Dove va l’offerta teatrale lombarda? Quali sono gli sguardi che incrocia e da cui si fa influenzare il teatro indipendente?
Sono le domande che ci siamo posti durante la tre giorni milanese di IT – Independent Theatre Festival alla Fabbrica del Vapore, evento che ha intersecato anche Luoghi Comuni e la XXI Esposizione Internazionale di Triennale Milano. Un’occasione come sempre ghiotta per seguire le direzioni del contemporaneo, gli umori e le specificità.
In questa quarta edizione sono stati coinvolti 280 artisti che, in cinque diversi spazi, dalle 18.30 alle 23.30, hanno proposto estratti da 165 tra performance e spettacoli ancora in fieri, lavori di repertorio, studi e progetti, sotto forma di frammenti teatrali della durata di venti minuti.
Abbiamo così potuto assistere a una scelta delle creazioni di molte realtà, la più parte sconosciuta, che solitamente non troviamo nei soliti contesti teatrali e che invece qui hanno potuto esibirsi per operatori e pubblico. Un pubblico tra l’altro foltissimo e variegato, formato soprattutto da giovani, che hanno gremito gli spazi della Fabbrica del Vapore (con 91 repliche sold out), segno che portare pubblico a teatro si può e si deve.
Altra caratteristica particolare del festival è che gli artisti, diventando anche operatori, hanno gestito le sale, accolto i visitatori contribuendo alla comunicazione e all’informazione.
Ecco cosa abbiamo scelto di segnalarvi tra gli ospiti di quest’edizione.
Per la sua immediatezza e fruibilità, molto frequente è stata la narrazione, esplicata in diversi modi, quasi tutti, però, nel solco del “déjà-vu”.
In “Annabel” ballata anoressica per manichini bulli, Michela Giudici della compagnia Fenice dei rifiuti, si immedesima con bella energia in una ragazzina di 15 anni alle prese con il suo corpo, a cui vuole impedire di ingrassare; mentre Giorgio Castagna (interprete espressivo anche di un’Odissea dedicata ai ragazzi), in “Dio è morto io no”, si immette nel solco del teatro civile per narrare la storia del suo antico avo, dal nome predestinato, Giordano Bruno, membro di una comunità di lavoratori all’interno delle cave di marmo di Carrara, che per un gesto di rivolta passerà la vita in manicomio.
“Che sapore ha il miele” di Luisa Bigiarini e Alice Pavan è invece una narrazione doppia che ci fa addentrare in un universo al femminile dai mille risvolti.
Uno scarto interessante, sempre nel solco della narrazione, lo abbiamo trovato in “Albert. Ouverture” del Teatro dei Gordi, dove la figura del grande scienziato Albert Eistein si materializza pian piano sullo schermo, dialogando in modo ironico e significante con il suo controcampo reale, osservato nell’età giovanile, ben impersonato da Matteo Vitanza.
Molto più intriganti ci sono parse, nel complesso, le esibizioni di teatro performativo e danza. Teatro Presente, nato dalle esperienze dei giovani artisti con César Brie, in “The hard way to understand each other”, progetto e regia di Adalgisa Vavassori, attraverso i corpi di cinque performer, proiettati sempre in cerca l’uno dell’altro, senza mai riuscire in qualche modo a trovarsi perché ogni volta indaffarati in qualcos’altro, mette in scena in modo ironico un’umanità varia che, senza parole, si trova, si incontra e si lascia, metafora di una società sempre scissa tra pensiero e azione.
Sullo stesso fronte ma troppo serioso e pretenzioso, “La pragmatica del ciaoinvisibile”, del collettivo Vuoto del pieno: chiusi in un reticolato che alla fine si srotolerà, forse liberandoli dalla gabbia dell’incomunicabilità, i corpi dei cinque protagonisti, per altro ottimi danzatori, si uniscono e inevitabilmente si dividono, a significanza di un mondo imperfetto, rappresentato con le immancabili parole di Calvino “sull’Inferno dei viventi”.
Molto interessante il progetto interdisciplinare del Collettivo Snaporaz “Heartbreak hotel”, in cui l’hotel diventa contenitore di una serie di creazioni. Ogni creazione è una stanza diversa dell’Heartbreak e può prendere la forma di uno spettacolo, di una performance, di un’installazione… Noi abbiamo visto la stanza 304: Noemi Bresciani e Gilda Deianira Ciao sono rispettivamente cameriera e padrona in un gioco di gesti e di accompagnamenti ben calibrati e densi di significati.
Performance unica e irripetibile, la commovente “Calcografia” di Circolo Bergman: in scena lo stampatore Giancarlo Migliavacca ci fa riflettere sulla fine del lavoro come produzione di valore d’uso, eseguendo dal vivo, come in un rito, con un torchio, una serie numerata di opere che si realizzano sotto lo sguardo dello spettatore. A lui poi la scelta se prendersene cura, nell’ombra delle mezze luci.
La così detta prosa ha fatto naturalmente la parte del leone alla Fabbrica del Vapore: “Come l’acqua da un bicchiere rotto” di Ferdinando Cotugno e Piera Mungiguerra, con Marco Ripoldi e Libero Stelluti, rifacendosi a Rilke e al mito di Orfeo ci parla di una perdita, un tema peraltro assai presente in diverse creazioni, attraverso i ricordi e i sogni di due uomini che hanno perso la stessa donna, simboleggiata da un vestito che prende forma nell’aria.
Assolutamente interessante “Erinni o del rimorso” di Ortika, soprattutto per la forte presenza di due attrici come Alice Conti e Veronica Lucchesi, e per le numerose suggestioni che la messa in scena produce, anche se nei venti minuti presentati non ci sono sembrati ancora del tutto chiari i contorni di una storia che vede la protagonista entrare in una specie di depressione e da qui uscirne per intraprendere un viaggio dentro sé in cui incontrerà la sua Ombra, una specie di Erinni che la porterà alla ricerca, forse, di una possibile nuova integrazione.
Non poteva mancare la performance per spettatore solo, qui curata con misura ed attenzione da Andrea Lanza di Agave Teatro. In “Contemplazioni”, liberamente ispirato a “Ismene” di Jannis Ristos, ci porta a riconsiderare con pietà la nobile figura dell’infelice sorella di Antigone, sola, circondata dalla morte, che le sta intorno, consolata solo dallo spettatore che viene a trovarla regalandole un vaso di basilico.
La vicenda viene osservata da un punto di vista intimo, molto particolare, con risultati di profonda compassione e rispetto per un’esistenza altamente infelice.
Le nostre due giornate di teatro indipendente ci hanno quindi portato verso molte direzioni, assai diverse tra loro, che pur in un periodo di crisi testimoniano però la vitalità di un teatro sommerso che vuole a tutti i costi essere considerato e amato, con tutte le sue potenzialità e fragilità.