“Balayées les amours/ Avec leurs trémolos/ Balayés pour toujours/ Je repars à zéro”
(Edith Piaf, Non, Je ne regrette rien)
La morte di Desdemona è da secoli uno dei grandi archetipi del teatro occidentale, l’emblema (talvolta inflazionato) del femminicidio, l’iniziatrice di quel destino infausto che toccherà a molte altre donne, in e fuori scena.
A neanche trent’anni di distanza dalla tragedia shakespeariana, John Ford scriverà “Peccato che sia una puttana”: un’altra donna, un’altra vittima. Su questo tema si sono pronunciati grandi nomi della storia letteraria e critica. Giovi ricordare, almeno, le parole di Guido Paduano, docente di Drammaturgia classica: l’eros di Otello è «negazione freudiana. Negazione freudiana è infatti il procedimento – di urgente evidenza – per cui l’addio è in realtà una più forte affermazione di possesso». Attraverso il ‘congedo’ dal suo amore, dunque, il Moro non farebbe altro che ribadire il proprio amore per l’Amore. Raggiunge insomma per questa via quel che non può ottenere per un’altra.
Ma che razza di amore è un amore che uccide? E soprattutto: che cosa significa “uccidere” la bella Brabanziade per Balletto Civile?
Per loro Desdemona è un “mistero”: «Cerchiamo di razionalizzare – spiega Michela Lucenti – ciò che per essenza è irrazionale: quello che lega due persone, ciò che per definizione è intangibile».
Più che la fragilità, “Killing Desdemona” – andato in scena al Festival delle Colline Torinesi, che stasera chiude la sua XXI edizione, in anteprima nazionale (in attesa del debutto ufficiale del 2 agosto al Ravello Festival) – sembra porre l’accento sulla grazia della protagonista. È delicata, sinuosa, tortile, leggiadra, spesso sollevata da terra. Quasi come una farfalla. O meglio, una falena.
Intorno infatti l’atmosfera è notturna: sembra di trovarsi in un ‘club di voyeurs’ a fine serata. A delimitare esternamente lo spazio scenico due file di sedie eleganti, da café-chantant, che vedono schierati uomini e donne; l’area centrale diventa una pista: passi di danza, voluttuose giravolte, sensuali movenze, abbracci passionali, violenze fisiche.
Nel loro moto ora rapido e convulso, ora lento e ponderato, gli attori-performer occupano tutto lo spazio a disposizione. Nelle scene d’insieme sono bilanciati: la zattera non si rovescia mai. Dietro di loro un grande parallelepipedo che taglia orizzontalmente la visuale, teatro delle esibizioni di Bianca: sembra un pilastro precipitato a terra. Una retìna semitrasparente ci mostra poi una zona di fondo, l’unica (insieme al proscenio) in cui Jago si riveli per chi è davvero. La investono luci più calde e una diapositiva parietale che riassume iconograficamente l’intreccio. In un angolo, infine, Jochen Arbeit, celebre compositorer berlinese, con la sua chitarra elettrica.
Da Venezia a Cipro, ma la scena non cambia: non è importante. I protagonisti si muovono intabarrati in abiti particolari: lunghi doppiopetto per lui, tacchi con laccetti e sciancrature vintage per lei. Solo Roderigo, il ridicolo amante non corrisposto, se ne va in giro con un pupazzo nei pantaloni e una barba posticcia, ricordando da vicino lo youtuber takeSomeCrime.
La scrittura è incisiva, liberamente tratta dal noto capolavoro elisabettiano.
La voce ha un ruolo fondamentale; veicolata da microfoni che scendono giù come liane o che si appoggiano alle classiche aste da concerto, amplifica angosce, inganni e sentimenti: le voci di Desdemona e Otello, che in coro cercano di convincere un assente Brabanzio ad acconsentire al loro amore; la voce di Jago, che con cinico sarcasmo srotola la sua matassa; la voce ossessiva di Emilia, che indugia sull’uscio di quel talamo tombale, dove la sua màdame giace già defunta.
Ci sono poi sconfinamenti linguistici: interventi francesi della prostituta di professione, la Bianca di Natalia Vallebona; l’ansioso meditare in lingua nativa del Moro; il canto del salice finale di Desdemona.
È una pièce ritmata, quella di Balletto Civile: i tacchetti aiutano la partitura musicale (eseguita dal vivo) a battere il tempo.
La compagnia, fresca di Premio Hystrio, ha realizzato un ottimo lavoro: la “leader” spezzina Michela Lucenti è una Desdemona sinceramente innamorata, viva, che resterà sconvolta, nonché definitivamente cambiata, di fronte alle aggressioni verbali del marito: i capelli più scarmigliati, lo sguardo perso, una sigaretta fumata con angoscia. Il tutto contrapposto a quell’intrecciarsi gioioso di corpi con cui lo spettacolo si era aperto.
Bravo e incisivo Maurizio Camilli/Jago, vero “showman” dell’opera, che – un’azione fisica dopo l’altra – riesce a diventare il “protégé” del Moro, meritando un posto d’onore sulla sua coscia.
C’è poi Andrea Capaldi, un Cassio dominato dalla foia, contrapposto al gagliardo ma debole Otello (Demian Troiano), che soffre di una comune sudditanza psicologica nei confronti del suo rivale. Una sudditanza che diventa anche simbolica nell’immagine della sedia sotto cui è nascosto, che presto – per qualche secondo – si trasformerà in vero e proprio giogo.
Punta comica, Fabio Bergaglio/Roderigo, alla fine steso da un colpo di pistola.
Ma la vera forza di “Killing Desdemona” sta in quel barlume di solidarietà femminile che si intravede alla fine, nel discorso sui tradimenti fatto da Emilia/Ambra Chiarello e nell’urlo liberatorio, che coinvolge le tre donne. La moglie di Jago, figura ambigua secondo la tradizione, qui è una confidente affezionata, che cerca di evidenziare le nefandezze di un amore morboso come quello di Otello. Il Moro è il sempliciotto, Jago il conquistatore, Cassio il vacuo ‘tombeur de femmes’, Roderigo il ‘minus habens’. Sono stereotipi maschili fin troppo espliciti: tutti «vogliono esercitare il loro potere su Desdemona e sul suo corpo. Niente di più attuale».
Vogliono possedere, ma nessuno sa amare.
Ed è così che la falena muore: stroncata da un ensemble di maschi alfa che le recidono le ali. L’inganno di Jago, così come la gelosia, passano in secondo piano: è il motivo per cui – saggiamente – l’opera si chiude con la morte. Il resto (il confronto tra il Moro e il suo nemico) sono solo parole, buone per una lettura a fondo scena.
KILLING DESDEMONA
di Michela Lucenti e Maurizo Camilli
regia Michela Lucenti
liberamente tratto da Otello
ideazione Michela Lucenti e Maurizio Camilli
regia e coreografia Michela Lucenti
aiuto regia Enrico Casale
musica originale eseguita dal vivo Jochen Arbeit (Einstürzende Neubauten)
interpretato e creato da Fabio Bergalio, Maurizio Camilli, Andrea Capaldi, Ambra Chiarello, Michela Lucenti, Demian Troiano, Natalia Vallebona
scene e costumi Chiara Defant
realizzazione scene Alessandro Ratti
disegno luci Stefano Mazzanti
suono Tiziano Scali
acting coach Francesco Origo
organizzazione Andrea Cerri
produzione Balletto Civile, Festival delle Colline Torinesi, Ravello Festival, Neukoellner Oper Berlin, Compagnia Gli Scarti
con il sostegno di Mare Culturale Urbano , CTB Centro Teatrale Bresciano , Festival Resistere e Creare, Centro Dialma Ruggiero-FuoriLuogo
durata: 1h 10′ circa
applausi del pubblico: 2′ 30”
Visto a Torino, Fonderie Limone, il 17 giugno 2016
Anteprima nazionale