
Raccontare di figli che tentano di liberarsi dalla paralisi di una società costruita dai padri, di giovani che si ribellano a sovrani imbrigliati nella morsa delle loro stesse scelte pubbliche, eppur tanto privatamente mosse da desiderio di potere e ricchezza. Sono queste le forze che portano avanti l’azione drammaturgica dell’opera “Die Walküre” di Richard Wagner, felice apertura di stagione del Teatro alla Scala di Milano.
Il teatro milanese, unitosi in coproduzione con la Staatsoper Unter den Linden di Berlino, ha affidato il “Ring des Nibelungen” alla direzione del ‘maestro scaligero’ Daniel Barenboim e al regista Guy Cassiers. L’artista belga, esperto di progetti a lunga durata come il ciclo di spettacoli su “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust o la trilogia su “L’uomo senza qualità” di Musil, di cui la prima parte è stata presentata al Festival d’Avignon quest’estate, si è accostato alla tetralogia insieme al proprio team di lavoro: la Toneelhuis. Il grido di guerra delle Walkirie è il secondo momento di un cammino più ampio che ha preso avvio lo scorso 16 maggio con “Das Rheingold” e che proseguirà fino al 2013.
Nel rileggere l’opera wagneriana Cassiers mostra il progressivo disfarsi del mondo degli dèi sotto gli occhi di colui che lo ha creato; Wotan acquista piena coscienza delle conseguenze dei propri errori, compiuti sulla base di scelte spinte solo da brama di ricchezza, nel confronto diretto con la figlia Brünnhilde. Il clima claustrofobico della fine incombente e dei rapporti obbligati è spezzato dalle incursioni e ribellioni delle giovani generazioni che lottano per l’amore e la vita. Mosso da interrogativi legati agli attuali effetti del processo di globalizzazione e del continuo flusso ininterrotto di informazioni e d’immagini che prima o poi porteranno al blackout, il regista tenta di raccontare l’universo delle Walkirie utilizzando i linguaggi contemporanei ma con la sapienza dello sguardo critico, con l’intelligenza di chi utilizza la realtà virtuale per mostrarne limiti e rischi. Guy Cassiers utilizza la tecnologia come espediente scenico e come monito. Attenzione a dove vogliamo arrivare, sembra volerci dire.
La dimora di Hunding del primo atto è costituita da due grossi muri, interamente rivestiti di tronchi, nel cui centro è ricavata una piccola stanza luminosa definita solo grazie al gioco di prospettiva e proiezioni. Il ‘gioco’ è assolutamente dichiarato e voluto, anche in elementi scenici come il caminetto che diviene semplice immagine proiettata, per sottolineare la finzione, l’illusione di una casa bidimensionale, fatta di immagini non reali, in cui Sieglinde è rinchiusa e costretta a vivere un legame finto, vuoto, un matrimonio senza amore. Solo l’arrivo di Sigmund segna un’apertura, una possibile via di fuga da questo mondo virtuale. Una volta estratta la spada dal tronco di frassino, tanto alto da dover sembrare una sorta di cordone ombelicale che unisca il mondo umano a quello divino, le pareti della casa si aprono e i due gemelli innamorati possono scappare verso il fondo di una foresta che iniziamo ad intravedere. In quest’ottica le ombre dei cantanti, nella loro sproporzione e accostamento, spesso raccontano più che le sporadiche azioni reali.
Ai monti rocciosi e selvaggi del secondo atto Guy Cassiers sostituisce l’interno del Walhalla, luogo simile alla dimora di Hunding sia per l’atmosfera cupa e claustrofobica che vi regna, sia principalmente per il suo disfarsi alla fine del lungo litigio tra Wotan e Fricka. Con l’uscita di scena di Wotan il castello degli dei si apre e pian piano svanisce sotto i nostri occhi per lasciare posto alla foresta. Secondo segno della progressiva caduta del regno.
Il regista belga offre spesso immagini molto suggestive, ma forse i momenti più interessanti restano i passaggi tra un’immagine e l’altra: il dissolvimento di un luogo a favore del successivo e l’intero comporsi di un’immagine nuova sotto i nostri occhi riesce ad essere davvero potente. E così nella seconda parte del secondo atto vediamo scendere file e file di lance a riempire l’intera scena per comporre uno spazio, una foresta, che ancora una volta perde la sua materialità per diventare virtuale. Riappaiono Sigmund e Sieglinde che, ingabbiati in una foresta digitale, sono tutt’altro che liberi. In questo labirinto di lance su cui vengono proiettate fiumi di lettere e numeri – codici e leggi divine divenute prigione – si perdono e muoiono Sigmung e Hunding. La loro morte è simbolizzata dalla discesa di due sottili lance rosse significativamente ugali a quella di Wotan.
Il terzo ed ultimo atto si apre con lo splendido grido delle giovani walkirie che non cavalcano tra le rocce per scendere lungo crepacci ma si muovono nello spazio di un mondo definitivamente distrutto, si ergono e cantano su quelli che dovrebbero essere i cumuli delle rovine. Ancora una volta funziona il passaggio dallo spazio chiuso da un fondale carico di proiezioni, su cui vengono raffigurati i corpi dei guerrieri morti che le giovani figlie di Wotan trasportano nel Walhalla, a uno spazio più aperto, di più ampio respiro (semplicemente suggerito grazie alla rimozione del fondale), a favore di un infinito cielo blu da cui sorge una piccola luce bianca. Le due lance rosse del secondo atto sono ora moltiplicate, segno dei morti che aumentano nella battaglia tra Wotan e Alberich. L’immagine finale di questa Walküre, al di là delle classiche considerazioni di buona o cattiva resa del libretto, è bella, ma soprattutto coerente con il pensiero drammaturgico di Cassiers e con il linguaggio utilizzato nell’arco delle quattro ore e trenta di rappresentazione. Wotan punisce Brünnhilde per la sua ribellione. E la walkiria dovrà dormire dentro un cerchio di fuoco che la terrà isolata dal mondo fino a quando un eroe buono – Siegfrid – non la libererà. Qui, tra la selva di lance rosse e lance infuocate, mentre dall’alto scendono delle lampade rosse a creare un cerchio di luce, la giovane viene innalzata, quasi immolata. Espiatrice, più che delle proprie inevitabili colpe, di quelle ben più gravi del padre.
DIE WALKÜRE
Richard Wagner
Direttore: Daniel Barenboim
Regia: Guy Cassiers
Scene: Guy Cassiers e Enrico Bagnoli
Costumi: Tim van Steenbergen
Luci: Enrico Bagnoli
Video design: Arjen Klerkx e Kurt D’Haeseleer
Coreografia: Csilla Lakatos
Siegmund: Simon O’Neill
Hunding: John Tomlinson
Wotan: Vitalij Kowaljow
Sieglinde: Waltraud Meier
Brünnhilde: Nina Stemme
Fricka: Ekaterina Gubanova
Gerhilde: Danielle Halbwachs
Ortlinde: Carola Höhn
Waltraute: Ivonne Fuchs
Schwertleite: Anaik Morel
Helmwige: Susan Foster
Siegrune: Leann Sandel-Pantaleo
Gringerde: Nicole Piccolomini
Rossweisse: Simone Schröder
Danzatori: Guro Schia, Vebjørn Sundby
In coproduzione con Staatsoper Unter den Linden di Berlino e in collaborazione con Toneelhuis (Antwerpen)
Durata: 4h 55′
Applausi del pubblico: 7′ 14″ (1′ 30″ a fine I atto – 4′ a fine II atto)
Visto a Milano, Teatro alla Scala, martedì 28 dicembre 2010