Il Ricardo in cerca di condanna di Angélica Liddell

Angélica Liddell
Angélica Liddell
Angélica Liddell (photo: Biennale di Venezia)

«La verità è che il grande artista cammina sulla strada del Cristo, e allora non possiam avere di certo un’arte soverchiamente allegra che aiuti la digestione di un cuor contento borghese» scriveva il pittore Ottone Rosai nel 1936.

Di non facile digestione sono infatti i lavori dell’autrice spagnola Angélica Liddell, al contempo poetessa e performer, che ha fatto il suo ingresso in Italia nel 2011 al Festival Vie e, dopo essere stata ospite del Festival Omissis di Gradisca lo scorso anno, ha ricevuto il Leone D’Argento durante questa 42^ edizione della Biennale Teatro di Venezia.

Di se stessa dice di essere una antisociale, di avere costruito la propria personalità e i propri spettacoli su ciò che più detesta, di avere una capacità infinita di odiare, e di aver scelto di lavorare con questa parte di sé.

Angélica Liddell ha 47 anni, vive sola, vede film horror, non esce, non sta con la gente, non si diverte e dice di trarre forza dal pensiero della morte.
La capacità dell’uomo di far del bene, all’autrice spagnola (chiamata con costanza: indisciplinata irriverente imprevedibile), non interessa.
Lei butta all’aria ogni tipo di censura, spegne ogni luce e lavora con l’ombra e con il male che ritiene appartenere all’uomo più del bene.

Non chiama il proprio un teatro d’avanguardia, ma un teatro vecchio antico come l’uomo.
Fa i conti con ciò che c’è di reale irregolare. Del resto, oltre ogni rigoroso sforzo della buona legge di controllarla e sedarla, la mostruosità umana è un dato di fatto, perfettamente naturale. Un modus operandi che riporta alla mente qualcosa di altrettanto antico come il mito dei Cabiri.

I Cabiri erano degli esseri piccolissimi di cui si sa pochissimo a livello mitologico, si sa solo che i miti che li riguardano furono scritti in lingua barbara, quindi arcaica, primitiva e che agli adepti, nel rito iniziatico, veniva chiesto di commettere un omicidio o un’azione atroce…

Ai ragazzi (esclusivamente maschi) che hanno seguito alla Biennale il suo laboratorio sullo stupro di Lucrezia di Shakespeare, la Liddell ha chiesto di portare le perversioni e le oscenità dei loro desideri, i pensieri malati, la blasfemia della loro corporalità, i mostri che ognuno può generare quando la ragione va a dormire e si restano a guardare le più torbide paure inconsce che vengono a galla.

L’abbandono dei parametri classici, la voglia di tralasciare il buon gusto, e le buone regole del vivere civile apre nei suoi lavori la strada all’insondabile brutalità dell’essere umano. La questione primitiva o primordiale diventa ancora più ambigua, ma è proprio qui che assume la sua dimensione massima.

Nel “El año di Ricardo” tutto questo esplode in una personale e originalissima rilettura del re folle shakespeariano. Più di due ore di vertigine, al limite della resistenza.
La Liddell incarna una sorta di pazzoide impigiamato, schizofrenico, che alterna deliri di onnipotenza a stati depressivi. Un tipo da cartella clinica, insomma.
Masochista, individualista spietato, balla e parla sfrenatamente al limite del leggibile, mostra il culo, beve birra, mangia pillole ed esprime tenerezze al suo animale da compagnia: un cinghiale impagliato; odia tutti, nessuno escluso, e ricorda che la democrazia non esiste. Individuo simbolo e sintomo dello stato e del potere, dell’umanità tutta e del suo destino di carnefice e morte.

Una immagine che calza a pennello con la diagnosi impietosa che il noto psichiatra Vittorino Andreoli ha rilasciato sull’Huffington Post riguardo il nostro Bel Paese: “L’Italia è un paziente malato di mente. Malato grave. Dal punto di vista psichiatrico, direi che è da ricovero. Però non ci sono più i manicomi”.

Ma non è il manicomio che può spaventare Ricardo, e nemmeno la morte – almeno quella altrui, impastata com’è a un corpo sofferente che lo mantiene in vita, in cui si genera il conflitto e la segreta condivisione della deformità, che diventa parafrasi dell’universo e anche della facoltà umana di dimenticarla.

Ricardo non è in cerca di redenzione, piuttosto di condanna. Ma lo sa che tutti dimenticano, e finiscono alla fine per applaudire e provare compassione anche per il più atroce dei tiranni.
Cose di una volta; e pure dei giorni nostri.

El año de Ricardo 
regia, scene, costumi e testo: Angélica Liddell
con: Angélica Liddell, Gumersindo Puche
luci: Carlos Marquerie
produzione: Atra Bilis Teatro, Iaquinandi SL
con il supporto del Governo Regionale di Madrid e dell’INEAEM del Ministero della Cultura Spagnolo

durata: 120’
applausi del pubblico: 2’ 30’’

Visto a Venezia, Teatro alle Tese, l’8 agosto 2013
Prima italiana

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