
Rientra in un progetto, o meglio un desiderio, di dialogo con la città e le sue parti più nascoste, l’iniziativa, ormai appuntamento fisso, del Teatro dei Luoghi, rassegna internazionale di teatro, danza e incontri, organizzata dai Cantieri Teatrali Koreja a Lecce.
Tutto comincia in un paesino del Basso Salento, qualche anno fa, ad Aradeo precisamente, dove Koreja decide di accendere case a corte, grotte tufacee e vicoletti con spettacoli di teatro e danza realizzati in cornici inconsuete, lontane dal circuito dell’effimero e del divertentismo che aveva scoraggiato tanti e aveva depredato artisti e spettatori della voglia di partecipare.
La rassegna funziona e si sposta a Lecce, dove trova terreno fertile in periferia, a partire dalla vecchia fabbrica di mattoni diventata la sede stabile di Koreja, per riscoprire una città partendo dai suoi margini.
Sono quasi tutti centri periferici, infatti, e l’ossimoro non è un caso, quelli scelti da Koreja per il suo Teatro dei Luoghi, che punta alla riscoperta non solo del tessuto urbano, ma anche di un modo “altro” di vivere gli spazi e di riappropriarsene, oggi che le città sono sempre più attraversate da esistenze di passaggio, solo come distanze da compiere da un punto all’altro.
È stata un’edizione speciale quella del Teatro dei Luoghi Fest 2014. Eventi, incontri internazionali, dibattiti, spettacoli d’avanguardia, ma soprattutto condivisione e scambio hanno continuato a caratterizzare il festival, realizzato quest’anno radicandosi ancora di più al luogo, anzi ai luoghi, riscoprendone di vecchi e valorizzando quelli già consueti, forse in previsione della candidatura di Lecce come capitale della cultura per il 2019.
“Un cambio di prospettiva nel rapporto tra individuo e luoghi, tra identificazione e appartenenza”: questo è stato lo scopo della rassegna, conclusasi domenica, che anche quest’anno ha penetrato spazi ordinariamente deputati ad altre funzioni vivificandoli, impiantandoci il teatro. Un gesto, questo, che non è sbagliato definire politico in una città come Lecce, che spesso dimentica di avere tanto altro da offrire al di là delle sue cattedrali barocche. Per dirla con Koreja, “molte più anime, più culture, più colori, più beni da valorizzare”.
Il cuore del festival è comunque rimasta la vecchia fabbrica di mattoni in via Dorso, sede ormai storica della compagnia, spazio composito di circa 3000 metri quadrati che fa da foyer, sala prove, mensa, videoteca, laboratorio, dove si condividono pranzi, cene, esperienze.
Ma hanno partecipato al festival anche due luoghi ordinari della cultura della città di Lecce, il Must, Museo Storico ricavato all’interno dell‘antico monastero di Santa Chiara, splendido complesso monumentale nel centro storico, e l’ex convento degli Olivetani, oggi sede universitaria, dove l’elegante chiostro è diventato palcoscenico d’eccezione.
Nella mappa degli spazi presente anche il teatro romano, gioiello nascosto nelle pieghe della città vecchia, unico esempio in Puglia di architettura civile destinata all’arte teatrale, il meraviglioso palazzo Tamborino-Cezzi, dimora storica cinquecentesca, e anche un luogo perduto della città, riscoperto nelle vesti di palcoscenico, la masseria Sant’Angelo, struttura ottocentesca al limitare di Lecce.
È la compagnia che fa gli onori di casa a essere la protagonista di questa fantasmagoria teatrale, con cinque spettacoli provenienti dalla prolifica scuderia Koreja.
Il festival ripropone produzioni collaudate, dal delizioso “Giardini di Plastica” al più recente “La parola padre”, pièce per sei attrici europee dirette da Gabriele Vacis.
Il Teatro dei Luoghi 2014 si fa poi quasi più “site specific”, con una presenza maggiore di taranta e pizzica, da “Il pasto della tarantola”, degustazione teatralizzata dei sapori tipici del Salento ‘assaggiata e gustata’ anche lo scorso anno da Krapp, all’attesa prima nazionale di “Passo a Sud”, spettacolo di ricerca coreutica e teatrale sul mistero del tarantismo, a cura della compagnia di danza popolare Tarantarte, fino a “Il giudizio delle ladre”, performance concepita per il teatro romano da Luigi Presicce e Maurizio Vierucci (in arte Oh petroleum!), a metà strada tra la video art e l’iconografia.
Anche quest’anno tutti gli spettacoli sono stati completamente diversi l’uno dall’altro. Dedicato ai più piccoli “Sogno in Scatola”, un innovativo “cartometraggio”, nuova produzione made in Koreja presentata in prima assoluta.
E come da tradizione, uno spazio importante l’ha avuto la danza contemporanea, con “Loss Layers”, del coreografo francese Fabrice Planquette, e due performance di Giorgia Nardin, tre progetti in cui il corpo, spogliato da ogni orpello, solo corteggiato da fasci di luce e colore, è stato protagonista assoluto in scena.
Altro appuntamento importante del festival è stata la prima nazionale de “Il matrimonio”, con adattamento e regia di Salvatore Tramacere, reinterpretazione libera dell’opera di Gogol. Qui il teatro si è mascherato da reality, echi purtroppo familiari di trasmissioni televisive che hanno colonizzato l’immaginario contemporaneo, hanno trionfano in scena, in un carosello di immagini e musica nella magistrale interpretazione degli attori di Koreja.
Il gran finale è infatti stato affidato a “Attenzione alle vecchie signore corrose dalla solitudine” di Beppe Rosso, uno spettacolo che chiama gli spettatori a partecipare al banchetto insieme agli attori per tessere insieme la trama dell’opera.
Un’idea, quella della collaborazione e dello scambio tra platea e palcoscenico, che non è nuova ai Cantieri Koreja, tra i più convinti promotori di quel “baratto culturale” che Eugenio Barba dell’Odin Teatret (a breve di ritorno nel suo Salento: Krapp lo sta già aspettando!) portò per la prima volta in questa terra.
A cena finita, tutti sotto gli eleganti porticati dell’ex convento degli Olivetani per “Canto d’anime – viaggio musicale tra le culture migranti”, un trionfo di voci e storie arabe, africane, italiane, russe, albanesi, una vera e propria celebrazione dell’incontro e della differenza, intesi come condizione indispensabile all’arricchimento del sé. Una sensazione che si prova spesso dopo gli spettacoli di Koreja: tornare a casa, pensando forse di conoscersi un po’ di più.
Concludiamo allora citando ancora Calvino: “Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone” o, in questo caso, da come risponde e contrasta un inevitabile, anche solo geografica, marginalità. Alla fine del festival Lecce sembra avere la forma incoraggiante di un polo culturale internazionale, aperto a nuovi scenari e opportunità. E al Sud del Sud, non è poco.