In scena Michele di Stefano, appena insignito del Leone d’Argento per la danza alla Biennale di Venezia.
La scena è scarna, un tavolo che serve da appoggio a un computer con la web cam accesa e puntata sul pubblico, il quale diventa così spettatore di se stesso grazie alla proiezione su schermo di quanto la video camera riprende.
Si inizia il gioco, gioco della solitudine dell’uomo con gli strumenti che la tecnologia gli offre, effetti di manipolazione dell’immagine, di distorsione che permettono al corpo di contorcersi come un cartone animato, di smembrarsi e riconnettersi.
Ciò che a teatro si otteneva con effetti di luce (come non pensare ai Momix e al loro lavoro con le ombre?) ora la tecnologia lo offre tramite un software di facile approccio, che ognuno di noi potrebbe utilizzare nel chiuso della sua camera o insieme ad amici per far passare il tempo.
Su colonne sonore scelte in diretta, Michele di Stefano inventa giochi usando sapientemente gli effetti forniti dal computer; il suo essere sempre di spalle sembra però chiudere il piano di comunicazione con il pubblico, lasciandoci soli con la visione dello schermo, dove il corpo enfatizzato risulta più accattivante del corpo reale che si muove sulla scena.
Conclusi i giochi si passa alla chat, altro grande pifferaio magico della nostra era tecnologica. Una chiamata Skype e dall’altra parte compare l’interlocutore, con cui ovviamente si comunica per onomatopee; nella finzione della socialità a cui l’uso di questo strumenti ci ha abituato i due diventano Batman e Robin, senza però mai incontrarsi se non virtualmente.
Purtroppo nessuna considerazione finale questa volta ci sostiene nel dopo spettacolo, nessuna indagine a cui ci avevano abituato le tappe precedenti del progetto.
Alla risata facile generata dallo straniamento del corpo indotto dal computer, o dalla mascherata finale, non fa da contraltare nessuna riflessione che tolga dal pensiero di aver assistito a una semplice presa d’atto dello stato attuale della tecnologia, con la domanda pressante di cosa renda ciò una “cosa d’arte”, e soprattutto dove rintracciare un’idea di danza, trovandoci appunto in un contesto che fa della danza la sua ragione d’essere.
Con curiosità attendiamo quindi il laboratorio dal giorno successivo, tenuto per l’occasione da Ketty Russo, laboratorio che, come nelle precedenti esperienze, trae ispirazione dalla visione dello spettacolo.
Il laboratorio inizia con un profondo e intenso rientrare nel corpo, nell’insieme di sensazioni che travolgono solo mettendosi al suo ascolto, e prosegue spingendo i partecipanti a indagare gli stravolgimenti ottenuti dall’uso tecnologico nello spettacolo, esclusivamente partendo dalle reali possibilità corporee, non solo meccaniche ma anche sensoriali e immaginifiche, ristabilendo così, nel contrasto, il primato del corpo sulla tecnica.
E’ questo uno dei punti di forza di W4DNA LAB, per lo meno per come Ketty Russo lo esplicita: “La particolarità di questa esperienza è nel dover organizzare la conduzione di un laboratorio prendendo spunto dalla visione di una performance di un artista altro da sé. Questo ha comportato non solo rintracciare i possibili temi, ma cercare un qualche tipo di legame (nella similitudine o nel contrasto) con un pensiero sul corpo, con una poetica del corpo”.
Per tutte e quattro le insegnanti coinvolte nel progetto, la riflessione sulla visione che ha portato poi alla pratica è stata un elemento molto stimolante e fruttuoso: per Chiara Ossicini ha qualcosa del concetto labaniano di “fare-vedere-creare’ la danza, con in più una tinta originale, qualcosa di nuovo”.
Per Diana Damiani “l’organizzazione di questi laboratori è stata fonte di una crescita ed un entusiasmo incredibili ed inaspettati. L’incontro professionale e umano è stato ricco fin dall’inizio ed in continua crescita: con le altre insegnanti e con Ada d’Adamo abbiamo lavorato e chiacchierato scambiandoci riflessioni, spunti, stimoli, suggerimenti, che poi si intensificavano nei giorni successivi attraverso lo scambio di mail circolari. Ci siamo sempre sostenute ed aiutate nella ricerca di una proposta che tenesse conto di tante variabili, di tante incognite, cercando di mettere a frutto le nostre diverse esperienze, pur rimanendo assolutamente autonome nelle decisioni finali e nelle proposte elaborate”.
Maria Grazia Grosso ha sintetizzato il senso finale del progetto come “un percorso di crescita piacevole, “dinamico” nel senso che, in questa dimensione, c’è un costante ricevere e dare fatto di tantissime cose”.
Piace scoprire questo flusso di condivisione tra insegnanti quando la pratica comune del mondo formativo della danza vede spesso un antagonismo molto forte e poco produttivo.
Ma anche per gli allievi, molti dei quali hanno seguito tutti e quattro i laboratori, è stata interessante “la condizione di visione di uno spettacolo e il conseguente laboratorio, con una distanza temporale giusta”. Hanno particolarmente apprezzato la gratuità degli incontri, che ha permesso loro una costanza nella partecipazione, e la possibilità di “scoprire l’esistenza di giovani danzatori italiani di talento che non avremo mai conosciuto, se non ci fosse stata data questa occasione”.
Da parte degli insegnanti “vedere i miei allievi nelle mani di un’altra insegnante è stato veramente interessante, dandomi una distanza e una non responsabilità immediata rispetto al fare e all’aderire alle proposte, che mi ha permesso di scoprire in maniera diversa alcune sfaccettature sia delle personalità che del loro modo di imparare, che sicuramente mi influenzerà nella didattica, dandomi maggiori elementi di conoscenza e dunque di intervento didattico nei confronti di ognuno”(Diana Damiani); e comunque “tra il primo e l’ultimo incontro della serie di laboratori c’è stata una profonda trasformazione nei diversi ambiti costituenti un’esperienza di danza: relazionale, espressivo, motorio” (Ketty Russo).
Un’esperienza altamente positiva dunque per tutti; unico elemento di criticità sottolineato “il poco tempo che si è potuto dedicare alla riflessione verbale successiva alle proposte laboratoriali costruite sulle suggestioni ricavate dalle performances, dunque verbalizzazione sia sulla visione che sul laboratorio”.
Aspettiamo ora la quinta tappa, en plein air, questo fine settimana (10-11 maggio) con Adriana Borriello.
W4DNA – Waiting for DNA quarto appuntamento
JOSEPH_kids
di Alessandro Sciarroni
con Michele Di Stefan e Marco D’Agostin
produzione Corpoceleste_C.C.00#
in coproduzione con ARMUNIA/FESTIVAL INEQUILIBRIO
con il sostegno di Teatro Stabile delle Marche in collaborazione con Teatro Pubblico Pugliese/La Scena dei Ragazzi
DNA movement tenuto da Ketty Russo