Da sola a soli. Pink Noise 2 di Francesca Fini

Francesca Fini
Francesca Fini

Dopo il tutto esaurito della prima, martedì 13 aprile sulla piattaforma originale di De-Pink, la video-artista e performer Francesca Fini regalava a una piccola platea digitale l’esperienza di “Pink Noise 2”.
Non è teatro online: è un viaggio intermediale tra esposizione di architettura digitale, performance video registrate e live, manifesti poetici, interazione sotto forma di avatar in una virtual room costruita come una galleria d’arte ed esperimento di moderata interattività performativa. Il tutto in un’interfaccia dai caratteri kitsch e postmoderna, fra citazioni di Warhol, W.B. Yeats e della Venere di Milo, icona in gesso (e poi stampata in 3d) che saltella fra le cinque room del progetto.

Alla drammaturgia principale, suddivisa nei cinque spazi virtuali, si è affiancata poi una linea parallela di brevi video da fruire sullo smartphone, ai quali si può accedere attraverso i QRcode dell’applicazione Artivive.
Insomma, l’accumulazione e l’esasperazione digitale sono la cifra dell’operazione, non esente da una patina cordialmente autocelebrativa e di garbata autopromozione.
Forse un’opera come questa, volutamente frammentaria e ammiccante, ha – più di altre – un valore di documento dei nostri giorni. Se, fra dieci anni, qualcuno tornasse a vedere il lavoro, leggendone anche la data di produzione, quel terribile 2021, potrebbe fare alcune riflessioni. Almeno quattro.

1. Che un esperimento del genere prima della crisi del Covid del 2020 non sarebbe stato altro che una curiosità, per i più. E invece, gli spettatori della pandemia lo hanno guardato con un duplice atteggiamento: da un lato un certo sospetto, come se l’autrice volesse in qualche modo approfittare del nostro digiuno da liveness per proporci una modalità teatrale alternativa, alla quale in altre condizioni saremmo forse stati meno disposti (ma non si tratta di questo, il medium di Fini è il mondo digitale da tempo). E però, insieme, non si può negare neanche che un angolino del nostro nostalgico io analogico si aggrappi a questa scandalosa opzione, chiedendosi: funzionerà come sostituto? Riuscirà a scaldare quel motorino che si accendeva seduti in platea? Ma basta sentimentalismi.

2. Che un lavoro basato sulla tecnologia, ne è ovviamente schiavo. Quanto rideranno nel futuro a sentirci chiedere l’un l’altro: mi si sente? Il microfono è aperto? A me va a scatti… ma dov’è il pulsante? Fino al disarmante: ma c’è qualcuno? – scritto nella chat accanto alla finestra del video, una voce, questa, tenera e patetica insieme. Tante voci che dovrebbero stare insieme, e che invece in questo enorme vuoto tra l’una e l’altra si chiamano. La differenza di operatività digitale, di connessione anche tra zone di una stessa città, anche nell’élite dei fruitori culturali è una realtà che rischia di tagliare le gambe all’accesso alla cultura e all’arte trasferite in rete, e ricorda quel digital divide che ha contribuito al fallimento della didattica a distanza come surrogato della scuola pubblica aperta a tutti.

3. Che quando Francesca Fini dichiara “We believe that digital shows cannot be reduced to a streaming video hosted on youtube or some platform with an anonymous and standardized interface and absolutely cannot remain confined within the narrow limits of the video player“, sta facendo più che un’introduzione, più che una semplice dichiarazione di gusto e generica rivendicazione di maternità tecnica sullo strumento che veicola l’opera. La sua, spinta alle estreme conseguenze, è dichiarazione di poetica. Se è già da parecchio che quadro e cornice sono metafore superate per parlare dell’opera d’arte, “Pink Noise 2” le relega alla definitiva obsolescenza. Lo show non è confinato in una cornice: come opera, esso è tutta interfaccia, tutta cornice.

4. Che mentre, ognuno nella propria stanza, giravamo nella colorata galleria d’arte virtuale che ospita le altre opere di Francesca Fini (siamo nella room 4 e io ho un avatar a forma di panda ciccione), qualcuno stava preparando, per la mattina successiva, quella di mercoledì 14, l’occupazione del Silvano Toti Globe Theatre di Roma. Ripensare il lavoro dello spettacolo, garantire un reddito di continuità, ma soprattutto preservare il teatro come spazio fisico di comunità e condivisione; ripensare il sistema dello spettacolo dal vivo; resistere e riconoscersi nello sguardo di qualcun altro, anche se confinato sopra il bordo di una mascherina.

PINK NOISE
di Francesca Fini
digital show interattivo
35 minuti, con sottotitoli in inglese
produzione: Paula McKinney | production@de-pink.com
www.de-pink.com

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