Geografia della drammaturgia italiana. La strada della scena vista da chi la pratica

Convegno Geografia della drammaturgia italiana a San Miniato|Gerardo Guccini e Attilio Scarpellini|Convegno Geografia della drammaturgia italiana di Titivillus a San Miniato
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Gerardo Guccini e Attilio Scarpellini
Gerardo Guccini e Attilio Scarpellini (photo: Ilaria Scarpa)
Rispetto a statici convegni, a cui spesso ci si pente di aver partecipato, questo “Geografia della drammaturgia italiana”, organizzato da Titivillus e Teatrino dei Fondi sabato 8 settembre a San Miniato (PI) nell’ambito della rassegna Contemporanei Scenari, benché contrastasse con un fine settimana ancora denso di sole in cui il mare, a quaranta minuti di distanza, chiamava con voce forte, si è dimostrato interessante sia per la vivacità degli interventi sia per la capacità dei due conduttori, Gerardo Guccini e Attilio Scarpellini, che sono riusciti a tessere una trama ordinata dei vari spunti emersi e a far sì che alcune tematiche della drammaturgia italiana contemporanea venissero definite.

Ed è proprio da una di queste che vorrei partire per fare un rapido resoconto dell’intera giornata, suddivisa in due sessioni – mattutina e pomeridiana -, che ha visto gli interventi di Ugo Chiti, Donatella Diamanti, Vincenzo Pirrotta, Antonio Tarantino, Edoardo Erba e Michele Santeramo.
Uno degli elementi principali di riflessione, suggerito da Gerardo Guccini nell’esaustiva introduzione (che apre con un rapido excursus riguardante gli studi critici sui testi teatrali recenti, ovvero il dopo Pasolini e Testori) sta nell’evidenziare come, in Italia, i testi teatrali contemporanei siano essenzialmente consuntivi e non preventivi, ossia come la drammaturgia contemporanea produca testi che hanno sempre presente l’altro da sé: la scena, gli attori e il pubblico.

Questo spunto, molto interessante, viene ripreso anche negli interventi di Chiti, Diamanti e Pirrotta, ed è il punto di partenza della sessione pomeridiana, condotta da Scarpellini, che analizza anche il ruolo del drammaturgo oggi, interrogativo esplicato dalla domanda che il critico rivolge ai tre ospiti (Tarantino, Erba e Santeramo): “Che scrittore sei?”, ad indicare il ruolo che gli autori intervenuti si sentono di rappresentare e quale sia la loro identità di artisti.
Nell’insieme, gli interventi dei drammaturghi ospiti hanno ripercorso tragitti artistici ed esperienze biografiche assai interessanti nella loro eterogeneità, ciascuna caratterizzata da scelte nette e da un rapporto con la scrittura drammaturgica che si è definito nel tempo.
Ugo Chiti, nel narrare la sua esperienza iniziale nel teatro vernacolare e poi quella con Arca Azzurra, ha messo in luce la differenza tra l’esperienza dello scrivere lavorando in e con un gruppo, e quella di scrivere trovandosi ad essere “distante” dal teatro, rimarcando come, nel suo percorso, sia sempre stato condizionato dagli attori che andavano in scena, senza mai dimenticare la scenografia, quasi che il ritmo della battuta derivasse da un costume indossato sul palco o da una particolare scenografia.

Convegno Geografia della drammaturgia italiana di Titivillus a San Miniato
La tavolata dei protagonisti del convegno (photo: Ilaria Scarpa)
È stata poi la volta di Donatella Diamanti, intervenuta nella doppia veste di direttore artistico (Città del Teatro di Cascina) e di drammaturga, nonché rappresentante del Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea, che sostanzialmente ha sottolineato come manchino occasioni per i drammaturghi per mettersi in luce e di come ci voglia maggiore coraggio da parte dei direttori artistici per aiutarli.
Prendendo spunto dalle parole della Diamanti, Vincenzo Pirrotta ha sottolineato come in Italia ci siano molti autori che non riescono a trovare “la strada della scena”, per poi passare a raccontare la sua esperienza artistica e biografica. Quindi gli inizi come suonatore di pianino negli spettacoli di Mimmo Cuticchio fino a giungere all’esigenza di guardare il pubblico, di raccontare le emozioni di una quotidianità che lo circondava e lo circonda, quella dei vicoli di Palermo.

A chiusura, l’intervento di Paolo Puppa, che tra l’altro ha rimarcato come sia breve la vita della nuova drammaturgia, una drammaturgia alla quale non viene dato il tempo per essere inglobata, per entrare a far parte del repertorio.
Attilio Scarpellini, nella sessione pomeridiana, ha parlato della difficile individuazione del drammaturgo come mestiere, poiché sia il sistema teatrale che quello della comunicazione, in cui il teatro è inserito, non lo riconoscono. E tale affermazione conduce, infine, a parlare dei tanti problemi del teatro italiano. Scarpellini manifesta anche la mancanza di un’editoria di servizio, ovvero l’assenza nei teatri dei testi drammaturgici rappresentati. Non accade mai (o quasi) che, usciti da uno spettacolo, sia possibile acquistare il testo appena rappresentato.

Convegno Geografia della drammaturgia italiana a San Miniato
Alcuni dei protagonisti del convegno, da sx: Scarpellini, Tarantino, Pirrotta e Diamanti (photo: Ilaria Scarpa)
Alla domanda di Scarpellini sul mestiere di drammaturgo (sintetizzata in “che scrittore sono io?”) hanno provato a rispondere Tarantino, Erba e Santeramo.
Antonio Tarantino, pittore prima di divenire un drammaturgo affermato, sostiene che il teatro italiano appartiene ai registi, e che gli scrittori teatrali non sono per niente apprezzati e questo è evidente guardando la programmazione delle stagioni. A questo si aggiunge il fatto che i giovani scrittori non sono aiutati, e così la scrittura viene ad essere qualcosa di indefinito. Una scrittura teatrale che, per Tarantino, è più affine alla poesia che alla narrativa, e questo sembra essere un concetto condiviso dai presenti, concordi nel vedere una netta distanza tra drammaturghi e scrittori.
Edoardo Erba, dopo aver raccontato l’esperienza sui generis di “drammaturgo al servizio del mercato”, ha sottolineato pienamente la stretta parentela con la poesia, rispetto al facile accostamento tra drammaturgo e scrittore.

Michele Santeramo ha offerto due spunti interessanti, ripercorrendo il suo percorso biografico e lavorativo. Ha evidenziato come, quando scrive per Teatro Minimo, non può prescindere dal lato economico, non in termini di guadagno, ma in termini di possibilità di messa in scena, considerando i costi che implica ciò che scrive. Nel secondo ha parlato della situazione pugliese, una situazione prolifica, dove la compagnia sta cercando di realizzare, con il sostegno della regione, una compagnia civica.

Dopo la chiusura di Guccini, che ha tracciato interessanti linee riassuntive della giornata, c’è stato il tempo anche per riflettere sulla situazione dell’editoria di settore, sottolineando come la scomparsa di Franco Quadri abbia lasciato un grande vuoto, in una situazione sempre più difficile.
Enrico Falaschi, direttore del Teatrino dei Fondi/Titivillus Mostre Editoria, ha quindi chiuso la giornata su invito di Scarpellini. Oltre a descrivere in modo approfondito le iniziative di Titivillus, ha espresso chiaramente la volontà di “non mollare”, nell’intento di portare avanti un’esperienza coraggiosa, così necessaria – soprattutto quando si parla di teatro – che ci è sembrata guidata più da passione che da strategie di lucro. E questo è confortante.
 

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