Il Giulio Cesare di Teatro dei Venti. Abitare Utopie nelle carceri dell’Emilia Romagna

Giulio Cesare (ph: Chiara Ferrin)
Giulio Cesare (ph: Chiara Ferrin)

Stefano Tè firmerà la regia di tre opere di Shakespeare con attori detenuti in progetto per il biennio 22/23

“Amici, romani, compatrioti, prestatemi orecchio; io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa; e così sia di Cesare”.
Quante volte abbiamo ascoltato, a teatro o al cinema, il famoso compianto per l’amico Giulio Cesare, da poco assassinato dai congiurati capitanati da Bruto e Cassio, espresso da Marco Antonio nella tragedia di William Shakespeare… Basti pensare a Marlon Brando nel celebre film di Joseph L. Mankiewicz, o ricordiamo anche “Cesare deve morire” di Paolo e Vittorio Taviani, tra l’altro ambientato in carcere e recitato da Giovanni Arcuri nel cortile di Rebibbia.
Eppure mai ci saremmo aspettati di sentirlo dal vivo proprio in un carcere.

Questo è invece accaduto nella casa circondariale di Modena con “Giulio Cesare”, prima parte di una trilogia scespiriana presentata nell’ambito del progetto “Abitare Utopie” che, insieme ad “Amleto” nel carcere di Castelfranco Emilia e a “Macbeth” come radiodramma registrato nei due istituti di Modena e Castelfranco, il Teatro dei Venti ha in animo di allestire nel biennio 2022-2023, sempre con la regia di Stefano Tè.

E’ una versione in qualche modo ancestrale, quella che vediamo in scena del capolavoro del Bardo, dal sapore giapponese, con gli attori detenuti vestiti di un kimono bianco e nero da Aikido, e con il solo Marco Antonio di rosso vestito (unico interprete professionista Dario Garofalo), con cui gli altri si sono proficuamente confrontati.

La profezia delle Idi di Marzo, le ragioni di Bruto, Cassio e Casca, l’ultimo incontro con Calpurnia, la morte di Cesare senza alcuna esibizione di pugnali, i discorsi intorno al suo corpo inerte, i dissidi tra i congiurati, la battaglia di Filippi, generata con la sola corsa battente di tutti gli attori sul palco, le loro morti: ogni cosa è posta in sottrazione e unicamente la parola conta, mentre la viola di Irida Gjergji accompagna tutta la vicenda, acuendo l’espressività dei fatti senza invaderla.

E’ una parola nitida, che si colora ogni volta di accenti diversi, a seconda delle nazionalità degli attori detenuti, che si riverbera emozionalmente nel nostro immaginario, cogliendone anche attraverso piccole imperfezioni tutti i significati di riscatto che il teatro può offrire per uscire – anche solo con la fantasia – da quelle sbarre che li tiene rinchiusi.

Tutto ciò accade senza forzature né accademismi, senza che il regista entri in scena: anzi, è con estrema pudicizia che alla fine si affaccia sul palco, stretto e lungo, che divide gli spettatori, i quali sembrano abbracciare lo sforzo degli attori impegnati a studiare parti lunghe e difficili da riproporre, gesti e movenze, risposte corali, poste all’unisono.

Ancora una volta, dopo la stupefacente “Odissea” a cui abbiamo assistito l’anno scorso nel carcere di Castelfranco Emilia tra centinaia di conigli colorati, sempre operata da Teatro dei Venti, i detenuti diventano con il loro corpo e con la loro voce protagonisti di uno spettacolo che si porge allo spettatore come qualcosa di più, un’esperienza che si manifesta come un vero e proprio rito. Una prova modulata non solo dai doverosi accorgimenti per entrare in un luogo del tutto particolare, ma soprattutto da ciò che abita la scena con quei corpi, con quelle voci, di cui si comprende l’essenza più intima senza che alla fine importi più a chi possano appartenere.
In questo modo “il bene spesso sepolto” si fa presente in tutta la sua carica dirompente, manifestato attraverso il teatro.

Per chi volesse approfondire l’esperienza del teatro in carcere e le particolarità dei suoi interpreti è appena uscito per opera del Coordinamento Teatro Carcere dell’Emilia Romagna un interessante quaderno a cura di Cristina Valenti con diversi contributi, dall’emblematico titolo “Il nuovo attore”, contenente anche un focus sul “Teatro in carcere al tempo del Coronavirus”.

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