Dopo il suo ultimo “Un giorno tutto questo sarà tuo”, ispirato al rapporto tra genitori e figli, il regista ci presenta il primo studio di “Mangiare e bere. Letame e morte”, nato dalla collaborazione con la danzatrice ed attrice Alessandra Fabbri, ispirato tra l’altro ai “Quattro quartetti” di T.S. Elliot, a “Le metamorfosi” di Ovidio e allo “Zhuang-Zi”.
Un lavoro “per danzatrice sola, che sola per la verità non è mai, tranne che per il suo corpo stesso”, leggiamo sul foglio di sala, prima di immergerci nella storia della protagonista.
Un primo quadro ci presenta Alessandra come una donna/ragazza/bambina, così com’è: pantaloni neri e t-shirt gialla, occhi spalancati che preannunciano un fare e un dire, l’emersione di un paesaggio rurale.
Tutto parte dal racconto di un episodio della sua vita, la morte di un pappagallino che lascia sola la sua compagna, e di qui inizia un pianto che immediatamente ci riconduce ad un dramma.
Alessandra ci riporta alla motivazione per cui un danzatore va in scena, per trasmettere l’importanza dei propri vissuti attraverso il corpo e l’immaginario con cui il regista, sapientemente, una volta entrato in contatto, interagisce, permettendo all’invisibile di materializzarsi attraverso accurate scelte musicali, atmosfere suggestive, colori, luci ed ombre. Tutto suggerisce quella pienezza del corpo, a volte denso altre più leggero, tutto si integra e corrisponde allo stato d’animo della perfomer.
La drammaturgia scaturisce dalla vita stessa e la danzatrice viene lasciata libera di usare in maniera totalmente disinvolta e disinibita tutto ciò che ha a disposizione, dagli elementi scenici al suo corpo stesso. Una voce fuori campo ci racconta cos’è la danza per Alessandra, e vediamo in lei reincarnato l’essere ed il sacrificio che spingono un danzatore ad andare in scena, partendo dalla ricerca delle origini della danza come rito dionisiaco fino a Martha Graham.
La danza in questo dramma è messa a nudo ed è smascherato quel senso di impotenza di fronte all’inafferrabilità del dire. Da solo il corpo parla, Alessandra simula una relazione di gioco con l’animale amato, invita come una foca il pubblico a partecipare al suo gioco, mangia, beve e si denuda, esprime i suoi impulsi istintivi, invitandoci ad osservare la sua danza ed a rispecchiarci in essa.
Incantevole la danza vorticosa, dove la danzatrice si inebria con il vino e si lascia trasportare dall’estasi, e sensazionale la concretezza che percepiamo nel momento in cui mangia una mela oppure si slaccia le scarpe da punta con i denti.
La poetica di Iodice abbraccia il pubblico, penetrando nell’inconscio per esprimere il desiderio di portare a compimento quel misterioso legame tra amore e morte, quello stesso mistero che fa sì che ci rechiamo in teatro per riconoscere forse le radici dell’esistenza nella ricerca dell’onestà dell’essere.
MANGIARE E BERE. LETAME E MORTE. Studio n° 1 per danzatrice sola
coreografia: Alessandra Fabbri e Davide Iodice
drammaturgia e regia: Davide Iodice
costumi: Enzo Pirozzi
allestimento: Gennaro Staiano
residenza creativa: ALTRAscena Napoli
produzione: Interno5
durata: 55’
durata applausi: 5’
Visto a Caserta, OfficinaTEATRO, il 25 novembre 2012