Spazio al teatro-ragazzi: Tiziana Lucattini a Ruotalibera

Scappa scappa le caprette e il lupo|Tiziana Lucattini|Fabio Traversa|Centrale Preneste
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Tiziana Lucattini
Tiziana Lucattini

Una compagnia di teatro-ragazzi storica, che ama l’azzardo in tutto quello che fa, ha aperto un nuovo spazio, un teatro dedicato alle nuove generazioni, ai ragazzi appunto, a Roma: il Centrale Preneste.
La compagnia è Ruotalibera, gruppo presente nel panorama culturale italiano dal 1976, diretta da Tiziana Lucattini, che da sempre propone spettacoli all’insegna di una poetica di impegno culturale e civile, tesa a dar voce alle infanzie di tutti coloro che non hanno parola.
Così Tiziana parla del cammino artistico della compagnia: “E’ l’infanzia, come condizione di differenza, di abbandono e di scandalo a segnare la nostra ricerca e gli spettacoli che produciamo”.

Dopo il grande successo di “Scarpette rosse” (1991), parabola sull’infanzia nelle periferie urbane, ecco “Piccoli uomini” (1993), saga social-familiare di tre personaggi, sulla difficoltà di crescere diventando grandi davvero nell’Italia fra gli anni Settanta e Novanta, tra bombe e globalizzazione. Poi, in successione, “Hanselmo e Greta” (1994), “Pelledoca” (1996), “La notte della Buffania” (1998), “Ci Pi Ci” (1999), “La stanza del nonno” (2000).
Del  2004 è il toccante, splendido monologo “Il bambino che non c’è”; del 2006 i due spettacoli di narrazione “La formicuzza e lo scarafone” e “Le ciambelline del re” di Fabio Traversa: uno sull’incontro tra differenze e l’altro sulla necessità di affrontare la vita con una coscienza vigile e presente a sé. Del 2008 è invece “Scappa Scappa, le caprette e il lupo”.

Fabio Traversa
Fabio Traversa ne ‘Le ciambelline del re’ (photo: ruotalibera.eu)

La compagnia è da sempre presente a Roma con numerose iniziative di formazione e integrazione, che mettono al centro il teatro non come fonte di divertimento fine a se stessa ma come mezzo inesauribile per la conoscenza di sé e del mondo, concetto che da più di trent’anni muove questa benemerita e storica compagnia, dal punto di vista organizzativo affidata a Paola Meda.

Abbiamo incontrato Tiziana Lucattini ponendole delle domande in rapporto a questa nuova avventura, l’apertura di un nuovo teatro a Roma: non un teatro qualsiasi, ma dedicato a quella speciale fascia d’età che unisce i ragazzi ai giovani.

Raccontaci l’iter organizzativo e le modalità che vi hanno portato a ristrutturare il teatro, il rapporto con le istituzioni… Come è stato?
L’avventura è cominciata circa otto anni fa (forse ormai nove). Il Municipio 6 voleva affidare, a lavori di ristrutturazione ultimati a spese dello stesso Municipio, la gestione a uso gratuito di un teatro per la durata di cinque anni. Lo spazio in questione era un obsoleto teatro scolastico, ancora da ristrutturare, all’interno di una scuola elementare. Firmammo una convenzione che, riconoscendo la nostra presenza costante sul territorio, nonché i notevoli fondi convogliati da anni in quel Municipio (finanziamenti ottenuti da Provincia, Comune etc.) siglava l’accordo tra noi, la scuola e il Municipio.
L’iter delle gare per la ristrutturazione andò molto per le lunghe (lunghi i tempi per bandire le gare, gare disertate etc.); finché, per motivi economici, il Municipio decise di dividere in tre lotti i lavori: ciò voleva dire tre gare, insomma aggiungere burocrazia su burocrazia.
Lungo il percorso incontrammo anche genitori e insegnanti che si opponevano al progetto, perché era stato tolto loro il teatrino, uno spazio non agibile e squallido in realtà, ma che rappresentava comunque uno sfogo. Incontrammo la Sovrintendenza alle Belle Arti (la scuola dove il teatro è situato è una scuola anni ‘30-‘40, quindi non si poteva alterare nulla – e nulla abbiamo alterato -). Ci scontrammo contro incompetenze, opposizioni politiche e poi la mancanza di fondi.
Proponemmo allora di finirlo noi stessi il teatro, a nostre spese. Sapevamo che, altrimenti, non avremmo mai aperto. Dopo due anni circa (sempre per motivi politici e di forma non era così facile accettare), il Municipio si dichiarò finalmente d’accordo…
L’8 luglio del 2009, sulla base della vecchia convenzione, firmammo la nuova. Allungando a dieci anni rinnovabili il periodo della nostra gestione.
Cominciarono così a nostre spese i lavori di ristrutturazione (abbiamo venduto la nostra gloriosa sede) e, a Natale 2010, abbiamo finalmente inaugurato Centrale Preneste, un teatro che realizza un modello partecipativo di risorse pubbliche e private, alleate con l’obiettivo comune di rigenerare l’ambiente urbano attraverso un intervento di qualità sul patrimonio edilizio esistente.

Centrale Preneste
Il teatro (photo: ruotalibera.eu)

Come è strutturato lo spazio?
La sala teatrale, dotata di una gradinata di 180 posti e retraibile, e di un palcoscenico a moduli,  permette di modificare e ridisegnare lo spazio scenico a seconda delle diverse proposte ed esigenze teatrali. Attigue abbiamo tre sale (due per le prove), laboratori dove ospitiamo piccoli eventi teatrali, poetici, letture… C’è poi una sala per incontri con genitori, insegnanti, operatori del nostro centro interculturale. L’intera struttura è situata in un ampio giardino che ci permetterà durante il periodo estivo l’attività all’aperto sia laboratoriale che di spettacolo.
Il rapporto con le istituzioni qui è ottimo, il Municipio 6 è speciale. La Giunta di sinistra ha politici attenti e non convenzionali. Che, nonostante tutte le difficoltà, hanno creduto nel progetto e in noi.

Quale tipo di teatro deve essere proposto oggi, secondo te, alle nuove generazioni?
Non credo ad un “tipo” di teatro da proporre; credo piuttosto che, prima di tutto, sia sano partire da specificità che ci riguardano profondamente, come la nostra identità storico-biografica-artistica. I punti di forza di questo teatro sono prima di tutto la dedica all’infanzia, una dedica fondante la nostra ricerca di senso, un occhio di bambino che ci guarda e che guardiamo, un piccolo totem necessario per dirla con Eugenio Barba. Per creare qualcosa di nuovo, per aprirci e ‘meticciarci’ con altre realtà artistiche ha senso partire da una differenza  riconoscibile perché autoriconosciuta da noi prima di tutto, come segno artistico e dunque valore. L’infanzia come territorio poetico di marginalità. Ma anche il teatro infanzia e giovani come stato di fatto di marginalità, pressoché invisibile a livello mass-mediatico, mode e critiche teatrali, ultimo pezzo della catena dei sovvenzionamenti statali, eppure conosciuto sui territori dove si radica. Una marginalità dunque senza vergogna.
A partire da questa separazione, si apre una grande libertà e possibilità di inclusione di molti mondi poetici, di molte modalità artistiche, di molte alterità.
Trovo interessante che alcuni concetti come appunto la separazione, e poi la scuola e la pedagogia come trasmissione dell’esperienza, la cultura popolare siano gli stessi concetti che ci connettono al nostro passato prossimo, ai grandi maestri del Novecento, che ci hanno lasciato utopie di progetti dell’arte. E che, attraverso questa connessione, si possa rintracciare un filo rosso di un’appartenenza nella differenza.
Ci riconosciamo ancora oggi in quelle tensioni, in quel bisogno di liberarci dall’effimero, di lasciare eredi, un segno, delle tracce, una responsabilità nel creare. Non è roba del passato. E’ roba incredibilmente del futuro. Direi che è la possibilità del futuro. E riteniamo che la formazione dei nostri attori, dei nostri formatori, della nostra infanzia-futuri adulti, del nostro pubblico e di noi stessi abbia bisogno di quella tensione.
Vogliamo che passino da noi giovani artisti e artisti meno giovani, vogliamo che il contemporaneo ci attraversi senza inseguire le mode, vogliamo che chi ha da raccontare racconti, per dirla con l’amato Cruciani, a quelli che avranno bisogno di ascoltare ciò che alcuni hanno bisogno di dire.
Abbiamo ospitato i Muta Imago e una loro residenza, ma anche Tanny Giser con le sue “Tessitrici”. E Giorgio Testa e Sandro Portelli. Vogliamo che chi non conosce Leo De Berardinis lo possa conoscere, che la ricerca del 2011 dialoghi con quella degli anni Settanta. Che la programmazione si arricchisca di momenti di laboratori e seminari. Vogliamo sapere, interrogarci insieme, scoprire ma anche far scoprire e conoscere. Suscitare domande, offrire spettacoli di chi ha tante visioni diverse di teatro-danza-musica-arti visive, di chi esprime culture teatrali e padri teatrali diversi, o di chi è orfano e sa fare i conti con questo. Immagino che insegnino da noi i Padri, anche quelli morti, e i figli e i nipoti. Immagino tante culture che si interconfrontino, immagino giornate dedicate alla poesia, alla musica, alla danza, ai laboratori, agli artisti che non scappano via dopo uno spettacolo ma restino a tentare di rispondere ad una domanda: da dove vieni? Vietato rispondere sotto un cavolo o lasciato cadere giù dalla cicogna. Obbligatorio interrogarsi, lasciare un segno di sé, pensare già giovanissimi agli eredi, ai figli che forse non si avranno, farsi padre se non ci si riconosce figlio di qualcuno.

Scappa scappa le caprette e il lupo
Scappa scappa le caprette e il lupo (photo: ruotalibera.eu)

Che senso ha aprire oggi un teatro per le nuove generazioni in tempo di crisi e a Roma?
Centrale Preneste, un teatro alle nuove generazioni in un territorio periferico come la zona Pigneto/Malatesta, eppure a un chilometro e mezzo da Porta Maggiore e San Giovanni, molto popolare, con soglie molto alte di immigrazione, è una grande possibilità. Una possibilità di creare una situazione artistica individuabile come una differenza necessaria e funzionale al territorio, per un progetto etico e popolare dell’arte. Un grande segnale politico di controtendenza, di speranza, una possibilità di incontri intergenerazionali e interculturali. Chi è passato da noi nei week-end sa che, a due mesi dall’apertura, i sabati e le domeniche sono piene di pubblico e di pubblico “meticcio”. C’è quindi bisogno di cultura, di arte, di stare insieme. Di riconoscere, ascoltare, accogliere, rinforzare una nuova comunità.

Come intendete procedere dal punto di vista della programmazione e del rapporto con il quartiere?
Stiamo cercando fondi per dare a quelle che abbiamo chiamato Le voci del Territorio, uno spazio speciale. Il Municipio 6 è ricco di realtà artistiche e culturali importanti e vive. Ci servono i soldi per dare loro lo spazio che meritano. Ci dobbiamo incontrare e farci venire delle idee…

Come va allora il recupero dei fondi?
Lasciamo perdere: biglietto a tre euro per matinée e pomeridiane, otto per le serali per adulti… E’ un problema… Non recupereremo mai.

Quali le altre difficoltà?
Beh’ le solite immagino, economiche soprattutto: ammortizzare le spese vive di gestione, avere fondi pubblici per progettare, e poter contare su una continuità di intervento pubblico per cui puoi iniziare un rapporto reale con una prospettiva, con laboratori come facciamo adesso, senza temere di dover dire: ciao, il prossimo anno care famiglie non si farà niente! Vogliamo tentare anche altre strade, il privato per esempio, il discorso degli sponsor adesso è da perseguire con determinazione.
Ma dobbiamo anche resistere ad attacchi bulimici: voler fare tutto e subito, aprire, aprire, aprire… non dire no a nessuno. Mi devo rileggere “L’anima buona del Sezuan”…

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