Il Marat-Sade di Punzo. Danzando nella gabbia cieca della reclusione

Marat-Sade

La follia altro non è che parossismo dell’emozione. La recensione dell’allestimento di Armando Punzo del Marat/Sade di Peter Weiss

Marat-Sade
Marat-Sade edizione 2008

Armando Punzo, regista e anima trainante della Compagnia della Fortezza, nella conferenza stampa di presentazione dello spettacolo a Castiglioncello, racconta come circa trent’anni fa, passeggiando per le strade di Milano, si fermò davanti alla vetrina di un negozio in cui era esposta una scatola da scarpe. Dentro la scatola c’erano dei topini piccolissimi, che si agitavano in continuazione e ballavano roteando su se stessi in un ritmo vorticoso. Punzo li definì “topini-dervishi”. Rimase colpito da quest’immagine, poi per lungo tempo rimossa.
Oggi afferma che il suo “Marat-Sade” ha molto a che fare con quei topini-dervishi.
Difficile, a priori, capire cosa intenda: aspetto così di vederli sul palco questi topini-dervishi, o quel che Punzo ha fatto di loro.

La scena, costruita con tubi innocenti quasi fosse un cantiere aperto, si illumina, mentre il volume di una musica dal ritmo ossessivo sale, martellante, e tornerà per tutta la durata dello spettacolo, accompagnata e incalzata dal suono di un tamburo e dai campanelli del banditore. La scena è polverosa, cancerosa di vite consunte nell’inazione della reclusione.
La prima vera azione, forse l’unica, è costruirsi la prigione, innalzare la gabbia dalla quale cercare di fuggire, da cui appellarsi al pubblico, attraverso la quale guardare fuori come al riparo da troppa commistione con la vita, quella vera.

Il testo di Peter Weiss mette di fronte Marat, l’uomo-rivoluzione e De Sade, l’uomo-trasgressione, l’uomo liberato. Dentro la gabbia (un’altra) del testo, Punzo tesse la trama della poesia inutilmente tragica della reclusione e della mancanza di speranza: del cerchio cieco. La libertà e la rivoluzione, scelte reali e consapevoli per De Sade, utopico futuro per Marat, diventano ossessione dei reclusi, che girano in circolo senza riuscire a trovare la via d’uscita, la propria strada.
Il mefistofelico De Sade-Punzo diviene cerimoniere e regista di una danza vorticosa che sempre riporta al punto di partenza, danza circolare che scava un buco in cui scompaiono il desiderio, la libertà e la rivoluzione.
La follia altro non è che parossismo dell’emozione: qui si innesta l’alto valore emotivo di lavori come quello della Compagnia della Fortezza, dove ciò che si porta in scena è la specificità di una condizione umana particolare, in questo caso quella carceraria, e l’esemplificazione della condizione umana in generale, perché, come dice Punzo, le carceri di fuori sono ancora più estese e subdole di quelle istituzionali.
La rivoluzione, quindi, si configura quale atto mancato, incontro fallito tra lo spirito e la sua meta. Qui si incontra il teatro e il suo senso: dionisiaca liturgia, forza creatrice di un mondo altro. Dalla danza circolare emerge il caos, disordine primigenio, creatore di nuova vita. Perciò il direttore non può far altro che calare il sipario, oscurare la scena.

Lo stare rinchiusi è una condizione che non porta a niente, che non risolve niente.
L’idea, se non agita, è una gabbia dalla quale non si esce.
Si gira in tondo. Come i topini-dervishi dei ricordi di Punzo.

MARAT-SADE
da Peter Weiss
regia: Armando Punzo
Compagnia della Fortezza
musiche: Pasquale Catalano
scene: Valerio Di Pasquale, Gianni Gronchi, Armando Punzo
costumi Daria Guerrini, Carmen Lòpez Luna, Luisa Raimondi
durata: 58’
applausi del pubblico: 4’ 05’’

Visto a Castiglioncello, Castello Pasquini, il 7 marzo 2009

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