
In una prima parte abbiamo raccontato alcuni di questi esiti. Oggi proseguiamo con una seconda parte che non include tutti gli spettacoli presentati nelle quattro giornate del festival.
Il teatro di figura è un particolarissima forma d’arte che anche i gruppi di ricerca stanno sperimentando in questi ultimi anni sotto nuove modalità, come per esempio ha fatto Nudocrudoteatro in “La città, horror vacui”. Il gruppo, dopo “L’Isola”, torna all’opera dell’autore e disegnatore svizzero Armin Greder, parlando della fatica che costa crescere e, soprattutto, lasciar crescere.
L’occhio e l’orecchio dello spettatore (munito di cuffia) sono stimolati allo stesso modo nello spettacolo, posto in un teatrino da marionette, entro il quale si muovono oggetti inanimati: sagome, ombre, proiezioni, mani e braccia, accompagnate da voci sommesse che si intersecano tra loro, in una specie di concerto tra voci e immagini. “La città, horror vacui” narra con poetica potenza la relazione fra amore e possesso tra una madre e il proprio bambino, che proprio “nell’horror vacui” della perdita della madre impara a crescere.
Il lavoro continua in modo coerente l’estetica teatrale che Alessandra De Santis e Attilio Nicoli Cristiani stanno portando avanti da diversi anni verso un teatro svincolato da canoni prestabiliti.
Allo stesso modo fa Antonello Cassinotti di DelleAli con lo spettacolo concerto “Vocifonie”, che possiamo dire ben rappresenti una specie di summa della ricerca che da anni questo solitario artista, inesausto e poliedrico, sta portando avanti riguardo all’uso della voce ma non solo. Con uno sguardo all’indietro verso le avanguardie, Cassinotti imbastisce con i preziosissimi e altrettanto significanti inserti video di Fabia Molteni un concerto visivo e sonoro di indubbia efficacia.
Con la sua sola nuda voce, seguendo le orme di alcuni grandi maestri (Antonin Artaud, Demetrio Stratos, Roy Hart) Cassinotti produce una sequenza di tableaux vocali che sono, per dirla con il performer, “veicoli possibili per liberare la voce da sterili convenzioni… suoni vocali che non danno retta alle leggi dell’armonia e incarnano la nostra animalità, la nostra misteriosa interiorità, quella che si trova a sud dell’anima… quel sud che è infanzia e primordio… urgenza”.
Lorenzo Baronchelli, Michele Cremaschi, Michele Eynard, Pierangelo Frugnoli, Federica Molteni, con l’aiuto dell’antica arte scenica di Giovanni Locatelli nel ruolo di Prospero e con la musica dal vivo di Francesco Zaccaria e Diego Zanoli, hanno voluto cimentarsi nell’impresa titanica di trasporre, con il loro bagaglio di ottimi attori, spesso impegnati sul lato comico, quasi integralmente il capolavoro scespiriano.
Il risultato è molto discontinuo, anche se il gioco del teatro nel teatro permette ai teatranti di vivere spesso a proprio agio tutti gli innumerevoli personaggi che compongono questo testo. Secondo noi avrebbe giovato maggiormente allo spettacolo proporre un ‘pastiche’ dell’opera, condensando il ritmo delle trovate in uno spazio e in un tempo più consono alla pur lodevole impresa a cui si sono votati.
Interessante lo spunto da cui prende vita lo spettacolo di Teatro Inverso “Joy” di e con Roberto Capaldo e Davide D’Antonio.
Due personaggi alquanto improbabili interagiscono con gli oggetti sparpagliati sulla scena. Uno vuole accumularne, l’altro sbarazzarsene. Il confronto tra i due, a cui concorre anche il pubblico, offrendo incautamente anch’esso oggetti, cresce sempre più forte, finchè ai donatori non viene chiesta una scelta estrema: sacrificare il proprio oggetto o eliminare fisicamente uno dei due attori.
Joy dunque è una performance che si sviluppa in stretta relazione con il pubblico nel tentativo di “esplorare ironicamente il paradosso del vivere per riscoprire il significato profondo delle cose”. Ma tutto rimane molto in superficie, e resta solo un gioco – seppur interessante – che avrebbe però bisogno una drammaturgia più mirata e significativa.
Aida e Figure Capovolte con “Madri concerto di sbagli e intimità” ha reso un omaggio bello e sentito alla figura della madre, operato in unisono da quattro donne: Francesca Albanese, Silvia Baldini, Laura Valli e Swewa Schneider, sull’elaborazione drammaturgica e musicale della Baldini. Un vero e proprio concerto operato coraggiosamente, senza orpelli di sorta, dal loro corpo e dalla loro voci, che si intersecano scomponendosi e ricomponendosi in un intreccio di frasi, pensieri, poesie, precedute da immagini e interviste significative prese sul campo. Il risultato è uno spettacolo intenso, poetico e ben costruito nella sua apparente semplicità.
Molto, forse troppo, composito ci è parso invece l’ambizioso progetto che Araucaima teatro (gruppo che ci aveva letteralmente entusiasmato con il suo “Foch”) ha tratto dal Caligola di Camus.
Il regista Alberto Salvi rivive la vicenda esistenziale del controverso e tormentato imperatore romano, dividendola simbolicamente in quattro passi: disperazione, recita, divinità, morte; dove riemergono dai suoi incubi i principali personaggi del dramma, Cesonia, Elicone, Scipione e Cherea.
Molto importante, come nello stile della compagnia, il commento musicale operato dagli stessi attori, che interpretano canti popolari friulani e il suggestivo “Miserere di Sessa Aurunca”, una delle preghiere più famose del Cristianesimo.
Il risultato però, pur nella sua preziosa e meditata particolarità, ci sembra algido, più un esercizio di stile, dove la figura del protagonista non ci pare risulti in tutta la sua complessa modernità.
I personaggi delle opere di Piero Chiara, Liala e Guido Morselli fanno da cornice ad un discorso che allude alla creazione artistica nel bel lavoro di Teatro Periferico “Umido vento. Gli autori del lago: atmosfere, colori e personaggi”.
I protagonisti, attraverso una bella drammaturgia di Loredana Troschel, escono dalle pagine dei loro autori per rivendicare un proprio diritto ad esistere, immersi con diverse ed efficaci invenzioni registiche di Paola Manfredi nelle umidi atmosfere dei laghi da cui hanno tratto ispirazione.
Pur nella differenza dei risultati, gli spettacoli visti in questa edizione di Luoghi Comuni testimoniano la vitalità del giovane teatro lombardo, e l’intenzione del festival che ha il merito diffonderla.