L’australiana Susie Dee, regista, attrice e direttrice del teatro di Melbourne, porta alla Biennale di Venezia due lavori creati con Patricia Cornelius, una delle drammaturghe inglesi più affermate di oggi. Questo sodalizio tutto femminile, che lavora congiuntamente da trent’anni, propone un teatro ridotto all’osso, privato di ogni orpello, in cui ciò che resta, grattando sul fondo, sono protagoniste lacerate da vite piene di dolore.
Susie Dee e Patricia Cornelius indagano senza reticenze i bassifondi, le realtà marginali, le comunità ghettizzate, riscrivendo storie che siamo abituati a vedere al massimo in qualche serie tv, imborghesite, però, e rese più dolci da una patina estetizzante o sentimentale.
Per intenderci: “Love” – primo lavoro presentato – ha un’atmosfera non lontana da “Skins”, e “Shit” riecheggia la vita di “Orange is the new black”. Ma la crudezza e la violenza della parola di Cornelius, unite alla regia trasparente di Dee, organizzano un dispositivo di privazione: sottraggono allo spettatore ogni filtro teatrale e gli scaraventano addosso storie di degrado con l’impatto di un coltello conficcato nel ventre. Una narrazione efferata e spietata, che con l’informazione che diffonde conquista una portata politica. Droga, prostituzione, abusi infantili, violenza: non sono solo situazioni appartenenti ad un immaginario televisivo che non ci riguarda nella realtà, ma sono qui, oggi, tra noi.
“Love” si concentra su una fascia giovanissima: i tre protagonisti hanno 19 anni. Appena Annie esce di galera viene conquistata da Tanya, e tra le due nasce una appassionata storia d’amore. È Annie a provvedere al sostentamento della coppia, prostituendosi protetta dalla compagna, che accetta la situazione nonostante il sentimento che le lega. Arrestata a sua volta, durante l’assenza di Tanya, Annie si invaghisce di Lorenzo, anch’egli tossicodipendente, che non esista a lasciar prostituire la ragazza, promettendole amore e protezione.
La fragilità emotiva di Annie, violata in giovane età dalla sua stessa famiglia, è dilaniante. Carly Sheppard incarna il personaggio con un’aderenza sconvolgente e la sua recitazione è di una sensibilità così attenta da affiorarle nei dettagli più infinitesimali del corpo: anche in silenzio e in disparte le sue dita restituiscono con un’efficacia dirompente la droga che circola nell’esile corpo di Annie.
Tornata in libertà, Tanya si inserisce in questa nuova coppia, scontrandosi con la figura maschile di Lorenzo; i contrasti tra i due portano alla luce i turbamenti della ragazza circa la propria identità di genere.
Quest’ultimo tema riecheggia anche in “Shit”, dove si trova un altro terzetto, qui tutto femminile. Tre donne volgari, rozze, indurite e imbruttite dalla vita, tre corpi che sfuggono ai canoni estetici e culturali. Giocano, lottano e si raccontano con la stessa leggerezza di tre amiche al bar. Ma le loro sono storie di famiglie che le prendevano in affido e le riportavano in orfanotrofio, di violenze subite, di abbandoni, di gravidanze non desiderate, di carezze mai ricevute.
Torna il tema dell’identità di genere nella figura di Bobby, che rifiuta la femminilità e viene crudamente bullizzata dalle altre due. Ma nonostante i continui, cruenti attacchi che a rotazione abbattono le une sulle altre, Billy, Bobby e Sam sono una famiglia, o almeno, l’unica unità affettiva simile ad una vaga idea di famiglia che sono riuscite a conquistarsi. Ed è per questo che, all’idea che le guardie potrebbero separarle per sempre, Billy verserà le prime lacrime della sua vita – accartocciando lo stomaco del pubblico come una foglia secca.
A ben vedere, “Love” e “Shit” presentano una struttura e una partitura pressoché identiche. Scenicamente lo spazio è riscritto da un’unica soluzione carica di un forte valore semantico. Nel primo spettacolo i tre attori sostano su una piattaforma-podio piuttosto piccolo, visualizzando ogni volta l’ambiente in cui dicono di trovarsi – con un’intensità tale da mostrarlo anche a tutto il pubblico. Il rettangolo ristretto rimanda alla dimensione della cella, realtà vissuta ripetutamente dai protagonisti. Nel secondo spettacolo, invece, la scena è delimitata in senso longitudinale da un muro, la pietra di confine che separa la prigione dalla libertà, ma anche i muri di quelle strade dove le tre ragazze sono cresciute, senza il calore di una casa.
Entrambi gli spettacoli si articolano in una serie di episodi-racconti intervallati da intramezzi in cui gli attori smettono la parola e compiono azioni, rapidissime o lentissime, sostenute dalla musica e da luci che creano una atmosfera misteriosa.
La somiglianza stringente tra i due lavori a primo impatto può essere sospetta di poca creatività. Ma a ben vedere, Susie Dee si sottrae alla creazione registica tout court, concentrandosi sulla qualità – altissima – degli attori, e immolando la sua arte alla causa della narrazione: ripresentando un medesimo schema, l’attenzione è tutta veicolata sugli importanti temi trattati. La nobilissima scelta si vota alla militanza e non si può non riconoscere in questa astensione un’innegabile valore morale, etico e civile, oltre che artistico.
LOVE
testo Patricia Cornelius
regia Susie Dee
con Carly Sheppard, Tahlee Fereday, Benjamin Nichol
scene e costumi Marg Horwell
luci Andy Turner
compositore Anna Liebzeit
direttore di scena Rebecca Moore
manager di produzione Andy Turner
produttore Laura Milke-Garner
Spettacolo per pubblico adulto.
Lo spettacolo prevede scene di nudo.
Durata: 1h 10’
Applausi del pubblico: 2’10’’
Visto a Venezia, Teatro Tese dei Soppalchi, il 27 luglio 2019
SHIT
testo Patricia Cornelius
regia Susie Dee
con Peta Brady, Sarah Ward, Nicci Wilks
scene e costumi Marg Horwell
luci originali Rachel Burke
luci tournée Andy Turner
compositore Anna Liebzeit
direttore di scena Rebecca Moore
manager di produzione Andy Turner
produttore Laura Milke Garner
Spettacolo per pubblico adulto.
Lo spettacolo prevede scene di nudo.
Durata: 60’
Applausi del pubblico: 1’45’’
Visto a Venezia, Teatro Piccolo Arsenale, il 29 luglio 2019
Prima europea