Nella «casa di bambola» della giovane e già affermata regista ungherese Kriszta Székely non c’è «la piccola biblioteca con libri rilegati splendidamente» con cui Henrik Ibsen immaginava di introdurre gli spettatori nel caldo focolare della famiglia Helmer.
Non c’è il salotto «accogliente e pieno di gusto, ma arredato senza lusso» plasmato su misura per i personaggi, bensì un soggiorno qualsiasi, come quello che chiunque di noi potrebbe avere: la regista 35enne, ospite con successo di pubblico della stagione dello Stabile di Torino, allestisce uno spazio che è ibseniano nelle premesse ma dove si annidano fremiti diversi, perché non è più l’Ottocento, bensì un’affettata, e annuvolata di menzogne, contemporaneità. Non c’è sole nel giorno di Natale a casa Helmer.
La Székely (Presidente dell’Associazione dei registi ungheresi) porta dal Teatro Katona di Budapest al Teatro Carignano di Torino un “Casa di Bambola” che taglia, che non teme di farsi estrarre fra le righe una febbre emotiva ora pruriginosa, ora necessaria: l’intensità interpretativa di Nora (una splendida Eszter Ónodi) non è ossequio al grande nome di Ibsen, ma è l’esacerbazione di un malcontento che l’autore narrava con maggiore cautela.
Nora, la piccola «allodoletta» di Torvald, l’apice della delusione e dell’esasperazione lo raggiunge, lo supera e la conduce fuori dal quel focolare. La gabbia della casa (vezzosamente addobbata per il Natale, festa “di famiglia per bene” par excellence, ma anche piena di alcolici) è la gabbia della sua libertà e del suo cuore di donna quarantenne, e non solo di moglie e madre. Lo suggerisce la musica di sottofondo, eseguita live da un giovanissimo duo, che evoca tensione e aspettativa (già) delusa. Per questo nella scena finale, quando Nora decide finalmente di andarsene, Torvald la massacra di insulti dopo aver scoperto i di lei stratagemmi per garantire il benessere economico familiare – come osa, lei, mettere in discussione quel fragile tepore? Come può svelarne il nulla?
Torvald è un fallito, la loro vita è ipocrisia: a chiusura dello spettacolo è solo tenebra alle spalle della donna, e la chiama fuori da quel salotto, al di là del bene e del male.
Sulla scena luci e costumi nitidi restituiscono lo stretto necessario: divani, piante, sedie, un caminetto – l’insostenibile leggerezza della menzogna, il tenue chiarore della sofferenza che opprime.
Nella sua ora e mezza, “Nora/Natale in Casa Helmer” ci mostra con estrema maestria tutte le rifrazioni dell’anima amareggiata della protagonista femminile. Ed è un ritratto ancora oggi necessario; ce n’è bisogno eccome di parlare di donne. Per la coppia Nora e Torvald provare a “sedersi e parlare” diventa superfluo perché il confronto, la riflessione, il reciproco ascolto nuotano sopra l’abisso della loro messinscena. A che scopo perseverare nel mimetizzarsi per il bene della famiglia quando, a ritmo di rock sessantottino (e con una verve sconosciuta a Ibsen), Nora si trova a cantare – a chiedersi – don’t you need somebody to love?
Da vedere.
NORA/NATALE IN CASA HELMER
di Henrik Ibsen
con Eszter Ónodi, Ernő Fekete, Tamás Keresztes, Réka Pelsőczy, Gergely Kocsis, Koppány Varga, Zorkavarga, Emil Engárd, András Himmler, Álmos Szalai
regia Kriszta Székely
scene Juli Balázs
costumi Fruzsina Nagy
luci József Pető
musiche Flóra Matisz
drammaturgia Ármin Szabó-Székely
assistenti alla regia Réka Budavári, Márton Sütheő, Katona József Színház
durata: 1h 35′
Visto a Torino, Teatro Carignano, il 17 marzo 2019
Prima nazionale