Poche opere ci recano un diletto simile nell’ascoltarla e nel vederla come il melodramma giocoso in due atti “L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti. Non ci siamo quindi lasciati scappare l’occasione di rinnovare il nostro godimento nell’assistervi, seppur in streaming, dal Teatro Regio di Torino, attraverso la storica regia di Fabio Sparvoli, diretta da Stefano Montanari con l’Orchestra del Teatro torinese.
L’opera, composta su libretto di Felice Romani, andò in scena per la prima volta il 12 maggio del 1832 al Teatro della Cannobiana di Milano. Felice Romani lo derivò da “Le Philtre” (Il filtro), scritto l’anno prima da Eugène Scribe per il compositore Daniel Auber. Un’ opera che già su KLP abbiamo tratteggiato in occasione dello strepitoso allestimento che ne ha fatto qualche anno fa Damiano Michieletto allo Sferisterio di Macerata, ambientandola su una spiaggia dei nostri giorni, anziché in un villaggio dei paesi baschi alla fine del XVIII secolo, lasciandone intatti, e anzi rendendo ancora più universali, i sentimenti che innervano i protagonisti.
“L’Elisir d’amore” è un’opera di perfezione assoluta che riesce a mescolare mirabilmente l’elemento giocoso con quello melanconico, eminentemente rappresentato dal personaggio di Nemorino: Nemorino, un ragazzo dall’animo semplice, ama perdutamente la capricciosa e sapiente Adina, la quale, infischiandosene di lui e per ingelosirlo ancor di più, pensa di combinare il suo matrimonio con il soldato spaccone Belcore.
Al povero ragazzo, per sperare ancora in un ripensamento della sua bella, non resta che comprare un elisir portatore d’amore – che sappiamo però essere menzognero – dal furfante dottor Dulcamara, che di paese in paese viaggia imbrogliando tutti i creduloni che incontra. L’elisir pare portare tuttavia ad un certo successo, se tutte le ragazze, a cominciare dalla petulante e seducente Giannetta, improvvisamente iniziano a filarsi Nemorino. Purtroppo ciò non è a causa del suddetto elisir, ma di una ricca eredità lasciatogli dallo zio. E’ a questo punto che Adina, colta nel vivo da cocente gelosia, lascia Belcore, ribadendo a Dulcamara “che ve ne è uno maggiore di Elisir, lei stessa”.
La strepitosa partitura donizettiana caratterizza prodigiosamente ogni personaggio, a partire proprio da Nemorino, con la celeberrima aria che lo contraddistingue (“Una furtiva lagrima”), in cui la malinconia incatena lui e chi l’ascolta. Non di meno ciò accade per gli altri personaggi: la sciocca tracotanza di Belcore (“Come Paride vezzoso”), l’accattivante bonomia della meravigliosa tiritera truffaldina di Dulcamara (“Udite o rustici”), la volontà di essere libera nell’amore di Adina (“Chiedi all’aura lusinghiera”).
Ogni momento della vicenda vive attraverso una musica sempre di godibilissimo e trascinante ascolto. Fra tutti i momenti topici dell’opera ricordiamo il finale del Primo atto (“Adina credimi”), con quel concertato sublime che si apre ad esprimere i sentimenti di ogni personaggio, e il già citato duetto risolutore tra Adina e Dulcamara, in cui la ragazza decide di amare Nemorino (“Io rispetto l’elisire, ma per me ve n’ha un maggiore: Nemorin, lasciata ogni altra, tutto mio, sol mio sarà”).
E così tutto è bene ciò che finisce bene: Belcore si consola in fretta del matrimonio sfumato, affermando che in un altro luogo troverà qualche altra ragazza da corteggiare, mentre Dulcamara parte dal paese di Nemorino tutto gongolante per il successo del suo elisir in cerca di altri cuori da “aiutare” (“Ei corregge ogni difetto”).
Il regista Fabio Sparvoli ambienta l’opera nell’Italia degli anni Cinquanta, omaggiando il celeberrimo film di Comencini “Pane, amore e fantasia”; in tutto ciò è aiutato dagli sgargianti costumi di Alessandra Torella e dalle semplici ma efficaci scene di Saverio Santoliquido.
L’azione viene ambientata nella piazza del paese che si affaccia sulle colline retrostanti, dominata da un balconcino da dove all’inizio Adina racconta la famosa storia di Tristano e Isotta. Belcore ovviamente è un sergente dei Carabinieri, e Dulcamara si presenta su una Autobianchi Bianchina ‘500 del 1959, con capote apribile. Tutto è espresso con grazia e pertinenza, forse con qualche eccessivo bamboleggiamento del coro, che canta con le mascherine data la pandemia in corso.
Significativo l’uso delle luci di Andrea Anfossi che, abbassandosi, conferiscono un’atmosfera melanconica ai due momenti più introspettivi dell’opera, la già citata aria di Nemorino “Una furtiva lagrima” e il meraviglioso concertato finale del primo atto “Adina credimi”.
Divertente anche l’idea che Dulcamara se ne vada portandosi insieme la petulante Giannetta, a cui Donizetti concede di essere protagonista di una divertente scena di insieme (“Saria possibile”). Stefano Montanari dirige l’Orchestra del Teatro torinese sempre con il giusto piglio brioso, cogliendone le varie sfumature, assecondato dal coro diretto da Andrea Secchi.
Tra gli interpreti vocali è stato veramente un piacere scoprire nel tenore ucraino Bogdan Volkov un eccellente Nemorino, che con Mariangela Sicilia ha dato grande smalto ai duetti fra i protagonisti, accompagnati con giusta espressione di caratteri da Marco Filippo Romano (Dulcamara) e Giorgio Caoduro (Belcore).
L’elisir d’amore
Melodramma giocoso in due atti
Musica di Gaetano Donizetti
Libretto di Felice Romani
tratto Le Philtre di Eugène Scribe
Musica di Gaetano Donizetti
Stefano Montanari direttore d’orchestra e maestro al fortepiano
Fabio Sparvoli regia
Saverio Santoliquido scene
Alessandra Torella costumi
Andrea Anfossi luci
Anna Maria Bruzzese assistente alla regia
Andrea Secchi maestro del coro
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Allestimento Teatro Regio Torino
Durata: 1h 50′
Visto in streaming il 22 aprile 2021