Tra le prime assolute delle nuove produzioni della compagnia viste in quest’edizione, “Giudizio, Possibilità, Essere” di Romeo Castellucci, variazione per palestre del suo “Four Season Restaurant”, e “Tifone”, di Chiara Guidi e Fabrizio Ottaviucci, anteprime di lavori di artisti che gravitano nel territorio emiliano (le proiezioni acustiche di “Voicescapes”, di Rinaldi/Malatesta), e poi soprattutto l’incontro con l’altro, sconfinando dall’ambito più strettamente teatrale e disseminandosi anche oltre gli spazi del Teatro Comandini di Cesena.
Ginnastica per quattordici corpi femminili amputati di lingua e alla ricerca del gesto esatto, disciplinato, è “Giudizio, Possibilità, Essere” di Romeo Castellucci: giovani donne che si allontanano dal presente e al contempo lo confutano attraverso i versi di Holderlin e la mimesi con la statuaria neoclassica. Rinnovare l’eresia di Empedocle modulando tempi, spazi e azioni aldilà delle categorie di pre-giudizio.
Se ne vanno i corpi, restano le loro voci. “Giudizio, Possibilità, Essere” è partitura sonora e coreografia ostinata nella sua essenzialità dilatata di forme plastiche che si congelano in pose fuori dalla vita su palco. L’azione è sospesa nella figura ostentatamente statuaria.
Studiatissima la semiotica degli arti, straniante lo smarcarsi della mimica facciale dalle voci che in playback escono dagli speaker interni. La mancata sincronia è spaesamento del soggetto, paradossale cortocircuito di una squadra-compagnia che, nel ripetuto scambiarsi di ruolo e di corona, trasferisce al prossimo il proprio senso di colpa.
Panorama eccentrico e trasversale, quello di Màntica, con attenzione ai linguaggi nel loro radicalizzarsi in forme eccezionali per perseveranza della ricerca e per presa di posizione del loro posto nel mondo (nella continua disposizione a perderlo, questo posto, per trovarne uno migliore o ulteriore): in primis la sovversione dei luoghi e dei linguaggi deputati, di cui è carico il nuovo lavoro di Castellucci; e la ricerca vocale al limite e aldilà del senso di Chiara Guidi, in questo caso bilanciata (o creativamente sbilanciata) dall’altrettanta radicale ricerca compositiva a cura del pianista Fabrizio Ottaviucci.
E poi ancora la parola mistico-poetica di Mariangela Gualtieri (“Le giovani parole”), la partitura fisica di estrema e morbosa esattezza della coreana Geumhyung Jeong (“7 ways”), la meta-danza ostinata e disturbante di Silvia Rampelli (“Or” di Habillè d’eau), il virtuosismo fatico del sassofonista Colin Stetson, la molteplicità esorbitante di scatti e fotogrammi raccolti da Alessandro Scotti per i suoi “Urban Edge”, fino all’esigenza di ricreare “un alfabeto gestuale che coinvolge il corpo nelle sue potenzialità coreografiche”, il progetto “Everyone gets lighter, All!” di Kinkaleri.
Tutte a loro modo prove di forza e resistenza psico-fisica, atti carichi d’una accezione performativa imprescindibile, riscontrabile anche negli incontri critici a cura di Claudia Castellucci (da segnalare le “Utopie vocali” di cui ha parlato Lucia Amara) e nell’attenzione al cinema nella sua forma meno canonica, quel documentare la quotidianità del mestiere, con attenzione al dettaglio apparentemente meno importante, e alla metodicità che sfiora la riverenza, il trasporto e la passione che si dedica ad una fede, tipico tanto dei lavori che Alain Cavalier ha dedicato a figure di “artigiane” particolari, quanto della determinazione di lunga durata che la ricerca della Socìetas stessa testimonia.
Vi lasciamo alla nostra photogallery del festival (foto di Salvatore Insana).