A volte succede di assistere in televisione ad un’opera di cui non si è mai sentito parlare, rimanendone incantati, e avendo poi il desiderio di ascoltarla da vivo.
E’ accaduto con “Medea in Corinto” di Johann Simon Mayr, vista al Donizetti Opera Festival di Bergamo.
Mayr, compositore bavarese nato a Altmannstein nel 1763, si trasferisce a Bergamo nel 1789, ritornandovi poi in seguito, nel 1802, quando diventa, tra le altre sue mansioni, il maestro di Gaetano Donizetti, e spesso viene ricordato solo per questa ragione. Tuttavia il compositore è stato autore di numerosissime opere, tra cui appunto il suo capolavoro, “Medea in Corinto”, opera realizzata su libretto del grande Felice Romani e che, anche dopo averla ascoltata dal vivo, ci è parsa di grande risalto musicale, come passaggio compiuto e foriero di una nuova meravigliosa età del melodramma tra Mozart, Cherubini (la sua Medea è del 1797) e il celebrato Ottocento italiano.
Fu commissionata al compositore dal Teatro San Carlo, debuttando nel teatro napoletano il 28 novembre 1813: in scena una primadonna del calibro di Isabella Colbran (ma un’altra star dell’epoca, Giuditta Pasta, la inserì pure nel suo repertorio).
A Bergamo è andata in scena al Teatro Sociale, nell’edizione critica realizzata da Paolo Rossini, esattamente 200 anni dopo che il compositore ne realizzò una versione particolare proprio per la città lombarda. L’opera purtroppo uscì presto dai cartelloni dei principali teatri italiani, venendo riscoperta solo nel 1977, con Leyla Gencer nella parte della protagonista.
Felice Romani, per la stesura del libretto di “Medea in Corinto”, si ispirò, oltre che alla tragedia di Euripide, anche alla riscrittura che ne fece lo scrittore e drammaturgo francese Pierre Corneille, autore della commedia “Médée” del 1635. Il libretto trasforma infatti la crudele vicenda mitologica di Medea in un dramma intimo, dove gli intrecci e i rapporti fra le coppie prendono il sopravvento su tutto il resto. E di ciò ha tenuto conto, come vedremo più avanti, Francesco Micheli nella sua regia.
Al centro della storia vi sono le nozze, a Corinto, tra Giasone e Creusa, figlia del re della città, Creonte, a cui assiste la disperatamente gelosa Medea, conosciuta anche per le sue magie, moglie abbandonata di Giasone, che pure lo aveva aiutato nella terra d’origine (la Colchide) nell’impresa di rubare il vello d’oro, uccidendo il fratello e il padre, per fuggire poi con lui.
Ma della partita è anche Egeo, principe di Atene, pretendente alla mano di Creusa, ma messo da parte da Creonte, che gli ha preferito Giasone. Personaggi secondari sono Ismene, confidente di Medea e Tideo, amico di Giasone.
Nel momento del matrimonio, una rovente Medea rovescia l’altare sacro, interrompendo il rito e profanando il tempio, mentre Egeo, alla testa di un manipolo di uomini, tenta di rapire Creusa.
Egeo fallisce il suo disegno e viene messo in prigione, mentre Medea medita una feroce vendetta: fingendo di chiedere perdono al re Creonte, invia a Creusa i suoi figli per offrirle in regalo la sua veste nuziale, che è intrisa di un potente veleno mortale. Appena Creusa la indossa, muore tra atroci dolori: Giasone e Creonte, pieni di rabbia e dolore, corrono da Medea, desiderosi di vendetta. Medea davanti a loro aggiunge vendetta a vendetta e, per far soffrire ancora di più Giasone, gli comunica di aver ucciso i figli che ha avuto da lui. Quindi Medea fugge verso Atene con Egeo, che ha liberato dalla prigione.
Micheli legge la storia attraverso più piani, concependola come teatro della memoria: i figli di Medea, sopravvissuti alla furia della madre, giungono nella casa abitata tanti anni prima, posta nella periferia di una grande città, ricostruita attraverso una serie di proiezioni (le scene sono di Edoardo Sanchi). E’ un condominio situato tra grandi casermoni con tanto di cucina, letto e salotto, dove con simpatica invenzione Ismene e Tiseo ne sono i portinai: vengono messi in scena all’interno delle loro guardiole e ricordano gli avvenimenti dolorosi che hanno contraddistinto la loro infanzia. Infatti nello spettacolo i figli di Medea non moriranno, ma rivivranno, metaforica e dolorosissima per ogni figlio, la separazione fra i propri genitori.
Se il cambio temporale che si sviluppa poi in altre epoche (con pure il suicidio di Giasone anziano) ci sembra un po’ farraginoso, bellissimo e visionario ci è parso invece il continuo gioco delle coppie che sono al centro della storia narrata. Il cuore dell’allestimento di Micheli è infatti rappresentato dalle due differenti camere da letto, quella di Medea e Giasone e quella di Creusa ed Egeo, calate su piattaforme, in cui i personaggi si scambiano sovente i ruoli, anche durante il matrimonio tra Creusa e Giasone.
Ma non è solo l’ironia dissacrante a farla da padrona, i rapporti tra i personaggi sono resi in modo forte nella loro quotidianità, con le gioie e i dolori del caso, e con i bellissimi – anche musicalmente – furori di Medea.
Intelligenti e significative sono anche le ombre del padre e del fratello della maga, che si fanno presenti a ricordare il mondo ancestrale della Colchide. Come già detto, la condizione dei figli di Medea (in scena i giovani attori Chiara Dello Iacovo e Andrea Guspini) sono centrali nell’allestimento, che si riverbera sulle frasi e i versi scritti anche sul sipario, tra cui uno di Pasolini, con la sua mirabile poesia dedicata alla madre Susanna. Gli stessi figli che, nella scena finale durante lo scontro tra Giasone e Medea, cercano di dividere inutilmente i genitori.
Dal punto di vista musicale ottima ci è parsa la direzione di Jonathan Brandani, che con l’Orchestra Donizetti Opera sottolinea sempre in modo efficace tutti i cangianti passaggi dell’opera. La parte della protagonista non poteva che essere affidata ad un’artista come Carmela Remigio, già molte volte da noi apprezzata, che in modo sempre opportuno e profondo ci dona il carattere di una donna addolorata e, nello stesso tempo, lucidissima nella sua crudele vendetta come nella potente e bellissima invocazione e aria “Antica notte, Tartaro profondo”, accompagnata dal Coro, o ancora come nella sua aria finale “Ah, che tento?”, in cui intuisce la follia che sta compiendo e vuole lasciare i figli a Creusa.
Nel complesso buona la resa vocale di Marta Torbidoni, una Creusa in qualche modo coprotagonista dell’opera, dotata di sentimenti che esprime in arie anche difficili come “Compi l’opera oh ciel pietoso”. Nel complesso soddisfacente anche il comparto maschile, con Juan Francisco Gatell come Giasone (Grazie nume d’amor) e Michele Angelini come Egeo (“Avverse inique stelle”), anche loro impegnati in non facili arie e duetti. Micheli non disdegna di valorizzare i ruoli secondari di Ismene e Tideo (“O reggia di dolor”) che Caterina di Tonno e Marcello Nardis eseguono con pertinente caratterizzazione.
Poco visibile il Coro Donizetti Opera diretto da Fabio Tartari, suddiviso com’è nei palchi di proscenio, ma che abbiamo apprezzato in tutti i numerosi momenti in cui accompagna le azioni dei personaggi. Insomma, torniamo da Bergamo molto soddisfatti per aver ascoltato un’opera di rara esecuzione, al di fuori dei soliti titoli che inflazionano i cartelloni dei nostri teatri. E’ quindi ora di osare, visto anche che il Teatro Sociale di Bergamo era affollatissimo in ogni ordine di posti.
Medea in Corinto
di Johann Simon Mayr
Direttore Jonathan Brandani
Regia Francesco Micheli
Scene Edoardo Sanchi
Costumi Giada Masi
Lighting design Alessandro Andreoli
Drammaturgo Davide Pascarella
Assistente alla regia Tommaso Franchin
Assistente alle scene Chiara Taiocchi
Orchestra Donizetti Opera
Maestro al fortepiano Hana Lee
Coro Donizetti Opera
Maestro del coro Fabio Tartari
personaggi:
Creonte Roberto Lorenzi
Egeo Michele Angelini
Medea Carmela Remigio
Giasone Juan Francisco Gatell
Creusa Marta Torbidoni
Ismene Caterina Di Tonno
Tideo Marcello Nardis
Figli di Medea Chiara Dello Iacovo e Andrea Guspini
Visto a Bergamo, Teatro Sociale, il 21 novembre 2021