Ma i conti si fanno con la brutalità del mondo reale, con speranze un po’ degradate un po’ derubate, la paura che frega il posto al desiderio e la violenza che, come la rabbia, ha un odore tenace, fiero.
“Le cor des enfants léopards” è il ritratto di una generazione; affronta i temi dell’amore e del dolore, dell’appartenenza e dello sradicamento, collegando sul palco due diverse realtà: quella dell’autore del romanzo Wilfried N’Sondé e dell’autore della messa in scena Dieudonné Niangouna, che assieme al fratello Criss ha adattato il testo presentandolo prima in Francia e poi in prima nazionale al teatro Ca’ Foscari di Venezia.
Nati entrambi a qualche anno di distanza a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, N’Sondé si trasferisce presto con la famiglia nella periferia povera di Parigi e poi a Berlino, dove diventa cantante e compositore di successo, e in ultimo educatore; il suo romanzo riceve nel 2007 il “Prix des cinq continents de la francophonie” e il “Prix Senghor de la création Littéraire”.
Niangouna, invece, cresce in mezzo alle guerre civili del suo Paese, e il suo teatro nasce e vive per le strade; è attore, sceneggiatore, regista e direttore del Festival Internazionale del Teatro in Brazzaville; con il fratello crea la compagnia “I suoni della strada” e nel 2005 è uno dei quattro drammaturghi africani presentati dalla Comédie Française.
All’ingresso in sala, gli spettatori scavalcano il corpo del protagonista – Criss Niangouna – che giace a terra. Vicino a sé ha solo una scatola chiusa, realizzata con tante piccole assi che formano una gabbia, una prigione. Il palco è vuoto, un faro punta in sua direzione, mentre il suono riproduce in loop una amara litania. Una scelta registica forte e simbolica, presente per tutto lo spettacolo, rappresentativa di una sconfitta, di una caduta. La scatola/prigione non abbandonerà mai il protagonista, sarà il trampolino da cui tuffarsi per recuperare ricordi, sogni e speranze, ma anche l’ancora e la sua catena.
Sul palco, il giovane ricorda l’atto irreversibile che ha commesso e da cui non può più tornare indietro: abbandonato da Mireille, il suo primo amore, in un attimo perde tutto ciò che ama e conosce, compreso se stesso. Per soffocare la sofferenza beve come non ha mai fatto prima, una volta di troppo.
Durante la notte è fermato dalla polizia, perde il controllo e un poliziotto muore. Arrestato è portato in prigione, dove in un lungo e infinito interrogatorio, hanno inizio i flash back di una vita vissuta costantemente sull’orlo dell’abisso, tra seminterrati e bande di quartiere, con la speranza di sentirsi un giorno parte di qualcosa.
Tra delirio e furia verbale, i dialoghi scivolano senza filtro e logica consequenziale, seguono il flusso continuo di una mente e di un cuore appannato. E’ rabbia mista a rassegnazione che sfoga in parole violente e incontrollabili.
L’attore lascia che la voce e le parole abbiano la meglio sul movimento e sul corpo. L’interpretazione ha una buona forza tragica, ma si scontra con una struttura drammaturgica troppo irregolare. Sicuramente efficace sulla carta, in scena, vuoi per la traduzione in italiano (lo spettacolo è in lingua originale), appare troppo schizofrenica, e impedisce un coinvolgimento più profondo, rischiando di far sentire lo spettatore aggredito dalla frenesia e dalla prepotenza verbale più che dal desiderio di vita e di pace che si nasconde dietro alle parole.
Le cor des enfants léopards
da Wilfried N’Sondé
drammaturgia: Dieudonné e Criss Niangouna
con: Criss Niangouna
regia: Dieudonné Niangouna
durata: 55′
applausi del pubblico: 1’ 30’’
Visto a Venezia, Teatro Ca’ Foscari, il 28 marzo 2012
Prima nazionale