Officina per la Scena: i Giganti pirandelliani e la necessità del teatro

I giganti della montagna di O.P.S. (photo: teatrostabiletorino.it)
I giganti della montagna di O.P.S. (photo: teatrostabiletorino.it)
I giganti della montagna di O.P.S. (photo: teatrostabiletorino.it)

Lunghe didascalie descrivono l’ambientazione in apertura al testo de “I Giganti della Montagna” di Luigi Pirandello (“Villa, detta “La Scalogna” dove abitano Cotrone con i suoi Scalognati”), senza che vengano omessi dettagli ed uso di similitudini: il cipresso, “ridotto per la vecchiaja nel fusto” e su in cima “come una spazzola da lumi” od il rossastro colorito dell’intonaco di una villa signorile ora decaduta solitaria nella vallata.

La prolissità dell’extra-dialogico è in Pirandello ben più che parte accessoria alla realizzazione scenografica (ce lo ricorda il capocomico di “Sei Personaggi in cerca d’Autore” quando pretende che la didascalia della messa in scena vada letta insieme alle battute): immersi nei suoi occhi, lo spazio immaginifico si dilata sui volti dei personaggi, si sporge dalle loro bocche, si sposta con le loro azioni, imprescindibile dall’atmosfera di “automatismo fantastico impuro” (Guglielminetti) che determina il surrealismo pirandelliano.
O.p.s. Officina per la Scena, in prima nazionale con la propria versione de “I Giganti della Montagna” al Teatro Gobetti di Torino per la sezione-novità di questa stagione “Il cielo su Torino” (dell’ampia partecipazione delle realtà torinesi agli appuntamenti del Teatro Stabile di quest’anno, vi avevamo parlato in apertura di stagione, in occasione del debutto del Falstaff di De Rosa), rimane fedele alla preziosità didascalica dell’autore, pur rinunciando alla materialità ingombrante di ogni scenografia tradizionale.

La dimensione onirica, che disegna il profilo disilluso dell’enigmatica commedia-mito, viene dipinta per evanescenti tratteggi sullo sfondo della scena, schermo delle video-pitture live dell’artista Stefano Giorgi, i cui giochi d’inchiostro e d’acquerello creano fondali illusori ed effimeri, leggeri, colorando d’irrealtà questa metaforica “Villa Scalogna”. Le figure del live-painting si trasformano esse stesse nei fantasmi cui danno vita le magie di Cotrone e i racconti dei suoi Scalognati e si sciolgono anch’esse nel buio dell’ “arsenale delle apparizioni” (atto III), anch’esse “al limite tra la favola e la realtà”.

Una scelta, quindi, che rende pienamente giustizia, ed esalta, l’amara riflessione sul teatro che traspare ne “I Giganti della Montagna”: una compagnia di teatranti, la compagnia della Contessa Ilse Paulsen, giunge smarrita, e ormai dimezzatasi, alla Scalogna, con l’illusione di poter allestire l’opera “La Favola del Figlio Cambiato” (altro testo pirandelliano, il cui inserimento è qui nuovamente riconducibile al costante metateatro dell’autore), la cui messa in scena, motivo di riscatto artistico e sociale per Ilse, è costantemente ostacolata dalla rozzezza e dall’ignoranza del pubblico e del mondo, incapace ormai di apprezzare il teatro poetico. 

Ridotti in miseria, i teatranti si amalgamano agli Scalognati in un gioco circolare di maschere, tra finzione e realtà che, come suggerisce O.p.s, oppone l’idea “intransitiva” di teatro, difesa da Cotrone nell’isolamento della sua villa, a quella “transitiva” di Ilse di un teatro pubblico che si realizzi in mezzo agli uomini. 

E’ l’immortale attualità di questa fiaba filosofica incompiuta a spingere Officine per la Scena a sceglierla, tra le tante opere di Pirandello, per dar vita ad una riflessione sulla necessità del teatro nella società del nostro tempo, i cui (il-)logicismi sono fautori di un’innegabile e progressiva emarginazione da “scalognati” cui siamo destinati dalle attuali condizioni di precarietà. 

Tuttavia l’emarginazione degli Scalognati, cui si fa riferimento, non è quella coatta prodotta dai meccanismi sociali, quanto piuttosto la conseguenza di un adattamento alla follia, all’assurdo e all’irrazionale di gente in esilio, sgombra della mediocritas esistenziale del buonsenso e risparmio (lo ricorda bene O.p.s, citando Tessari) che si può trasformare in liberazione, “privilegiata mendicità”.

Si assiste quindi ad una lettura profonda ed intelligente del testo, si potrebbe dire “sentita”, eppure, nonostante queste premesse, la messa in scena de “I Giganti della Montagna” si rivela fragile, difficoltosa, incapace di sostenere la durata di un testo complesso e lungo, riportato quasi integralmente sul palco del Gobetti.

La costruzione dei personaggi resta superficiale ed abbozzata, il recitato troppo frettoloso: la conoscenza pregressa del testo diventa allora funzionale alla comprensione del “che cosa” avviene sulla scena per non smarrirsi all’interno di un “piano-sequenza” che, eliminando ogni passaggio tra gli atti, non riesce a smaltire il sovraccarico dispersivo dell’interazione tra i personaggi, né a creare dinamismi tensionali capaci di un coinvolgimento emotivo.

Sarebbe forse stato necessario soffermarsi sugli elementi di pausa del recitato, curare la gestualità, l’uso dei corpi nello spazio ed il movimento puro, sfruttando con un ritmo più variegato le interazioni fisiche degli attori con le video pitture live di Giorgi sullo sfondo, od inserire elementi mimici d’intercapedine tra i serrati momenti dialogici, altrimenti posti caoticamente sulla scena, ancor più innaturali dell’“innaturalezza” voluta nel creare protagonisti di finzione marcatamente caratterizzati da bizzare “storture”.

Interessante però, sul profilo dei risultati drammaturgici, l’interpretazione dei personaggi tramite i doppi ruoli affidati ai singoli attori, i cui passaggi sarebbero sottolineati dall’uso di maschere e posticci, a favore della continuità ininterrotta del verbale e dell’azione scenica: una soluzione che non solo snellisce quantitativente le presenze sceniche, ma dona anche risvolti interpretativi nuovi alla commedia di Pirandello. S’infittisce così il meccanismo metateatrale del testo attraverso la creazione di un’ulteriore dimensione di finzione recitativa, e la Contessa e Cotrone, gli unici personaggi fissi della messinscena, appaiono ancor più soli, isolati in uno scontro dialettico privo di veri partecipanti, che si fa dunque acre e prepotentemente diretto. 

Officina per la Scena parte da buoni presupposti, non certo facilitata da un’opera così verbale come “I Giganti della Montagna”, né dalle soluzioni attorali scelte dalla compagnia, ma dobbiamo riconoscerle il suo essersi messa alla prova, come forse proprio richiede la “Necessità del Teatro”.

I GIGANTI DELLA MONTAGNA
di Luigi Pirandello
con Maria Augusta Balla, Cecilia Bozzolini, Luca Busnengo, Chiara D’Anna, Francesco Gargiulo,
Paola Raho, Valentina Volpatto, Stefano Giorgi (videopitture dal vivo)
regia: Michele Guaraldo
maschere Franco Leita
scene Laboratorio OpS
luci Davide Bertorello
costumi Deborah Gambino e Cristina Voglione
produzione: O.P.S. Officina Per la Scena/Panta Rei Collective LTD/LAb.Acqua
con il sostegno di Sistema Teatro Torino e Provincia

durata: 1h 40′
applausi del pubblico: 2′

Visto a Torino, Teatro Gobetti, il 22 novembre 2014

Prima nazionale

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