Nei segreti di zio Samir, il viaggio di Lumen da Tunisi a Genova

Mio zio Samir (photo: Lucia Cirillo)
Mio zio Samir (photo: Lucia Cirillo)

Così vicine, così lontane. Tunisi e Genova, crogiuoli di popoli e culture. Dedali di strade, vicoli e viuzze. Antichi edifici dalle architetture similari. Mercati pieni di vita e colori. Il Mediterraneo a separare e unire le loro storie millenarie. Due città dalle atmosfere affascinanti, con un passato di dominio sui mari, dalla Roma repubblicana al Basso Medioevo.
Tunisi e Genova, turbinii di genti, baraonde di merci e profumi: tanto affini che a volte è difficile coglierne le differenze.

Al crocevia tra queste due realtà, il drammaturgo Roberto Scarpetti (noto per “Viva l’Italia, le morti di Fausto e Iaio”, regia di César Brie) ambienta “Mio zio Samir”, che la Compagnia Lumen ha portato in scena a Milano a Campo Teatrale.
La pièce è la storia di Jamal, 28enne tunisino impiegato delle poste che si reca a Genova per incassare l’eredità di uno zio materno partito anni prima per l’Italia e mai più tornato. Per Jamal si apre il dilemma se rimanere in Europa seguendo le orme di Samir, magari fermandosi ad abitare nella sua ricca casa, oppure assecondare il richiamo della terra natale. Perché i luoghi, a volte, ci cambiano.

Genova ricorda Tunisi per l’allegria di voci e accenti nelle vie del centro a forte presenza araba, tra emarginati, prostitute e marinai. Al tempo stesso, graziosa e disincantata, Genova guarda all’Europa per i larghi viali alberati ottocenteschi, lungo cui si affaccia la quotidianità di una borghesia compassata e bigotta. Le persone che Jamal incontra sotto la Lanterna non sono ostili: un docente collega dello zio all’università lo accoglie con affetto; Chiara, una giovane agente immobiliare, cerca di aiutarlo a vendere la casa e i mobili. Tra i due ragazzi sembra persino nascere l’amore.
A spaventare Jamal, piuttosto, è la burocrazia tentacolare. Lungaggini e tortuosità kafkiane lo riportano sul punto di partenza ogni volta che sta per afferrare l’imponente eredità dello zio. E poi c’è un segreto nella vita di Samir, forse la ragione che l’ha trattenuto così a lungo lontano dall’Africa.

Come nel precedente “Falafel Express”, stessa collaborazione tra Lumen e Scarpetti, al centro di “Mio zio Samir” c’è la multiculturalità. Ma qui manca ogni ombra di razzismo. In modo delicato, nascosto tra le parole come un palinsesto di pergamena, affiora un cenno ad altre diversità tutto da interpretare, che scava un solco tra la cultura d’approdo di Samir e quella di provenienza.

Minimalista e sognante la scenografia scelta dalla regista Elisabetta Carosio. Sullo sfondo gli acquerelli di Paul Klee. Scorrono le luci sublimi e variegate di un viaggio leggendario compiuto dal pittore svizzero in Tunisia nel 1914. Con cent’anni d’anticipo, in direzione opposta, questo viaggio da mille e una notte tra suk, vicoli e solitudini lunari è una sorta di controcanto per immagini della storia narrata nella pièce. La regia cinematografica spazia tra presente e passato, con vari flashback.

Sul palco, una calca di sedie e suppellettili coperte da un cellophane, che variamente scomposte e ricomposte diventano infine una sorta di destriero su cui Jamal si siede come un sultano. L’idea del viaggio è data da una nave in miniatura bianca, in apertura e in chiusura dello spettacolo, che vola nel cielo come un personaggio di Chagall.
Bravo Davide Paciolla a dare caratterizzazione, ritmo e accenti al personaggio di Jamal, mentre Camilla Violante Scheller e Gabriele Genovese sono abili nel giostrare tra varie figure di contorno, dando forma anche a burocrati senz’anima dall’identità grottesca, con siparietti spiritosi.

“Mio zio Samir” è uno spettacolo rapido, godibile, senza troppe velleità drammaturgiche e registiche, che racconta un’ordinaria storia d’immigrazione. Propone con brio il dilemma tra amore e affetti familiari, tra desiderio di affermarsi e bisogno di ritornare, a patto che il ritorno coincida con l’espressione autentica della propria identità e personalità.

MIO ZIO SAMIR
di Roberto Scarpetti
regia Elisabetta Carosio
con Gabriele Genovese, Davide Paciolla, Camilla Violante Scheller

durata: 1h 5’
applausi del pubblico: 2’

Visto a Milano, Campo Teatrale, il 2 novembre 2019

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