forza evocativa delle parole, capace di far affiorare immagini di una realtà non cristallizzata in un tempo e in un luogo ma sempre attuale.
E l’attualizzazione è proprio una delle modalità relative al processo di creazione dell’intero spettacolo. La regia riesce, in maniera quasi ossessiva, a strutturare le scene come fossero le smanie di un delirio e ad indagare le dinamiche psicologiche e relazionali che vedono due fazioni contrapposte: Cassio e Bruto da un lato, Marc’Antonio (Gabriele Portoghese) e Ottaviano (Zanforlini) dall’altro.
Alcune scene di forte impatto emozionale riescono ad investire l’animo del pubblico, come ad esempio il tormento di Porzia, le cui labbra vengono cucite simbolicamente da Casca, o l’arringa di Marc’Antonio durante il funerale pubblico di Cesare, che chiama applausi a scena aperta, fino alla inevitabile morte di Bruto.
Nell’interpretazione degli attori emerge Cupaiuolo, nei panni del cospiratore suicida Bruto, che si distingue per la capacità di delineare le sfumature psichiche e corporee del personaggio.
Lo spettacolo, che inizialmente si intitolava “Ventitre” proprio per i colpi mortali inferti a Cesare, si bloccava al terzo atto. Oltre alle numerose modifiche la compagnia ha ora lavorato sull’intera opera.
Ne risulta, complessivamente, uno spettacolo sensibilmente migliorato in termini compositivi rispetto al suo esordio sia per l’intensa introspezione psicologica sia per l’interazione che si instaura tra ciascun personaggio.
Una potente rilettura, capace di scagliarsi contro lo spettatore e viaggiare nei meandri più intimi e oscuri della sua anima.
GIULIO CESARE
di William Shakespeare
con: Giandomenico Cupaiuolo (Bruto), Roberto Manzi (Cassio), Ersilia Lombardo (Calpurnia), Lucas Waldem Zanforlini (Casca e Ottaviano), Livia Castiglioni (Porzia), Gabriele Portoghese (Marc’Antonio)
regia: Andrea Baracco
adattamento: Vincenzo Manna e Andrea Baracco
scene: Arcangela di Lorenzo
consulente ai costumi: Mariano Tufano
disegno luci: Javier Delle Monache
regista assistente: Giulia Dietrich
produzione: Benvenuti srl e Lungta Film
in collaborazione con Teatro di Roma
durata: 2h 05′
applausi del pubblico: 2′ 48”
Visto a Pisa, Teatro Verdi, il 24 febbraio 2013
Splendida recensione, degna di un appassionante e travolgente spettacolo!