Minchia di re è un pesce ermafrodita che i siciliani chiamano anche Viola di mare. È un pesce maschio che per amore diventa femmina, depone le uova, e poi ritorna maschio.
“Minchia di re” è anche il titolo del romanzo del giornalista e scrittore trapanese Giacomo Pilati, riadattato per il teatro dall’attrice, cantante e autrice marchigiana Isabella Carloni.
Rimasta folgorata da questa lettura, la Carloni è letteralmente volata in Sicilia per chiedere all’autore i diritti per poterlo rappresentare a teatro; una sincronicità curiosa se si pensa ch’erano stati appena venduti anche per farne un film, “Viola di mare” appunto, diretto da Donatella Maiorca.
La vicenda raccontata da Pilati mette in moto grandi forze creative, una mobilitazione vera e propria, come se i fatti narrati generassero – soprattutto tra artiste donne – un’urgenza: ritrasmettere appassionatamente la storia, farla conoscere, divulgarla.
Questo è tanto più significativo se si pensa che il libro è ispirato a fatti reali, che hanno per sfondo la Sicilia della seconda metà dell’800, quella del Risorgimento, delle camicie rosse di Garibaldi e del sogno dell’Italia unita, un passaggio per nulla indolore specie per le genti del meridione, così distanti per geografia e cultura da quelle del nord.
Nell’isola di Favignana, una ragazza di nome Pina s’innamora di un’altra donna, Sara. Per poter vivere questo amore contro tutti e tutto, sfuggendo alla furia del padre e alle infamie di paese, si camuffa da uomo, diventando Pino, e accetta di vivere travestita da maschio per il resto della vita. Con la nuova identità, Pina eredita anche il potere che prima era del padre, capo delle cave di tufo, e soprattutto impara a “sentirsi” fisicamente uomo: gambe larghe, cicca in bocca, fasce strette sul seno e un’imbottitura di stoffa tra le cosce, lì, nel cavallo dei pantaloni.
La sua nuova identità viene suggellata dall’omertà del paese e da un ricatto al prete, che pure ha i suoi segreti da nascondere. Basta cambiare allora il certificato di battesimo, dire che ci si è sbagliati, mettere una stanghetta nella “a”, e dire che è una “o”, e Pina diventa Pino.
Ora Sara se la può anche sposare. Ma per la ragazza il prezzo di questa ribellione in nome dell’amore sarà la condanna a un’eterna mancanza d’identità, a uno “stare sbilenco, un continuo e rischioso camminare sul filo, un incespicare dentro abiti estranei che si appiccicano addosso come una seconda pelle – come racconta l’attrice/regista – Un irrimediabile esilio da sé”.
Lo spettacolo, una coproduzione di Rovine Circolari Teatro e di Arti e Spettacolo dell’Aquila, presentato ad Ancona nell’ambito della stagione OFF/side, è un progetto che vede Isabella Carloni (già interprete per alcuni grandi nomi del teatro italiano, da Servillo ad Andrea Adriatico, da Cecchi a Baliani) coinvolta a 360°, come drammaturga, interprete e regista.
È un viaggio nel più puro e distillato teatro di narrazione.
Nella scena, pensata da Giancarlo Gentilucci, solo una panca e una sedia: un vuoto riempito a tratti da improvvise scritte di luce, proiettate per titolare i passaggi della vicenda, come finestre che si aprono per farci sbirciare sulla vita di Pina/o.
La vicenda viene attraversata, o meglio rievocata, dalla protagonista come se tutto fosse già avvenuto, mentre attende di posare per un ritratto che la immortali – finalmente – vestita da donna (nonostante non ricordi più nemmeno come s’infila un abito da femmina).
Il passato prende forma e corpo attraverso flashback e memorie, raccontate in prima persona o attraverso personaggi che riemergono da un magma lontano, fantasmi che si reincarnano solo per qualche istante. Sono tanti quelli coinvolti nella vicenda, tutti fautori delle sorti della ragazza come in un gioco delle parti: il padre padrone, la madre che s’inventa il ricatto al prete, il cieco Centomogghi assoldato per ingravidare Sara, e soprattutto il vecchio esule Cecè, incontro luminoso e rivelatore per la ragazza: sarà lui infatti a dirle che lei è come una Viola di mare, il pesce maschio e femmina insieme, voluto così da Dio.
Minimalismo. Essenza. Rarefazione. Parole che restituiscono l’atmosfera di un allestimento a cui chi scrive ha scelto di assistere per tre volte, dalla prima prova aperta della scorsa estate ad oggi. Uno spettacolo che, consapevole, rinuncia: rinuncia al non-indispensabile, alle grandi azioni, alle passioni urlate. Le sequenze narrate sono quelle funzionali a restituire tridimensionalmente vicende, personaggi e paesaggi, ma distillati. Lo spazio è circoscritto in spostamenti esatti e rigorosi che rivelano passioni e tormenti solo attraverso sfumature, con giochi trasversali di sguardi e minuziosi cambi di ritmo.
Anche le proiezioni di luce si limitano a scandire i capitoli della vicenda e a scolpire suggestivamente il corpo della protagonista mentre li attraversa, rinunciando a tutte le altre possibilità offerte dal mezzo. Perché sarebbe un surplus secondo questo progetto di regia lineare, severamente sfrondato del non-indispensabile.
Le sonorità dello spettacolo, quasi tutte originali eccetto una suggestiva incursione del violoncello di Giovanni Sollima, sono affidate a un percussionista d’eccezione, Alfredo Laviano. E le musiche sono dentro la narrazione, non agiscono come un sottofondo ma scandiscono il fluire della memoria come un intervento drammaturgico.
I costumi di Stefania Cempini fungono da anatomia di un corpo ricostruito, partendo dalle bende strette sul seno, al ceppo di stoffa nelle mutande, fino all’abito scuro da uomo rispettabile. A far da contraltare l’abito femminile che, diversamente da quanto proposto nel finale del film, resterà vuoto. Perché Pina non esisterà più.
MINCHIA DI RE
di e con: Isabella Carloni
dall’omonimo romanzo di Giacomo Pilati
interventi sonori: Alfredo Laviano
assistente alla regia: Mariella Lo Sardo
scene: Giancarlo Gentilucci
costumi: Stefania Cempini
disegno luci: Daniela Vespa
foto di scena: Paolo Porto
organizzazione: Tiziana Irti
produzione: Arti e Spettacolo – Rovine Circolari Teatro in collaborazione con Provincia di Ancona e Comune di Castelfidardo
durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 1’ 58’’
Visto ad Ancona, Teatro Studio alla Mole Vanvitelliana, l’11 febbraio 2011