Abbiamo incontrato Tiziano Scarpa a Venezia per una chiacchierata. Ci piaceva l’idea di iniziare a parlare di Sguardi, rassegna/vetrina sul teatro contemporaneo veneto al via domani, come luogo teatrale che privilegia anche un movimento trasversale, accogliendo la complessità artistica di chi scrive per il teatro ma non solo.
Nella programmazione di Sguardi saranno presenti due testi dello scrittore veneziano, nati con una forma e una destinazione completamente diversa: un testo teatrale e un romanzo, che trovano nel contenitore teatrale una comune possibilità.
In un bel gioco di scambi interni l’autore di un testo può acquisire così il ruolo di drammaturgo; accade in “Circoparola per voce, attrezzi e tendini”, dove l’impasto madre di Scarpa viene manipolato nuovamente dalle sue stesse mani e da quelle della compagnia Pantakin.
E perché non mettersi anche alla prova come interprete scenico, ponendosi questa volta a “servizio” del proprio romanzo, come per “Le cose fondamentali”? Tanti frammenti che, organizzati e armonizzati, regalano qualcosa di ancora più vasto e vivace.
Tiziano Scarpa ci racconta che l’idea del nuovo progetto con Pantakin risale già ad un paio di anni fa. Per l’esattezza quando Emanuele Pasqualini, che è l’anima della compagnia (anzi, un’anima doppia: quella che ha rinnovato la commedia dell’arte e quella che ha portato in giro il circo teatro), ipotizzava la possibilità di mettere insieme acrobazia circense e acrobazia verbale, invenzione poetica e linguistica. Partendo da numeri, intesi come numeri circensi di parole e giocoleria, sono poi passati a dare una forma narrativa a questa ipotesi. Ne è risultata una produzione agile, più snella rispetto alle altre, che ha entusiasmato lo scrittore come non avrebbe mai pensato.
Come è nato il testo?
E’ nato sulla scorta di “Cirk”, una produzione di Pantakin che ho amato tantissimo per la forza, la potenza, la grande poesia, perché i numeri acrobatici erano attraversati dalla loro motivazione narrativa, e come nel miglior circo teatro non rimanevi ad ammirare solo la bravura del giocoliere, dell’acrobata, ma avevi un profondo piacere nel vedere quella maestria messa al servizio del momento narrativo in cui accadeva. “Circoparola” nasce come lavoro collettivo. Abbiamo fatto diversi incontri con Emanuele, Silvia Gribaudi, Carlotta Vinanti e anche con Gaetano Ruocco Guadagno. Poi ho scritto il testo e l’ho sviluppato, riscritto, ampliato a bordo palco, collaudando i vari numeri di acrobazia parola e acrobazia giocoleria. Alcuni pezzi sono stati buttati, altri sviluppati, altri sorprendentemente colti nelle loro potenzialità, acciuffati al volo e lì per lì scodellati. Una vera drammaturgia scritta nel cuore del palco.
Circo e parola, una bella sfida. Come avviene questo impasto?
Certo, un passo ulteriore del circo teatro, che mi ha veramente entusiasmato. Ho iniziato questo progetto con voglia, ma non mi sarei mai immaginato che mi avrebbe preso così tanto. Il circo messo insieme a uno sviluppo narrativo, una storia, è qualcosa che Pantakin aveva appunto già fatto con “Cirk”, ma in questo nostro lavoro ha tre caratteristiche particolari: la parola è un motore della storia, ma a sua volta è anche un numero circense autonomo; in alcuni momenti c’è solo la parola con le rime, le trovate, la comicità, una particolare interazione con il pubblico; ed infine è anche un ingrediente dentro i numeri circensi della giocoleria. Acrobazia circense e verbale in un vero intreccio. In questo spettacolo l’apporto di entrambe è fondamentale.
Nella presentazione allo spettacolo, in anteprima nazionale venerdì 10 al Teatro Goldoni di Venezia, si parla di “mondo rovesciato”. Viene privilegiata la comicità o l’umorismo?
Più che altro viene rovesciato il solito climax dell’esibizione ostentata di bravura. E poi c’è un senso particolare, preciso. I protagonisti sono degli attori di circo stufi di avere troppi onori, ricchezze: esattamente la situazione attuale di chi lavora nel teatro. Perché l’Italia è un paese che onora i suoi talenti migliori, che ricopre di ricchezze i suoi artisti, no? E’ una finzione scenica rovesciata, c’è l’insoddisfazione di questi artisti troppo amati, che poi alla fine si capisce bene che sono tre poveracci. Non è solo ironico e paradossale, perché nella storia che ci siamo inventati il mito del successo alla fine ti farà dire: cosa ci siamo portati a casa oltre a un po’ di soldi? Dove sta la verità di quello che fai, il valore dell’opera che proponi, l’utilità sociale della tua presenza? Comicità e umorismo sono quindi presenti entrambi, ma c’è anche la sorpresa e l’abilità dei bravissimi Marcel Zuluaga Gomez e Alice Macchi, giocolieri e acrobati. Per me è stata una progressiva sorpresa e un continuo appassionarmi per delle potenzialità che non avevo previsto all’inizio.
A Sguardi sarai presente anche in un’altra veste, quella di performer verbale di un tuo romanzo “Le cose fondamentali”.
Daniela Nicosia, regista e direttore artistico del Tib Teatro, mi ha chiamato all’inizio dell’anno dicendo che era rimasta colpita dal romanzo e le sarebbe piaciuto farne una drammaturgia, un copione. Da parte sua non c’era l’abitudine di scrivere a quattro mani, e da parte mia non me la sentivo di rincominciare il cammino su questa storia. Quando faccio qualcosa mi chiedo sempre qual è la sua natura, e io l’avevo vista come essenzialmente cartacea, mi sentivo già arrivato alla meta, la sua forma per me era conclusa. Quindi ci siamo trovati perfettamente d’accordo nel lasciare a lei la parte drammaturgica, e come pure segno di adesione, di complicità, di amicizia, di festa, parteciperò alla lettura. Diciamo che non ho nessuna velleità, non sarei in grado di recitarlo a memoria come attore. Per Sguardi faccio questa piccola presenza, sono semplicemente a servizio di questa presentazione.
Quindi, in qualche modo, continua ad esserci un buon legame tra letteratura e teatro.
L’empatia fra teatro e letteratura è qualcosa che c’è sempre stato. Pensiamo a chi ha fatto rinascere il teatro in Italia storicamente: scrittori come Bibbiena, Ariosto, Aretino… che hanno scavato in Terenzio, Plauto e rifatto la commedia. O anche a Tasso, Alfieri, a Manzoni stesso, ma soprattutto al Novecento: Pirandello nasce come romanziere, poi trasponeva i suoi racconti e li trasformava in testi teatrali. Anche Bechet nasce come romanziere e solo dopo, nel tempo, esordisce nel teatro; o ancora Thomas Bernard.
Il teatro è una delle mie passioni. Ho scritto molti dei miei testi teatrali per il piacere di scrivere, non perché qualcuno me li chiedesse. Il primo risale al ‘91, compie vent’anni, ed è andato in scena cinque anni prima che pubblicassi il mio primo romanzo.
…Domani la seconda e ultima parte dell’intervista.