Festival del film di Roma 14: da Arlecchino a Shakespeare al cinema

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Haider|Herlitzka e Pasotti in Io
Herlitzka e Pasotti in Io, Arlecchino
Herlitzka e Pasotti in Io, Arlecchino

Nuova incursione di Krapp al cinema, dove abbiamo seguito anche quest’anno – tanto per prendere le distanze, ogni tanto, dal teatro – il Festival internazionale del film di Roma.

Sempre alla ricerca di proposte in dialogo col teatro, per questa nona edizione ci concentriamo su “Io, Arlecchino”, esordio alla regia di Giorgio Pasotti (che codirige insieme a Matteo Bini). La presentazione ufficiale alla presenza del cast è avvenuta il 18 ottobre all’Auditorium del MAXXI, sede delle proiezioni della sezione “Wired – Next Cinema”.
Il protagonista del film (lo stesso Pasotti) è un conduttore di successo che sta per approdare al prime time di una tv generalista. Il padre (Roberto Herlitzka) ha fatto una scelta diversa: abita da solo in un paesino vicino Bergamo mettendo in scena il suo Arlecchino e spettacoli di Commedia dell’Arte con un gruppo di non professionisti in un minuscolo teatrino. La compagnia teatrale sono la sua famiglia e la sua vita. La verità, la semplicità e l’umanità del teatro affascineranno a tal punto il conduttore fino a una scelta radicale.

“Questo film è per me il primo giorno di scuola – afferma Pasotti nell’incontro dopo lo spettacolo, durante il quale spiega la genesi del progetto – Sono stato spinto dal fatto che la maschera di Arlecchino non abbia avuto, fino ad oggi, nessuna trasposizione cinematografica, al contrario dei numerosi personaggi shakespeariani”.

Tra gli attori spicca la presenza del bergamasco Eugenio De’ Giorgi, Arlecchino storico già direttore del Teatro Olmetto di Milano e adesso a Parigi impegnato a proseguire il suo originalissimo percorso che dalla Commedia dell’Arte e il grammelot arriva ai giorni nostri e ai temi di attualità (lo avevamo intervistato qualche anno fa). Il suo zanni è l’elemento più originale del film: quasi senza parlare riesce a sottolineare con la mimica gli episodi più importanti della storia. 

Il film, una piccola produzione ma con cast internazionale, mette al centro la maschera di Arlecchino come elemento esotico da rivalutare, strizzando l’occhio ai mercati stranieri. Il borgo, con i suoi scorci e la sua intimità, diventa man mano sempre più protagonista di quest’opera prima sentimentale, romantica, un po’ ingenua, che ha il merito di valorizzare un pezzo di storia del nostro Paese.

Un film che è “un ritorno a casa” per il bergamasco Pasotti, spinto dal “ricordo di quei sapori e di quegli odori delle origini”. “Quel piccolo paese è un posto magico – continua Pasotti – e ci piaceva l’idea che diventasse il simbolo della nostra favola”.

Una favola per cercare una via di fuga dalla crisi: “L’Italia è in un momento di povertà di contenuti terribile, la cultura viene messa in un angolo. È fondamentale recuperare la nostra ricchezza e riproporla al pubblico. Arlecchino ha la stessa età di Amleto, ma i due personaggi sono valorizzati in maniera totalmente diversa dai loro due Paesi natali”. 

E a proposito di Amleto, è proprio un adattamento “hindi” della tragedia shakespeariana a trionfare al festival nella sezione Mondo Genere dedicata alle pellicole più sperimentali. 
Si tratta di “Haider”, del regista indiano Vishal Bhardwaj, da tempo innovatore dell’opera di Shakespeare. 

Il film costituisce il terzo capitolo della trilogia shakespeariana di Bhardwaj, che in precedenza si era cimentato con Macbeth e Otello. Non è nuovo il fascino di Shakespeare per i cineasti indiani: vale la pena ricordareRoysten Abel, regista teatrale e cinematografico fondatore della Indian Shakespeare Company e realizzatore di un Otello in pellicola presentato al festival di cinema indiano River to River di Firenze nel 2003. 

Ma l’opera di Bhardwaj è a suo modo più innovativa perché utilizza i canoni estetici del cinema Bollywood: utilizza star indiane come attori, inserisce scene di musica e danza (emblematica quella dello spettacolo che riprende la famosa scena metateatrale dell’Amleto), enfatizza i momenti passionali della tragedia, cura la fotografia che diventa eccezionale.

A fronte di un’estetica pop a volte kitsch, come il cinema indiano sa essere, nei contenuti scopriamo come la follia di Amleto sia diventata politica. Il film infatti è ambientato in un contesto socio-culturale molto distante dalla storia originale: il Kashmir con i suoi conflitti religiosi nella metà degli anni Novanta. Per questo motivo Bhardway si è avvalso in fase di sceneggiatura del giornalista del Kashmir Basharat Peer.

Haider
Haider

Con “Haider” Shakespeare si rinnova ancora una volta, supera i confini e diventa eterno, complice l’unione di elementi popolari e d’autore che compongono questa pellicola originale e potente.

Buono il bilancio di questa edizione del festival: a fronte di due soli film “teatrali” abbiamo notato una buona qualità media e una pluralità di linguaggi non scontata. Concludiamo segnalando le pellicole più meritevoli tra quelle viste: “Trash” di Stephen Daldry (“Billy Elliot”, “The Hours”), appassionante atto di accusa al Brasile dorato dei Mondiali e delle Olimpiadi ambientato nelle favelas (Premio del Pubblico BNL per la sezione Gala), “Eden” di Mia Hansen-Løve, sull’ascesa e caduta della musica house garage nella Parigi a cavallo fra i due millenni, “We are young. We are strong” di Burhan Qurbani, sulle proteste xenofobe a Rostock nel 1992 in un elegante bianco e nero, e “Roma Termini”, documentario di Bartolomeo Pampaloni (Menzione speciale Premio DOC/IT al Migliore Documentario italiano) che svela con inquietante realismo le vite ai margini degli abitanti della principale stazione ferroviaria della Capitale, a oltre trent’anni da “Panni sporchi” di Giuseppe Bertolucci.

Per quest’edizione è tutto; adesso possiamo tornare a teatro…

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