
Il legame con il territorio è difficilmente individuabile in un periodo estivo in cui la cittadina costiera è popolata da turisti al bagno che, tra un aperitivo e l’altro, alla riflessione preferiscono probabilmente l’evasione, e che per lo più ignorano ciò che circola tra le stanze del Castello Pasquini. Ma c’è comunque il frutto di un lavoro di mesi che coinvolge i residenti più stabili della zona.
Il festival ha un proprio seguito, che anche quest’anno non è mancato e che ha garantito una costante e piena presenza, pronto a recepire gli intenti e lo sforzo di fornire agli artisti, spesso grazie anche a residenze, un luogo-contenitore dove creare, produrre, elaborare per poi restituire uno sguardo rinnovato delle diverse realtà.
Nell’ultima serata di questa edizione abbiamo assistito a due spettacoli che sembrano avere come denominatore comune la follia, declinata in forme diverse ma elaborata a partire da classici della letteratura.
Con il suo “Castello della follia” Luca Scarlini congegna un lavoro in rapporto al luogo – il Castello Pasquini – con un risultato che è a metà tra una performance e una brillante conferenza di storia, declinazione quest’ultima a lui del tutto congeniale.
Ci accoglie seduto ad una scrivania ricoperta di libri, alle spalle la proiezione di un ritratto alquanto bizzarro, che scopriremo appartenere a Lamberto Picasso, attore e regista teatrale del primo Novecento prediletto da Pirandello.
Con la verve e l’ironia che gli sono proprie, Scarlini ci parla di un Pirandello poco conosciuto, più ricongiungibile all’uomo che allo scrittore: un uomo avvolto nelle sue paranoie e nelle molte contraddizioni, coinvolto in una tormentata (e quasi del tutto platonica) relazione amorosa con Marta Abba, un uomo descritto nei luoghi che frequentava, come Castiglioncello, dove trascorse molto tempo e dove scrisse diverse opere in tempi brevissimi, perché amava e traeva ispirazione da quel mare da cui era tanto attratto per la bellezza quanto disgustato per la massa di carne esposta in spiaggia.
E da torri e torrette di Castiglioncello, caratteristiche di una certa follia del periodo neogotico, Scarlini inizia il suo racconto, quando i castelli, dal Pasquini al Vittoriale, rappresentavano fortezze in cui ripararsi dalla violenza della vita, assumendo le sembianze di un personale monumento alla bellezza, in cui ognuno sbizzarriva la propria creatività.
Senza mai perdere il ritmo Scarlini intrattiene il pubblico fornendo una quantità di nozioni – dalle informazioni prettamente letterarie ai gossip – con l’arricchimento di materiale sonoro, dai suoni della foresta di notte a interviste di Marta Abba o dello stesso Pirandello per Radio France, in occasione del Premio Nobel.
Interessante anche l’analisi dell’Enrico IV di Pirandello, in cui secondo Scarlini l’autore identificava la figura di D’Annunzio, e la visione delle opere di Pirandello come stanze della tortura.
Il risultato è un lavoro ricco e originale, dove l’elemento focale è sicuramente la capacità narrativa di un versatile storyteller di scena quale è Scarlini.
Abbiamo perso la capacità di vedere l’invisibile: questo sembra essere il sentimento sottinteso nello spettacolo.“Cavaliere dalla triste figura” è come Sancho Panza definì Don Chisciotte, eroe visionario che vive in un mondo suo, dopo che questo scambiò un gregge di pecore e pastori per eserciti in lotta.
Ventriglia inizia il suo racconto con voce calda e serafica, appena udibile, dove ogni enunciato, anticipato dalla sentenza “sono stanco… sento un rumore di campane…”, ruota su se stesso, moltiplicando le possibilità del linguaggio e sviluppandone innumerevoli percezioni.
A far da contraltare c’è la compagna Silvia Garbuggino, che a differenza di Ventriglia parla con un microfono; in sottofondo la musica di “Wilde horses” dei Rolling Stones.
Prima di entrare in scena se ne sta in disparte, appoggiata ad una parete, ma è in realtà già unico elemento di una scenografia pressoché inesistente, composta da una sedia e un microfono con amplificatore. Impossibile non notarla, in tuta da lavoro con lo sguardo perso nel vuoto.
I due attori si alternano in scena, la Garbuggino con una Dulcinea emotiva, tra rabbia e dolore, che racconta di un qualcosa – forse amore – perduto prima di averlo raggiunto, qualcosa di invisibile in un senso comune, ma visibile a ognuno in modo diverso. Ventriglia ripete la fase iniziale a più registri, passando dal tono pacato e intimista ad uno più ironico, a voce più alta, a sottolineare le possibilità di sguardi e linguaggi dei tanti Don Chisciotte/sognatori. Aggiunge movimenti di danza disordinati durante il recital della compagna, creando uno dei momenti maggiormente pindarici dello spettacolo, perché pregno di una propria poetica, che senza il bisogno di essere compresa arriva dritta al cuore degli spettatori.
La scena diventa immobile e con le luci che si offuscano si spegne poco a poco, mentre Ventriglia (ora indossando un cappellino da aviatore) e la Garbuggino guardano verso il pubblico e altri mondi, sulle note di “Carte da decifrare” di Fossati.
Il pubblico ne rimane incantato, ma la sensazione che pervade per tutto il tempo (tra l’altro ridotto a poco più di una mezz’ora, rispetto ai 60’ previsti nel programma) è che il materiale sia ancora da elaborare, come del resto anticipato dalle poche righe del programma di sala, consegnato al pubblico prima di entrare, che parla di un progetto in espansione.
Come altri festival estivi che ogni anno costituiscono appuntamenti necessari per sondare lo stato della scena, anche Inequilibrio si conferma uno dei punti di riferimento per teatro e danza contemporanei.
In momenti di crisi della cultura (sia da un punto di vista economico che sociale), si apprezzano gli sforzi e le energie investite, in particolar modo le occasioni di incontro con il pubblico e il territorio (dai progetti per la scuola agli incontri della sezione InequiLibri), affinché questi sforzi puntino ad assumere anche una valenza educativa ad ampio respiro.
Il castello della follia
di e con: Luca Scarlini
montaggio sonoro: Matteo Ciardi
durata: 50’
applausi del pubblico: 1’ 12’
Cavalieri dalla triste figura. Primo passo nel Don Chisciotte
di e con: Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia
coproduzione: Armunia/Festival Inequilibrio
durata: 35’
applausi del pubblico: 2’ 10’’
Visti a Castiglioncello, Inequilibrio, il 6 luglio 2014
Prime assolute