Il gesto esplorato e quello gridato: Pathosformel e Dewey Dell

La prima periferia - Pahosformel
La prima periferia (photo: Pathosformel)

Come fanno i Pathosformel a tirare fuori così chiara l’anima delle cose senza vita? Dopo “La timidezza delle ossa” (il debutto della giovane compagnia, premio Ubu 2008), ecco la solitudine dei corpi svuotati di Carlo Uno, Carlo Due e Carlo Tre, manichini senza volto, carne e anima, fatti di ferro e vuoti di senso, in scena alla Fabbrica del Vapore, in prima assoluta per l’edizione 2010 di Uovo Perfoming Arts Festival.

Tre giovani uomini fanno muovere i manichini meccanici eseguendo semplici gesti, all’interno di uno spazio bianco. Un’esplorazione anatomica precisa, dettagliata, quasi maniacale attraverso lo svolgersi intenso e delicato di ogni singola giuntura.
Questo tipo di ricerca racconta un campionario prossemico svuotato del significato scontato che siamo abituati ad attribuire alla gestualità quotidiana. E finalmente succede qualcosa: il disvelamento clinico della solitudine dei corpi quando manca l’intenzione comunicativa, il bisogno di toccarsi e l’impossibilità di farlo. Il non umano ci suggerisce ciò che umano è terribilmente: la debolezza, la fragilità, la dipendenza dal tempo, dallo spazio di un corpo, soprattutto quando è solo.
Con “La prima periferia” i Pathosformel aggiungono un tassello alla loro ricerca sugli oggetti inanimati, per parlarci della delicatezza e della cura che è propria della natura dell’essere umano.

Tutt’altro approccio quello degli, ancor più giovani (e “figli d’arte” della Stoa di Cesena), Dewey Dell, ora nella scuderia della Fies Factory come i Pathosformel.
Tre Pulcinella neri molto spaventosi soffiano e danzano i cinquanta urlanti, i quaranta ruggenti e i sessanta stridenti (i forti venti provenienti da ovest che s’incontrano tra il 40° e il 50° parallelo dell’emisfero meridionale e oltre i 60° di latitudine sud) in faccia ad un pubblico stranito e un po’ impaurito fatto sedere a terra. Sette minuti di tempesta nell’atrio del palazzo della Triennale, a luci spente. Happy end con un saluto energico e prolungato fanno passare la paura e uscire un sorriso, come dopo il temporale.

LA PRIMA PERIFERIA
di: Daniel Blanga Gubbay, Paola Villani
con: Simone Basani, Giovanni Marocco
produzione: Pathosformel / Fies Factory One
coproduzione: Centrale Fies, Operaestate Festival Veneto, Uovo performing arts festival
con il contributo di Ufficio Promozione Giovani Artisti-Comune di Bologna
con il sostegno di Teatro di Fondamenta Nuove (Venezia)
in collaborazione con: Teatro Franco Parenti – Progetto Residenze e TEATRI DEL TEMPO PRESENTE, l’ETI Ente Teatrale Italiano per le nuove creatività
durata: 40′
applausi del pubblico: 3′
prima assoluta

Visto a Milano, Fabbrica del Vapore, il 20 marzo 2010
Uovo Performing Arts Festival



CINQUANTA URLANTI QUARANTA RUGGENTI SESSANTA STRIDENTI

con: Sara Angelini, Agata Castellucci, Teodora Castellucci
coreografia: Teodora Castellucci
musiche originali: Demetrio Castellucci
set e luci: Eugenio Resta
scene: Rinaldo Rinaldi
prosthesis: Istvan Zimmermamm e Giovanna Amoroso
fonica: Marco Canali
organizzazione: Simona Barducci, Alba Pedrini
produzione: Dewey Dell / Fies Factory One 2009
coproduzione Centrale Fies, Rencontres Choréographiques Internationales de Siene-Saint-Denis, Romaeuropa Festival, Uovo Performing Arts Festival
con il sostegno di NEXT/Regione Lombardia, Programma Cultura della Commissione Europea progetto Focus on Arts and Science in the Performing Arts
si ringrazia: Paride Piccinini, Anagoor, Carmen Castellucci
durata: 7′
applausi del pubblico: 1′

Visto a Milano, Palazzo della Triennale, il 21 marzo 2010
Uovo Performing Arts Festival

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14 Comments

  1. says: Gianfranco

    Buongiorno,
    credo che i Pathosformel si siano certamente divertiti a inventare e costruire i ‘tre Carlo’ da lei citati. Tuttavia non sono d’accordo con la sua analisi e sinceramente ho trovato la performance piuttosto noiosa, priva di senso (nel libro di Andrea de Jorio, da cui traggono ispirazione, l’analisi del gesto è perseguita per fini ben precisi) e anche di contenuti.
    Cordiali saluti.
    Gianfranco Cesia

  2. says: Antonella

    “Manichini senza volto, carne e anima, fatti di ferro e vuoti di senso” è in effetti ciò che ho visto. Non c’è ricerca, perché non c’è (sufficiente) studio. Non c’è profondità, perché non c’è scavo. C’è a malapena un’idea (e certamente non nell’accezione platonica). Non basta per farne uno “spettacolo”, così sterile da non aver nemmeno l’aria di essere un’occasione persa.
    Antonella

  3. says: Damiano Pignedoli

    Gentile Carolina,

    sinceramente la sua recensione dice davvero zero, oserei dire nulla o comunque imbastisce soltanto vaga nuvolaglia sulla performance dei sopravvalutatissimi Pathosformel, per tacere delle affermazioni alquanto artefatte che ci rifila circa clinici disvelamenti della solitudine dei corpi, prossemici campionari svuotati del significato scontato (OK, ma quale sarebbe?) che siamo abituati ad attribuire alla gestualità quotidiana. E poi, mi scusi, cosa vuol dire il bisogno di toccarsi e l’impossibilità di farlo? C’entra una certa incomunicabilità – che so? – pirandelliana, beckettiana, pinteriana o peggio lagarçiana? C’entra semmai la fisica quantistica (per cui il tempo non esiste, altroché dipendenza dal tempo!) o le ricerche della neuroscienza sulle associazioni psichiche scatenate nel cervello dall’impatto con la realtà tridimensionale (vedi perciò, di ritorno, la fisica quantistica)? A cosa si riferisce parlando di delicatezza e cura dell’essere umano? È lo stesso essere umano che scatena guerre, devasta l’ecosistema, genera cancri culturali con le sue tremende semplificazioni a fronte invece della complessità globale che ci attornia? o di chi ci sta parlando? Oppure meglio essere sovrumani, come sostiene quel geniaccio di Bergonzoni, che essere umani e allora quei manichini alludono ad altri esseri tutti da inventare secondo emendate cognizioni e dritte…? Insomma, sconcerta alquanto la genericità ravvisabile nella recensione in questione. Una genericità qualunquista e paludata attraverso frasi, pronomi e aggettivi messi lì un po’ per fare effetto. Per fare scena. Insomma c’illustri un po’ codesta prossemica, come faceva – per esempio – ben altra critica durante gli anni ’70 allorché era in auge un teatro visivo e concettuale a cui quello dei vari gruppetti della nuova ondata fighetta, attualmente molto di moda, pallidamente paiono rifarsi (per questo la nostalgica critica ufficiale over 60-70 va inopinatamente in sollucchero). Ci spieghi, ci colpisca un po’ più a fondo, si profondi nello svelarci i meccanismi semantici ascosi nel visibile, ci stimoli qualche pensiero scardinante. Lo spazio del resto non manca o si ha un limite di battute su KLP? Non mi sembra vista la lunghezza di altri pezzi. E oltretutto, già che ci siamo con e su KLP, la si smetta di nascondersi con il facile alibi di “pubblicare opinioni dal basso” celandosi dietro etichette-maschere tipo “spettatori appassionati” et similia. Vi invito a una responsabilità e un’attenzione coraggiosa nel fare critica, usando cioè un linguaggio appropriato, ponderato e altresì scientifico filologico preciso. Frutto, ovvero, di studio, di pensiero profondo ed elevato, complesso e ricco, propulsivo ed energico per cuore-mente-anima. La sola Passione (con annesse e connesse ricerche pregresse) è insufficiente, tanto più in quanto etimologicamente è nota la sua accezione tutt’altro che attiva bensì passiva, inerente il “patire”, il “subire” …Pathos… ahinoi!
    Nel mondo del teatro di miliardi d’anni fa, tra i ’60 e i ’70, con qualche propaggine nel ventennio seguente, la critica si fermava un poco a guardarsi e a interrogarsi sui suoi statuti e perché, sui propri codici e le proprie sfide, sulle proprie contraddizioni e falsanti ambiguità, sui propri linguaggi. Era quella che si chiamava “la critica alla critica” e ha coinciso, non a caso, col periodo forse più fecondo, straordinario e propositivo dell’oramai derelitto Teatro nostrano. Oggi chi la fa? Chi ha il coraggio di farla? “Who watches the Watchmen?” …KLP? Magari sarebbe auspicabile.

  4. says: Damiano Pignedoli

    Del resto, vi piaccia o meno, v’importi o no, avete il vostro seguito e dunque influenza, impatto e pure potere. D’altronde siamo nell’era della comunicazione “global” sicché anche l’ultimo sito internet specializzato ha un peso. Specie se si occupa di teatro, ovvero qualcosa di morto in questa nostra assurda “Terra dei cachi” nella quale rosica spazi miserabili su giornali e riviste d’attualità (in TV meglio non esserci). Difatti, vedo sempre più spesso compagnie (grandi e piccole, di fama o meno) che nelle loro mail informative – e pure su carta – appongono a bella posta il virgolettato di questo o quel recensore purchessia, tratto da questo o quel giornale stampato od online purché se ne parli e, dunque, se ne venda. Poiché si sa che i direttori artistici di teatri o festival, gli addetti e operatori vari, i teatranti stessi – e per carità! ci mancherebbe – non riescono a vedere tutto quello che la scena odierna offre. Sicché anche le vostre pagine, le righe scritte dai vostri critici (non “spettatori appassionati”) incidono, giacché sono lette da costoro. E un piccolo riscontro in tal senso ce l’avete. Sennò non si capirebbe perché, ad esempio,
    – una Margherita Palli rimostri per un Premio Ubu in più o in meno rimasto per strada nel dialogo fra Giurato & Faziosa di KLP;
    – Rezza s’incazzi (giustamente) in quanto lo si vuol agganciare per forza alla realtà sociale circostante, quando piuttosto è il critico ad aver bisogno di puntellarsi a essa per tirar fuori argomentazioni degne della complessità deformante del duo Rezza-Mastrella;
    – Loredana Scianna, da danzatrice-performer avvertita e seria qual è, rimproveri una speciosa e greve leggerezza d’analisi oltre a un’ambiguità d’atteggiamento linguistico di fronte invece a lavori d’arte bisognosi d’esser penetrati con adeguatezza di mezzi e presupposti, unitamente a un minimo d’umiltà (che non è la modestia…);
    – Langiu puntualizzi subito alcuni aspetti a difesa del proprio lavoro, in quanto ancora in progress, anche lì però rilevando l’imprecisione e la genericità di talune notazioni;
    – De Dominicis (e chiudo) si accalori oltremodo di fronte ai vostri commenti light all’indomani dei Premi Ubu, facendo via via sbalzare sullo sfondo (forse, troppo sullo sfondo…) dei suoi toni accesi dei problemi autentici vizianti l’italica critica d’adesso: cioè, di nuovo, la superficialità e povertà culturale del linguaggio di essa, la sua sostanziale irresponsabilità verso chi legge, le implicazioni economiche (e pertanto di potere, di connivenza col Sistema) a cui è connessa nel riferire di uno spettacolo.
    Egli fu bollato in maniera indegna e intellettualmente piccina di sterile invidia, glissando de facto su tale nucleo rovente di argomenti. Problematiche invece riguardanti in toto l’attuale Critica nostrana, sia o no professionista, la quale dura fatica a scorgerle perché c’è dentro tutta quanta fino al cranio. Voi compresi.

    KLP fornisce davvero un copioso novero di documenti, materiali e informazioni. Ne siete fieri e ne avete ben donde. Però, via la maschera adesso! E su con Responsabilità Attenzione e Complessità di visione: questo è autentico Coraggio! di fronte all’improvvisazione, al pressapochismo, al semplificante chiacchiericcio imperante. Scrivere e poi pubblicare, anche o proprio perché privi di peli sulla lingua, non è affatto coraggioso. Rischia di essere solo inutile vanteria, “vanità di vanità”, mera sfrontatezza populista.
    Una volta chiarito tutto questo, niente vieta la prosecuzione del tono simpatico e vagamente amicale, da Bar Sport, che rivendicate. Nessun problema, ma giocate pulito.
    Occhi-testa-cuore limpidi, e scrittura fina.

    Buon lavoro e saluti.

    Damiano Pignedoli

  5. says: Carolina Truzzi

    Damiano,

    provo a rispondere alle domande dirette a me personalmente nella tua invettiva.
    “prossemici campionari svuotati del significato scontato (OK, ma quale sarebbe?)”. Il significato scontato che si attribuisce al gesto quotidiano a cui non diamo attenzione. Nel momento in cui viene analizzato e isolato e può assumerne di nuovi. Questo è il lavoro che i Pathosformel hanno fatto con i laboratori La collezione, che hanno portato allo spettacolo La Prima Periferia.
    “E poi, mi scusi, cosa vuol dire il bisogno di toccarsi e l’impossibilità di farlo?”. Significa che i manichini non sono umani, ma solo animati. Per questo non possono interagire perché privi del senso del tatto. Questo però è una metafora di quello che sempre più accade a noi, che invece siamo essere umani, ma soli, spaventati dal contatto e dal confronto con l’altro.
    “C’entra una certa incomunicabilità – che so? – pirandelliana, beckettiana, pinteriana o peggio lagarçiana?” No.
    “C’entra semmai la fisica quantistica (per cui il tempo non esiste, altroché dipendenza dal tempo!) o le ricerche della neuroscienza sulle associazioni psichiche scatenate nel cervello dall’impatto con la realtà tridimensionale (vedi perciò, di ritorno, la fisica quantistica)?” No.
    “A cosa si riferisce parlando di delicatezza e cura dell’essere umano?”Penso che sia connaturata nell’uomo un’inclinazione alla cura per se stesso e per l’altro che i Pathosformel evocano perché è una loro cifra stilistica, lavorando però con oggetti inanimati. Questo tipo di cura è però sempre più, secondo me affossata dalla violenza e dalla frenesia del nostro mondo e, personalmente, mi commuove che i Pathosformel riescano a metterla in luce così chiaramente.
    “È lo stesso essere umano che scatena guerre, devasta l’ecosistema, genera cancri culturali con le sue tremende semplificazioni a fronte invece della complessità globale che ci attornia? o di chi ci sta parlando?” Sì, pieno di contraddizioni. Parlo dell’uomo.
    “Oppure meglio essere sovrumani, come sostiene quel geniaccio di Bergonzoni, che essere umani e allora quei manichini alludono ad altri esseri tutti da inventare secondo emendate cognizioni e dritte…?” Non è questione di sovraumanità, il punto, secondo me è un altro e cioè il fatto che utilizzando manichini i Pathosformel puntano l’attenzione sulle debolezze umane in modo più chiaro. Proprio perché asettico, Questo può piacere o meno, ma il metodo, per me è indiscutibile.
    “Ci spieghi, ci colpisca un po’ più a fondo, si profondi nello svelarci i meccanismi semantici ascosi nel visibile, ci stimoli qualche pensiero scardinante. Lo spazio del resto non manca o si ha un limite di battute su KLP?” Damiano, ora una domanda te la faccio io: di che cosa hai bisogno tu, per essere colpito più a fondo? La prossima volta ci proverò.

  6. says: Damiano Pignedoli

    Carolina,

    felice di leggere che delle idee e delle suggestioni critiche con un minimo di base argomentativa ci sono. Spiace ci sia voluta una sferzante e sanamente provocatoria missiva/invettiva per tirarle fuori in parte, quando sarebbe stato opportuno vederle già riportate e articolate nella recensione, nella quale compaiono frasi ad effetto e generiche, valide semmai per un comunicato stampa (e non è la prima volta che riscontro ciò… vedi un mio duro commento al pezzo sull’Andersen Project di Lépage). Ma per questo, appunto, ci sono gli uffici stampa preposti. Perché allora abdicare all’importanza del proprio ruolo, per piccolo o grande che sia? Perché svolgere il compitino della scrittura chiamando in causa nel giro rapido di poche righe espressioni e termini forbiti, colti, di bell’aspetto senza svilupparne nello specifico i rimandi? Così è solo parlarsi addosso e non, nella fattispecie, un dinamico parlare d’un lavoro d’arte e inventiva che deve provocare scosse: nella testa del cuore e nel cuore della testa stimolando una crescita emotiva e mentale delle persone.
    È una questione di Etica e anche di Politica Culturale, cavolo!, in una “Terra dei Cachi” dove il Pensiero e la Cultura si cerca di sopprimerli senza tanti complimenti, dietro la facciata di chissà quale alternativa d’italica rénaissance utilizzando, appunto, paroloni e forme altisonanti (“La giornata mondiale del teatro”…). Capisci?
    Tu invece hai una bella occasione e anche un tuo spazio di Responsabilità per rendere vivo il paese teatrale. Il nostro asfittico teatro ha bisogno di idee, vivezza di stimoli ponderati e, talvolta, altresì sanamente provocatori altrimenti è spacciato (un solo lustro di predominio televisivo l’hanno corroso). Questo richiede un coraggioso esporsi e certamente la fatica dell’applicazione. Per cui o le critiche sono argomentate, riccamente connettive in virtù di suggestioni liberate ad affrontare gli ardui cammini della complessità – per arrivare, grazie a un’elaborazione attiva, a una semplicità ariosa di slanci emotivi e intellettuali – sennò sono inutili. E contestualmente, o solcano tracce produttive di direzioni, scavando a fondo e ambendo al contempo alle vette, scardinando costruttivamente – sì da riaprire i POSSIBILI della visione e della creazione – sennò servono solo a coprire spazio sul web e a raccogliere la pubblicità.
    A leggerla ammodo, la mia invettiva è un’apertura di credito a KLP e a te. Dopo aver fatto crescere molto bene il progetto quantitativamente, ora è il momento di farlo crescere qualitativamente ponendo cura e attenzione davvero ai contenuti. Giacché, siete liberi, non avete addosso certe cogenti scadenze e limiti di spazio di quotidiani e settimanali o mensili, siete giovani e appassionati, quindi presumo freschi di visioni e prospettive fuori da schemi preordinati e anchilosate logiche di Sistema dove, in genere, chiunque ha paura di pestare i piedi a questo e a quello. Fatele quindi valere tali potenzialità, non accontentatevi di analisi facilone e speciose.
    Per chiudere, di cosa ho bisogno per essere colpito? Be’, restando in argomento, le considerazioni scritte nella tua replica già colpiscono la mia curiosità per uno spettacolo che son stato impossibilitato a vedere e che, dovessi riuscire a recuperarlo, vedrò probabilmente con occhi più aperti e vispi grazie a te, alla tua risposta (non alla tua recensione…). E poi perché colpire solo me? I primi due commenti qui sopra riportati non sembrano granché soddisfatti…

    Ti saluto e ti ringrazio.

    Damiano

  7. says: Carolina Truzzi

    Damiano,

    Cerco di essere sempre sintetica in ciò che scrivo perché non mi piace l’inutile spreco di parole che mi sembra sempre, in realtà, un modo per parlarsi addosso e girare intorno alle cose.
    Ma questa è una questione di gusti. Altro conto è se sono risultata superficiale e sbrigativa e questo mi
    dispiace molto.

    Mi dispiace se non sono riuscita ad ottenere l’effetto che volevo: centrare il punto della situazione sinteticamente e chiaramente. Forse ho dato per scontate troppe cose (anche se credo che alle persone che hanno scritto non sia piaciuto lo spettacolo in sé, oltre che la mia critica).
    Non cambierò la mia ricerca sulla brevità, perché mi interessa dare delle suggestioni di quello che vedo proprio con le frasi d’effetto che a te non sono piaciute piuttosto che perdermi in rimandi e fiumi di parole. Ho la fortuna di avere uno spazio e qualche lettore, non voglio sprecare questa occasione proprio cercando un nuovo linguaggio e proprio perché sono altri i riferimenti e gli spazi della critica (e del teatro) tradizionale. Cerco sempre di vedere gli spettacoli con attenzione, mi documento e studio tanto prima di scrivere e di certo proverò a non dare alcune cose per scontate e a far uscire di più questo aspetto, la prossima volta.

    Buon lavoro a te

    Carolina

  8. says: Antonella

    Scrivo perché mi sento chiamata in causa.
    Poiché non avevo capito che l’articolo sul lavoro dei Pathosformel fosse una critica (intesa come “recensione”) ho sentito la necessità di esprimere un mio parere da semplice spettatrice su uno spettacolo che avevo visto e che non mi aveva convinta.
    Il linguaggio è sostanza e costruisce un contenuto. La “brevità” di un articolo non dovrebbe essere a scapito dell’argomentazione, che deve essere visibile. Solo così si fa sintesi. La posizione “critica” dell’autrice del pezzo l’ho capita solo nelle sue risposte sollecitate dalle domande precise poste dall’interlocutore. Le avessi lette prima, probabilmente non sarei intervenuta. Tutto qua.
    Grazie e saluti

  9. says: Damiano Pignedoli

    Carolina,

    apprezzo le conclusioni a cui giungi nelle ultime due righe. Son le premesse che mi lasciano perplesso, in quanto sostanzialmente contraddittorie. Resto dunque con la sensazione tu non abbia inteso quanto ho scritto, benché mi pare d’esser stato chiaro. Solo pochi esempi e la chiudo qui:
    chi ha parlato di spreco di parole? Io parlo di ARGOMENTARE.
    Argomentare articolando pensieri, contenuti e altresì evocative suggestioni, liberando idee e (certo!) emozioni, ti pare spreco di parole? Se lo si riesce a fare sinteticamente, magnifico!, ma se si paluda la brevità con termini altisonanti – un po’ supponendo che l’abito faccia il monaco – dandone per scontata un’implicita comunicativa, girando attorno a delle frasi vaghe e generiche per quanto brevi, vi è uno spreco di parole lo stesso. Non trovi? E pertanto non è affatto una faccenda di gusti, bensì di merito delle questioni che si affrontano per sviscerarle o meno. Offrendo o meno suggestioni di quello che si vede.
    Chi dubita della tua preparazione e dei tuoi seri studi? Io no di certo. Però se tu mi scrivi di prossemica – che pure so cos’è e ho studiato – buttandomela lì senza “centrarmela” (appunto) con qualche breve argomentazione inerente a quanto si analizza, la suggestione che sorge (se è questo che si cerca) è di vacuità e ostentazione fine a se stessa, non al lavoro di ricerca dei Pathosformel.
    Capito cosa intendo? Dopodiché, legittima la scelta di continuare una ricerca sulla brevità. Sia densa di comunicativi, limpidi e utili risultati.

    Buona Pasqua.

    Damiano

  10. says: Carolina Truzzi

    Cari Damiano e Antonella,

    ho afferrato il punto e spero, la prossima volta di fare meglio. Vi ringrazio per la grande attenzione che mi avete dedicato e vi auguro Buona Pasqua.

    Carolina

  11. says: michelle

    ma tu dici a tutti che infiorettano le recensioni di paroloni e termini a effetto e poi il tuo commento impiega 33 righe per esprimere un solo concetto? Se scrivi “pirandelliana, beckettiana, pinteriana o peggio lagarçiana” pensi che chi non conosce questi quattro autori abbia chiaro il tuo concetto? Mah.

  12. says: Damiano Pignedoli

    A) Io infatti mi sono rivolto a chi ha scritto la recensione che, in quanto specialista della materia (e scrivendo su un sito di teatro), sa o può sapere benissimo a chi o cosa mi riferisco e dunque spiegarlo ai lettori poi.
    B) La mia era una missiva/invettiva volutamente sferzante e che intendeva sanamente provocare, come mi pare abbia fatto… Ovvio che i 4 autori racchiusi nella provocazione virgolettata da te citata, una volta ipoteticamente ammessi in un’analisi, andrebbero un minimo spiegati e argomentati nell’articolare il brano.
    C) Che c’entrano le mie povere 33 righe e il mio ermo concetto alla fine di quelle? Non era una recensione, era una lettera, un mini-pamphlet con un che di costruttivo benché espresso in termini accesi e secondo uno stile ad hoc. In un post, peraltro, aperto e senza vincoli di spazio imposti.
    D) Già… “Mah”.

  13. says: Alessia Raccichini

    Gentile Damiano,
    anche se Pasqua è passata da un po’ spero che legga.
    In merito all’intervento di Loredana Scianna che cita più o meno alla riga 17 della parte 2 della sua “sferzante e sanamente provocatoria missiva/invettiva” diretta alla collega Truzzi, la invito a postare un commento nell’articolo corrispondente.

    Le lascio il link:
    https://www.klpteatro.it/index.php?option=com_content&view=article&id=923:barok-andless-recensione&catid=66:2009&Itemid=119

    Non so se è aggiornato ma dopo il commento della Scianna le cose sono andate molto avanti, sono stati postati ben altri commenti e se vorrà potrò confrontarmi con lei sia in merito al minimo di umiltà che reclama da chi scrive, sia circa il “porsi” di certi lavori d’arte bisognosi di essere penetrati con adeguatezza di mezzi, oltre a tutta una serie di interrogativi e macro-dubbi che vanno ben oltre i singoli spettacoli che li hanno sollevati e che ho cercato di riferire nell’articolo in maniera “sferzante e sanamente provocatoria”. Capirà, talvolta occorre esserlo un po’ sferzanti e provocatori. Questo confronto con la Truzzi non lo dimostra?

    È una speranza la mia.
    Saluti

  14. says: NonSonoUntipettoCostruttivo

    Caro Damiano, apprezzo molto lo sforzo (stile e contenuti), ma – come avrai capito da te – la Truzzi davvero non ce la può fare, per non parlare di Michelle…
    Ma grazie, grazie per averci provato.
    Io non sarei stata capace di tanto ottimismo.

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