La vita è forse così di AMA, canzoniere salentino a Tempora Contempora

La vita è forse così (photo: Eliana Manca)
La vita è forse così (photo: Eliana Manca)

La poesia nasce nel buio. L’ombra la pervade. La parola la ravviva. La luce la riscatta da un assoluto senza coordinate. La voce la strappa all’Erebo, la libera dal Caos, ne spezza l’oblio.

Un anfiteatro a cielo aperto ci accoglie in un recesso del Museo Castromediano di Lecce, scrigno di reperti messapici e testimonianze romane. La città barocca ha ospitato la seconda edizione di “Tempora Contempora”, focus internazionale sul linguaggio del corpo nelle arti performative contemporanee con artisti provenienti, oltre che dall’Italia, da Paesi tra loro agli antipodi come Giappone, Usa, Camerun, Svizzera, Francia, Albania.

Aperta il 10 agosto da un’installazione fotografica di Alec Von Bargen, “Tempora Contempora” si chiuderà martedì 14 settembre con il film “Il nuovo vangelo”, che Milo Rau ha ambientato nell’affascinante scenario di Matera caro a Pasolini e Mel Gibson.

Il piccolo anfiteatro del Museo Castromediano accoglie “La vita è forse così” dell’Accademia Mediterranea dell’Attore (AMA), con Veronica Mele, Lorenzo Paladini, Benedetta Pati e Carmen Ines Tarantino. Il lavoro, coordinato e progettato da Franco Ungaro, con la regia e i suoni di Marcello Sambati, è dedicato alla poesia. Ha il merito di operare per sottrazione, proponendo una drammaturgia essenziale sfrondata di ogni orpello teatrale.

“La vita è forse così” dà spazio a cinque poeti salentini estranei al chiassoso Salento da movida. È di scena un’arte intima e malinconica, abbarbicata alla terra e alle radici. È una poesia diversa da quella declamata da voci stentoree o manierate in sussiegosi show autocelebrativi accompagnati da musiche leziose. È poesia di fine estate: luminosa come la giovinezza, agitata come il mare, scoscesa come gli scogli, solitaria come la notte. È cenere, che copre fragilità e ferite.

La poesia non sempre è salvifica. A volte è consapevolezza che peggiora la condizione di chi la scrive. In “La vita è forse così” la poesia è quella di cinque autori periferici eppure centrali, perché sondano la periferia esistenziale che ristagna dentro ciascuno di noi.

I versi sono quelli di Wilma Vedruccio: la sua interazione empatica, psichica, ormonale con una natura graffiante e munifica. Quelli di Claudia Ruggeri, morta suicida nel 1996 non ancora trentenne: incandescenti e disperati, densi di passione, vibranti di vuoti. Quelli di Rina Durante, che cristallizzava il tempo dentro un’istantanea: la descrizione del mare o di un paesaggio, lo smarrimento dentro una grotta o in una barchetta, scrostando la patina di un Salento da cartolina. Quelli di Vittorio Bodini, tra nostalgia, odio, amore e pennellate: di colore verde come gli ulivi, rosso come il tramonto, bianco come le case. Infine quelli di Salvatore Toma: anarchico e ribelle, malato e redento dentro una natura somma di tutte le contraddizioni.

Nei costumi di Lilian Indraccolo le tre attrici sono vestali custodi della memoria e del sacro fuoco dell’arte. Le loro tonache richiamano il marrone della terra, il rosso del vino, l’ocra della sabbia e del sole verso il crepuscolo. La figura maschile invece, camicia bianca larga e giacca slabbrata, rimanda a un’estetica bohemien, eterno mito romantico dell’artista povero e libero, artefice di una vita irregolare tra amore e culto disperato dell’arte.

Le luci e i suoni di Dario Rizzello evocano fughe oniriche, disegnano uno stordimento irreale. È a partire da quest’apnea che le performer sono cariatidi che sopportano il dolore del mondo, sono pizie e supplici, mentre Lorenzo Paladini è uno zombie invasato dentro il vento cosmico, artefice di uno stato meditativo che prepara l’incontro con un altrove divino e diabolico. A tratti tutti insieme ondeggiano come fiamma di candele, riproducendo le oscillazioni dei rabbini durante la preghiera. Oppure strisciano e affondano spalle al muro, prigionieri delle proprie ombre.

I versi biascicati affiorano lenti come profezie. Sono aliti vitali e respiri smorti. La staticità iniziale s’interrompe grazie al gioco delle voci, si sgretola nel divenire delle pose e degli sguardi che s’intrecciano a comporre un mosaico di sonorità e gesti. Cantilene e canti creano un’orchestra dinamica, avvolgente, che ci proietta in un altrove annichilente e surreale.

Apprezziamo la bellezza sottovoce di “La vita è forse così”. I silenzi risuonano non meno delle parole. Le parole diventano musica grazie alla modulazione fonica e alla capacità dei performer di approfondire gli autori affrontati.

Ungaro è il garante in disparte di quest’operazione. Le poesie non sono recitate e neppure interpretate: sono vissute in ogni parola e sensazione. I versi si alternano. Le voci rimbalzano. I soliloqui diventano dialoghi tra i performer e con il pubblico. Intrecciati con una voce fuoricampo, diventano grovigli. Le parole sono carne, e si adagiano come teste sul petto degli amanti. Sono viluppi di dita. Formano pareti. Creano gusci.

«Quattro figure con i loro confini e orizzonti con gesti contemplativi danno luogo a un teatro dove il sensibile, il doloroso e lo stupore generano il rumore di fondo dell’esistenza» (Marcello Sambati). E forse è vero che, a volte, c’è più drammaturgia in un solo verso poetico che in un’intera pièce teatrale.

“La vita è forse così” tornerà in scena dall’8 al 10 ottobre a Minervino di Lecce, nell’ambito del progetto “Culture in cammino”.

LA VITA È FORSE COSÌ
performance di teatro e poesia
regia e suoni: Marcello Sambati
con Veronica Mele, Lorenzo Paladini, Benedetta Pati, Carmen Ines Tarantino
regia e suoni: Marcello Sambati
tecnico suono e luci: Dario Rizzello
coordinamento e progetto: Franco Ungaro
costumi: Lilian Indraccolo
produzione: Accademia Mediterranea dell’Attore
si ringrazia il Museo Castromediano – Polo biblio-museale di Lecce, le edizioni BesaMuci e Musicaos

durata: 40’
applausi del pubblico: 3’

Visto a Lecce, Tempora Contempora, il 29 agosto 2021
Prima nazionale

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