Brigate Rossonere: dalla pagina alla scena l’epica dei Furiosi di Balestrini

I Furiosi di Balestrini (photo: Achille Le Pera)
I Furiosi di Balestrini (photo: Achille Le Pera)

Il romanzo di Nanni Balestrini, edito da Bompiani e ripubblicato più recentemente da DeriveApprodi (2004), è un libro smilzo, poco più di cento pagine, ma di grosso calibro letterario. Oggi, ridotto per la scena da Fabrizio Parenti, occupa lo spazio della sala B dell’India, prodotto dallo stesso Teatro di Roma.

“I furiosi” ripercorre le spaventose imprese delle Brigate Rossonere, ultrà milanisti, in un momento particolare della recente storia.
Siamo negli anni Ottanta, e da divertimento e distrazione spettacolare domenicale per famiglie il calcio si carica di una serie di moventi pericolosamente impegnativi e sproporzionati. Sono gli anni in cui i crescenti finanziamenti dei gruppi industriali e la nascita del nodo sensibile dei diritti televisivi cominciano a gravare su una massa di tifosi orfani.
Dall’altro lato molte migliaia di uomini si ritrovano ugualmente orfani di un impegno politico che nei Novanta svaporerà definitivamente nelle nuove forme “leggere” della partecipazione popolare.

Sono gli anni in cui le periferie non solo non smettono di crescere, ma aumentano colorandosi di grigio; con loro s’ingrigisce la violenza, che imputridisce divenendo materiale spaventosamente corrosivo.

Come di ritorno dalle campagne militari bisogna garantire ai soldati, abituati al clima sregolato della mischia sul campo di battaglia, un accettabile reinserimento nella normalità della vita civile in tempo di pace, così agli orfani degli scontri degli anni Settanta si concede di riversarsi – accompagnati da una lunga scia che precede e segue l’incontro vero e proprio – negli stadi, arene di una vita impossibile ma tollerata.

Protagoniste sono infatti le organizzazioni delle tifoserie. Giampiero Judica, Alessandro Riceci, Josafat Vagni e lo stesso Parenti vestono quei panni, di milanisti per diverse vie confluiti nelle Brigate.

La resa dell’ambiente scenografico, opera di Massimo Bellando Randone, è semplice ma spigliata ed evocativa: come in un ricordo di barricate o di settori di stadio, si fronteggiano due ordini di praticabili, a destra e a sinistra sul palco, paralleli.
Alle loro spalle, contro i muri di destra e sinistra, due strutture in tubi innocenti, raggiungibili anche dagli spalti. Sul fondo videoproiezioni.

I quattro attori prendono presto possesso di queste architetture rudimentali ma a loro familiari, e tutto lo spettacolo segue il loro incrociarsi, scambiarsi di posto su di esse.
La stessa semplicità è nei costumi, sorte di elementi di armatura in cuoio e gomma, sopra gonnellini alla legionaria, anch’essi in tessuto moderno.
Si ricalca così, negli elementi esteriori, l’idea centrale del testo di Balestrini, volutamente diviso non in capitoli ma in “canti”, come un contemporaneo poema di guerra.
Viaggio, guerra, racconto: gli elementi distintivi della più classica narrazione epica ci sono tutti.
Il viaggio sono le tante missione “in trasferta” che i milanisti seguono su pullman scassoni, treni speciali, aerei e traghetti maledetti, tutti oggetto di sfregio e accanito sabotaggio, tra autogrill depredati e risse minori, lungo la via.
La guerra sono gli scontri che i rossoneri ingaggiano contro le altre tifoserie, con una preferenza per quella dei cagliaritani. Senza un perché, per ammissione degli stessi protagonisti.

Il racconto è tutto il testo: quasi mai agito sul palco, sempre narrato (di nuovo: epica), e con una lingua che è la stessa del libro, da cui è presa tout court per essere riportata in scena. Una lingua che, a sua volta, era opera certo artificiale, ma di un realismo puntiglioso e mirabile, lavorata nel lessico e nella sintassi con maestria, nitore, controllo.
Ci si aspetterebbe dunque che, reimmessa nel mezzo che vorrebbe fingere, calzi alla perfezione. Così è: detta a voce, recitata, suona naturale, sbrigativa, senza ombra di letteratura, meno che quotidiana. Ma più debole.

Forse perché quella lingua ‘balestriniana’ parlata, furiosa anch’essa, priva di punteggiatura e avida di consumare gli avvenimenti, sommaria come i fatti che descrive, che sulla pagina ha il volume assordante e l’impatto emotivo di una carica di polizia, riportata al mezzo orale, sulla cui impronta era stata modellata, smette di essere spavaldamente realistica e diviene semplicemente e “soltanto” vera.

Se si aggiunge il ricorso che gli attori fanno continuamente alla cantilena della cadenza milanese che, certo, ‘deve’ stare nelle voci naturali di simili parlanti, e un’inclinazione del tono generale verso un’ironia del violento che il pubblico non tarda a tradurre in un gusto tarantiniano del sangue, ecco che l’epica, intesa questa volta in un senso più vago, come un odore alto, chiaro e spaventoso, ne risulta azzoppata e immiserita.

I FURIOSI
tratto dal romanzo di Nanni Balestrini “I furiosi”
adattamento Federico Flamminio
regia Fabrizio Parenti
con Giampiero Judica, Fabrizio Parenti, Alessandro Riceci, Josafat Vagni
La voce del prologo è di Nanni Balestrini
scene e costumi Massimo Bellando Randone
video Francesca Del Guercio
foto di scena Achille Le Pera

durata: 1h 20’
applausi del pubblico: 2’

Visto a Roma, Teatro India, il 27 febbraio 2016
Prima nazionale

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