Quanto dura un istante? Due mezzi istanti, o tre terzi di istante…
E’ questa l’essenza della ricerca compiuta dalla autrice e performer veronese Chiara Frigo, classe 1975, nel suo “Takeya”. Un lavoro che ha per protagonista il tempo, inteso non come entità astratta o come super tiranno che relativizza tutte le altre unità di misura. Ma, al contrario, il tempo indagato e determinato direttamente dal corpo del danzatore che, attraversandolo, lo palesa anche al pubblico. Facendo diventare quell’istante di tutti.
Quello della Frigo in “Takeya” è un corpo lieve ma scandito e puntuale, che pare un pentagramma. È una danza compiuta da seduti, ma piena ed intera. È una performance che esclude la narrazione, rinuncia a raccontare, ma ammalia. È un lavoro sul ritmo, sulla velocità, o meglio “sul rapporto tra la velocità fisica e quella mentale”, sospesa tra dilatazioni ed accelerazioni, che vuole far cogliere il senso ed il peso di un intervallo di tempo estremamente breve, all’interno del quale però può collocarsi l’infinito.
Una lingua di palco sottile. Una sedia. Alle spalle una piccola parete simil-plexiglass. Tutto qui. Il resto è attesa del tempo, ascolto del tempo, indagine del tempo, messa in scena del tempo. Perché un “istante” non è fatto d’aria, ma può essere fermato e fotografato dal corpo che lo attraversa. Come? Con due guizzi, tre torsioni di polso e uno scorrere del braccio tra i capelli, ad esempio. Che poi si raddoppiano, quadruplicano o dimezzano per restituire il senso materiale di quello stesso istante.
Tutto nella performance della Frigo sembra concorrere alla precisione dell’oggetto indagato: nulla di vago, nulla di abbandonato al caso, tutto scolpito e definito, anche se lieve e leggero, dove pure il respiro e il frusciare dei capelli ricci sembrano obbedire alle leggi della fisica, in un gioco che infrange l’irreversibilità del tempo.
“Takeya”, quinto appuntamento del festival marchigiano Civitanova Danza, già vincitore del concorso GD’A XL Veneto e della piattaforma Aerowaves di Londra, è un lavoro che sa coinvolgere e a tratti incantare, rivelando una ricerca lucida e consapevole attorno ad uno specifico tema assunto come compito.
La seconda parte dello spettacolo, “Much”, frutto di una residenza creativa a Civitanova e presentato in prima assoluta, è la naturale evoluzione dello studio intrapreso con “Takeya”, frutto della necessità di portare avanti il processo creativo di indagine sulla costrizione già avviato.
La protagonista lo affronta in una scena rarefatta, color sabbia, spezzata solo da colonne sottili di luce che diventano “materia” quando si trasformano proprio in colonne di sabbia, suggestivamente calata giù dal soffitto. Il palco diventa così una sorta di non luogo animato dalla presenza di vari performer, ognuno con la propria “velocità esistenziale” (quella che contraddistingue un flemmatico da un sanguigno, verrebbe da dire).
La performance, presentata sottoforma di studio, è una sorta di “Sistema Aperto”, come afferma la stessa Frigo, “che ha già una vita propria, come un organismo vivente: esiste al di là di quante persone e quali decideranno di abitarla. Persone che si soffermeranno il tempo necessario per lasciarsi guardare così come sono, ognuno al punto in cui sta”.
Takeya female version + Much
di e con Chiara Frigo
musica: Random.Inc e Alva Noto
disegno sonoro: Mauro Casappa
disegno luci: Leonardo Benetollo
scenografia: Chiara Frigo e Giordano Bezzi
Much è interpretato da Chiara Frigo, Lucia Mascino, Massimo Trombetta, Marta Ciappina
durata: 17′ + 20′
applausi: 1′ 57”
Visto a Civitanova Marche (MC), Teatro Annibal Caro, il 15 luglio 2009