Tumore. Il requiem di Lucia Calamaro sulla morte e l’incapacità di affrontarla

Tumore (photo: teatrodiroma.net)
Tumore (photo: teatrodiroma.net)

Tumore è una parola che non si pronuncia spesso. Si sostituisce, si evita, si abbassa la voce, si fa finta che non esista.
“Tumore. Uno spettacolo desolato”, scritto e diretto da Lucia Calamaro, arriva a conclusione del trittico che Teatro di Roma ha dedicato all’artista romana. Parla di cose che non si vogliono sentire. È irritante, autodistruttivo, strepita di malattie e di guarigioni impossibili, di solitudini e operazioni chirurgiche. Crea un immaginario invadente, ospedaliero, troppo grande e troppo vicino per una piccola sala teatrale, al buio, senza vie di fuga: si possono chiudere gli occhi, ma le parole restano e rimbombano sulle assi di legno.

E’ storia di un epilogo. La Madre (Benedetta Cesqui) ha fatto una figlia, ma l’ha fatta malata, le è venuta male, dice, e continua a parlare di lei, parla tutto il tempo, non c’è movimento senza parola, ogni frase è accompagnata da mormorii, sporcature del linguaggio, per coprire il silenzio della perdita.
La Dottoressa (Monika Mariotti) ha provato a salvare la sua paziente, ma non si possono salvare tutti, non è detto che si riesca.
L’unica cosa che si può fare è cercare in tutti i modi di far tornare, con la voce, con il ricordo, e anche con la negazione, quel qualcosa, la figlia e la paziente, che prima c’era, esisteva, era viva e respirava, ed era incredibilmente unica, tanto da avere un nome: Virginie.

Lucia Calamaro inchioda le parole in posizioni scomode e dolorose. È drammaturgia carnale, nel senso del rapporto intimo, attorcigliato a doppia mandata che lega i suoi personaggi: la Madre e la Dottoressa, in scena, e Virginie (la dedica è a Virginie Larre, storica dell’arte prematuramente scomparsa), terza protagonista, assente, eppure così presente da inglobare nella sua mancanza le altre due, così tenace da rimanere attaccata al pubblico durante l’interruzione, così rimpianta da continuare ad infestare le parole e i pensieri anche dopo qualche ora, anche dopo qualche giorno dallo spettacolo.

Ed è per lei che, nello spazio vuoto di un palco-nosocomio, Madre e Dottoressa si incrociano in una sorta di rapporto dialettico, per il tentativo di una sintesi impossibile: si può sintetizzare un essere vivente?
Forse sì; se si contamina il teatro con la vita, Virginie la si può interpretare, recitare, citare di nuovo, dirne le frasi, darle carne, creare un simulacro nel corpo attoriale e un’immagine nella mente degli spettatori, e alla fine darle l’addio: condividerla, e lasciarla cadere ancora, ogni volta, a ogni replica, ogni sera.

TUMORE Uno spettacolo desolato
scritto e diretto da Lucia Calamaro
con Benedetta Cesqui, Monika Mariotti
luci Andrea Berselli
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
in collaborazione con Compagnia Malebolge, Rialto Sant’Ambrogio
con il sostegno del Teatro di Roma

durata: 1h 40′
applausi del pubblico: 2’ 33’’

Visto a Roma, Teatro India, il 19 maggio 2017

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