È un saggio teatrale d’alta scuola “Edipus”, che Roberto Trifirò porta all’Out Off di Milano in un monologo che riduce e condensa il testo di Giovanni Testori fino a renderlo deflagrante.
La compagnia degli “Scarrozzanti” è implosa. Il primo attore si è dato alla rivista. La prima attrice è andata in sposa a un mobiliere di Meda. Rimangono il capocomico ed echi testoriani fuoricampo. Sono voci ripetitive, martellanti. Risuonano mentre prendiamo posto in sala; alimentano l’atmosfera già di suo vaneggiante e grottesca, acuita dalle note disincantate di György Ligeti.
La scena, mirabilmente costruita da Gianni Carluccio, è attraversata da una pioggia rada di lampadine cadenti. Di qua, di là, pendono grucce con abiti di scena maschili e femminili come manichini. Poi, disseminate sul palco, una sorta di lanterne con sagome d’oggetti minuscoli: nel gioco di luci disegnato da Luigi Chiaromonte, proiettano ombre deformi sulle pareti vuote.
Ed eccolo Trifirò, lo Scarrozzante, il capocomico. Dalla parete di sinistra sgattaiola strisciando, strusciando. È una creatura languida stralunata, occhiali scuri sul naso, pantaloni impolverati, scarpe sverniciate. Una sfilza di ex voto sono attaccati al suo cappotto di trincea. È il padre di Edipo, demente, delirante: morente ancor prima d’essere freddato da suo figlio. Laio impasta parole di saliva, fango e cervella. Mischia la lingua alla carne, il sangue alle interiora. È un caos organizzato di latinismi, lombardismi, francesismi, che erano il tratto tipico della penna testoriana.
Trifirò reinventa la neolingua. Tira a lucido, rinvigorisce l’originale testoriano snellendolo, dopo averlo letto e riletto. L’artista è fagocitato nella deformazione sgraziata e violenta, triviale e blasfema del testo. È questa la prima novità che ci sorprende. Perché Trifirò è in genere restio alle riduzioni drastiche. Approccia le opere con deferenza, neppure i tagli fossero gli squarci di Fontana sulla Gioconda. Qui, invece, si lascia andare. Il risultato sono cinquanta minuti dinamitardi.
Trifirò osa anche in scena. Il suo Laio è un multiforme prete, generale, avvocato, giudice. Lo Scarrozzante è baluardo estremo che si fa carico della solitudine dell’attore, del teatro sempre troppo a corto di mezzi, contro l’intrattenimento servile che baratta l’anima con ciò che è lucroso e commerciale.
Lo Scarrozzante porta sulla schiena il carrozzone dell’arte. La sua è una Via crucis. Però il dolore è temperato dall’ironia e dalla musica, stavolta di Nino Rota. È esorcizzato dalla parola balorda, volgare, che mischia sangue, lacrime, saliva, sperma e letame, e si slabbra in imprecazioni e improperi. La parola è carne. Crea personaggi diretti e sanguigni, Giocasta laida, Edipo equivoco, che affiorano dal buio della scena con una carica di risentimento pari solo alla loro spudoratezza.
Trifirò dialoga con la scenografia inerme, permea di sé ogni centimetro dello spazio. Striscia sul parquet, quasi ad annusarlo. Sfiora le fiancate spalle al muro. Viola la quarta parete per un istante, a creare un effimero altorilievo scenico.
Un vecchio letto evoca l’incesto. Una corona, una parrucca bionda, una pelliccia, danno corpo alle identificazioni, alle transumanze sceniche, al trasumanar da un personaggio all’altro.
Drammaturgo in sordina e regista di sé stesso, Trifirò si confonde con le proprie e altrui ombre fino a dissolversi, per recuperare dai recessi carisma narrativo, forza espressiva, potenza dionisiaca. Invasato come la Pizia o una baccante, l’attore riversa sul pubblico l’impasto uno e trino di Edipo, Laio e Giocasta. Lo fa da mattatore ruvido, da guitto senza artigli, chiamato nella solitudine a tirare avanti la vita e il baraccone del teatro. Già, il teatro: quest’espressione suprema della totalità terribile, «che riguarda la tragedia e la gloria dell’esistere umano» (Testori).
In scena fino al 19 aprile.
EDIPUS
di Giovanni Testori
scrittura di scena e interpretazione Roberto Trifirò
scenografia Gianni Carluccio, costumi Stefano Sclabas
luci Luigi Chiaromonte, collaborazione ai movimenti Barbara Geiger
assistente alla regia Chiara Piemontese, collaborazione Francesca Cassanelli
trucco Daniele Francolino, foto di scena Angelo Redaelli
durata: 50’
applausi del pubblico: 4’
Visto a Milano, Teatro Out Off, il 2 aprile 2019