La notte della Repubblica Italiana. Un corredo di trame nascoste, connivenze tra estremismo nero e servizi segreti deviati. E poi, ancora, il ruolo ambivalente della politica, l’attacco delle Brigate Rosse al cuore dello Stato. Soprattutto, la tormentata parabola di Aldo Moro nel 1978: dalla strage di via Fani del 16 marzo al ritrovamento del cadavere, il 9 maggio. In mezzo, le morti di Fausto, Iaio e Peppino Impastato.
Può il teatro raccontare un periodo così complesso? Soprattutto, può farlo attraverso il linguaggio di un musical?
Sul caso Moro sono stati fatti molti film (ricordiamo solo “Buongiorno notte”, del 2003, di Marco Bellocchio) e spettacoli teatrali (da “Aldo Morto” di Daniele Timpano a “Enigma Moro” di Roberto Trifirò).
La sfida di Gipo Gurrado, musicista che attraverso la sua arte esplora il contemporaneo, è però particolarmente coraggiosa. Perché il concetto di musical è generalmente collegato a temi leggeri; e il caso Moro è argomento minato, che rimanda a una stagione di dolori e insensatezze.
In prima nazionale al Tieffe Menotti di Milano, accompagnato dal gruppo milanese degli Odemà, da Elena Scalet e Andrea Lietti, “Piombo” di Gipo Gurrado racconta uno statista e un uomo. Ricostruisce un’epoca che sembra passato remoto, e invece è a meno di quarant’anni da noi.
Quegli anni lividi in cui ci si batteva per ideali estremi, tra scioperi, cortei, aggressioni e sparatorie, nascondono un’insidia: il rischio di cadere nel ridicolo o nella retorica. E invece questo lavoro ha convinto tutti: chi stava con lo Stato, come il magistrato Gherardo Colombo; chi, da giornalista, quei fatti li ha raccontati, come Piero Colaprico o Lello Gurrado, padre di Gipo, all’epoca redattore del “Corriere d’Informazione”; chi stava dalla parte sbagliata, come gli ex brigatisti presenti in sala, i cui nomi non citiamo per deontologia. “Piombo” è piaciuto persino a scolaresche lontane anni luce da quel clima e da quegli eventi. Si rimprovera spesso ai giovani di non avere idee. Ma il loro rigetto per la politica nasce a volte dagli eccessi sanguinari di quegli anni e dalla successiva corruzione emersa con Tangentopoli.
La messa in scena di Gurrado è complessa: telecamere in diretta, giornalista live in quinta, musica elettronica suonata dal vivo. “Piombo” sfrutta lo spazio dilatato del Menotti. La scena tripartita di Vittoria Papaleo è illuminata dalle luci livide, monocrome, di Monica Gorla.
Al centro Aldo Moro (Davide Gorla), e la macchina per scrivere con cui Mario Moretti (Enrico Ballardini) scriveva i deliranti resoconti del processo allo Stato. A sinistra la brigatista carceriera Anna Laura Braghetti (Elena Scalet) nel succinto ambiente domestico che era la prigione di Aldo Moro; a destra, immersa in un’inquieta solitudine, la moglie dello statista Eleonora Chiavarelli (Giulia D’Imperio), tavolino da salotto e telefono, gli squilli sempre accompagnati da presagi sinistri. Il filo rosso è un grande schermo su cui viene proiettata l’immagine di un giornalista (Andrea Lietti) smanioso di apparire inappuntabile, in realtà impacciato fino al grottesco. La sua lettura delle previsioni meteo diventa metafora dell’assetto politico del nostro Paese: «instabilità, nubi, addensamenti, rovesci».
Le lettere dalla prigionia di Moro, i comunicati delle Br, le interviste dell’epoca ai politici si traducono in una drammaturgia essenziale, equilibrata, refrattaria alla pomposità e alla denuncia. Ne derivano l’umana fragilità e la fermezza di Moro, le inquietudini della Braghetti, le silenziose trepidazioni della «dolcissima Noretta», come Moro chiamò la moglie nell’ultima lettera che le scrisse dalla prigione delle Brigate Rosse. In qualche modo affiorano anche le perplessità di Moretti, diviso tra l’empatia con il prigioniero e la ragione politica, che lo spinse a eseguire personalmente la condanna a morte del presidente della Democrazia Cristiana.
L’aspetto artistico che più conta in questo spettacolo è quello musicale. Gipo Gurrado supera la linea d’ombra tra la nostra epoca e gli anni Settanta in cui si colloca la vicenda. I tempi della canzone si dilatano. Le forme si destrutturano. C’è modo di esplorare gli spazi dell’interiorità umana e del microcosmo dell’individualità. Sono reiterati anche i cenni alle utopie, alle ideologie e agli incubi di quegli anni. Solo di soppiatto affiora il giudizio: in Moretti («volevo essere un rivoluzionario e sono soltanto un assassino») e nel coro finale degli operai («noi lottiamo per riuscire a costruire per i nostri figli un futuro pieno di speranza che un po’ ci assomigli, ma siamo contrari alle pistole, al sequestro e alla violenza»).
Emerge nei brani di Gurrado la volontà di superamento della forma canzone. Contrappunti acustici dialogano in maniera sardonica con i tic del mezzobusto televisivo. La dimensione elettrica convive con quella acustica. Trapela una vena intimistica e inquieta. Non mancano escursioni nel punk. Acutissima la parodia de “La libertà” di Giorgio Gaber.
Un paio di brani sono al di sotto della media, usano formule ripetitive e semplici. Ma il lavoro, complessivamente, è sorprendente per la capacità di toccare corde emozionali senza essere ampolloso e per l’affiatamento degli attori, bravi a non teatralizzare i momenti di canto e a farli entrare con naturalezza nella drammaturgia.
PIOMBO. Una canzone vi seppellirà
libretto, musiche, testi e regia Gipo Gurrado
con Enrico Ballardini, Davide Gorla, Giulia D’Imperio, Andrea Lietti, Elena Scalet,
Gipo Gurrado (live electronics, chitarre, piano), Mauro Sansone (batteria)
scene e costumi Vittoria Papaleo
luci Monica Gorla
audio Gabriele Simoni (Indiehub)
fotografie Michela Piccinini
durata: 1h 20’
applausi del pubblico: 3’ 30”
Visto a Milano, Teatro Tieffe Menotti, il 26 marzo 2017
Prima nazionale