Una scena di metallo: lastre tipografiche squarciate, corrose, invadono la scena.
Così il Teatro del Buratto/FarnetoTeatro, proseguendo nel progetto dedicato alle eroine del mito, ci presenta il mondo di Elektra. Un mondo di ferro “come la corazza di Agamennone, il cuore duro di Elettra, come la preziosa collana di Clitennestra”, dichiara Marco Muzzolon, curatore delle scene. Una dimensione che racchiude in sé la profondità della ferita sempre aperta e il valore della memoria – attraverso il richiamo della tipografia – di cui l’eroina si fa portatrice.
In questo mondo di morte si muovono quattro figure: Elettra, sua sorella alleata e nemica Crisotemi, la madre Clitennestra e il giovane ed angelico Oreste.
La dimensione espressionista e psicologica della ripresa del mito ad opera di Hugo Von Hoffmannsthal è qui espressa con forza, come sostiene il regista Marco Sgrosso: “I personaggi perdono in parte il valore mitico che hanno negli autori tragici e sono attraversati da una spietata analisi psicologica in mirabile equilibrio tra simbolismo e naturalismo”. Ecco quindi Elettra assumere la dimensione animalesca di cagna rabbiosa. Ridotta a rifiuto, è terrena, tendente al suolo, caratterizzata da movimenti ferini e incontrollabili. Le sue mani sono artigli, i suoi occhi vuoti, la sua postura rannicchiata. Suo chiaro opposto è la sorella Crisotemi, simbolo di femminilità e vita, stanca di odiare, emblema, qui, di sensualità dai movimenti languidi e morbidi. A chiudere il trio femminile arriva Clitennestra, “madre-nemica”: una inquietante figura appesa a due stampelle gioiello, ricoperta di ori e pietre preziose. Simbolo della decadenza, stinge il proprio corpo sfatto in un preziosissimo abito rosso sangue. Infine giunge Oreste, “implume angelo vendicatore destinato ad un compito al di sopra delle sue possibilità” – lo definisce Sgrosso – a concludere questa fulminea tragedia, compressa in un solo atto. Ovviamente di bianco vestito, Oreste rimane qui una figura indecifrabile. Di lui ci arrivano sì il candore e l’onestà, ma poco rimane del suo dramma.
Il mondo cruento della rivisitazione di Hofmannsthal è reso con potenza in questo allestimento, ma la tragica storia dell’eroina è chiusa in troppe didascalie. Tutto è caricato e dichiarato finendo per esser sovrabbondante. Una bravissima Elisabetta Vergani sostiene la grandezza e la rabbia di Elektra, ma la percezione ultima dello spettacolo è sonora: troppo si rimane ipnotizzati dalle voci e dai movimenti degli attori, finendo col perdere il dramma intimo dell’eroina tragica.
ELEKTRA
di Hugo Von Hoffmannsthal
progetto ed elaborazione drammaturgica: Elisabetta Vergani
produzione: Teatro del Buratto – Farneto Teatro
regia: Marco Sgrosso
consulenza: Marina Cavalli
interpreti: Marina De Santis, Angela Malfitano, Federico Manfredi, Elisabetta Vergani
scene: Marco Muzzolon
costumi: Andrea Svanisci
assistente alla regia: Carolina Sylwan
durata spettacolo: 58′
applausi del pubblico: 1′ 17”
Visto a Milano, Teatro Verdi, il 17 dicembre 2009