Teatri Stabili. È tempo di regali

Regali di Natale
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Regali di Natale

Nei mesi passati si era fatto un gran parlare, nella capitale, delle possibili nomine alla direzione del Teatro di Roma (Argentina, India, Tor Bella Monaca, Biblioteca Quarticciolo). In una rete teatrale piena di buchi come quella italiana, i centri di produzione sono la chiave per far ripartire il motore, la batteria di quel defibrillatore che tanto ci serve. Fortunatamente negli ultimi anni sono fiorite le realtà locali, alcune delle quali hanno saputo costruire da zero piccoli imperi di autodifesa contro la fossilizzazione delle idee. Ma i teatri stabili sono un organo costituzionale ed è giusto che da loro si pretenda ancora di più.

Rese già deboli dalla chiusura dell’Eti, le nostre aspettative hanno assistito a uno slideshow di nomi papabili. Per quanto riguarda Roma si era sentito parlare di Gigi Proietti e Luca Barbareschi. E pensare che una delle domande fondamentali del teatro contemporaneo è se le istituzioni sappiano o meno che cosa succede oltre le poltrone di velluto. I due nomi citati non sarebbero stati una risposta confortante.

Nel giro di un tempo minimo è emerso poi il nome di Gabriele Lavia, attore e regista con un curriculum di quasi cinquant’anni nel quale è difficile scorgere una defezione rispetto, in particolare, ai cartelloni dello stabile romano. Il 20 dicembre si è insediato il nuovo Cda del Teatro di Roma (presidente Franco Scaglia, vice presidente Massimo Pedroni, consiglieri Debora Pietrobono, Pamela Villoresi e Franco Ricordi) che ha nominato all’unanimità Lavia direttore artistico. Nella conferenza stampa di presentazione si è parlato della volontà di riconoscere una “identità produttiva nazionale”. Per l’assessore alle Politiche culturali del Comune Umberto Croppi «il segno tangibile della volontà di restituire al Teatro il suo ruolo di centralità nell’offerta culturale della città di Roma». Per conto suo, Lavia risponde a tutte le domande di rito con queste parole: «Io sono stato scelto perché sono regista e attore, venire qui senza dirigere o recitare mi sembra una sciocchezza. Io reciterò e farò regie ma senza mettere cancelli».

È vero, tanto temevamo l’ingresso in cartellone di spettacoli firmati Proietti, quanto invece Lavia è sempre stato presente e la cosa ci spaventa meno. Anche perché la vera partita non si gioca solo sui cartelloni, ma sulla capacità di contribuire a ricucire quella rete con gli altri stabili e, ancor di più, con l’estero, frontiera che potrebbe e dovrebbe essere – anche qui costituzionalmente – uno dei propulsori nel viaggio verso un teatro all’avanguardia. Mi si passi il termine.

Lavia si dice intenzionato a tendere una mano ai «ragazzi che si accostano al teatro. Non hanno mai visto Benassi, Paolo Stoppa, è come non aver mai mangiato un babà al rum». Potremmo rispondere che molti degli universitari che studiano il teatro moderno e contemporaneo non hanno idea di quello che davvero stia succedendo in Italia, in parte anche per responsabilità degli Stabili, più attenti al velluto delle poltrone che a chi le occupa.

Nel frattempo, duecento chilometri a sud di Roma si combatte per la recente “defenestrazione” di Andrea De Rosa, che è stato e non è più (perché ormai la decisione è presa) il più giovane direttore artistico di uno stabile, il Mercadante di Napoli. L’esperienza con la prosa e la lirica ha fatto di lui un direttore molto amato, al quale va di certo riconosciuta una particolare attenzione per il teatro di ricerca (vedi il cartellone del neo-annesso Teatro San Ferdinando).

Se Roberta Carlotto, direttore dello stabile napoletano fino al 2008, ritiratasi poi per ragioni personali, aveva accolto la nomina di De Rosa come «un ulteriore passo di grande coerenza, in linea con il percorso di scelte di figure e personalità di nuova generazione del panorama contemporaneo», qualcuno deve averla pensata diversamente: il contratto di De Rosa lo avrebbe visto in carica fino al 2013, salvo ripensamenti del Cda. Appunto. Come un fulmine a ciel sereno, il consiglio ha eletto un successore (o dovremmo dire un rimpiazzo?) inaspettato, Luca De Fusco, già direttore decennale dello Stabile del Veneto. Anche De Fusco aveva fatto un buon lavoro, per quanto improntato alla tradizione più che all’innovazione, ma stiamo parlando di un decennio (2000-2010) che era la preistoria del taglio finanziario. Come direbbero i militari, il vero valore lo si vede in trincea, non in accademia.

Poi, proprio mentre le pagine dei giornali non fanno che parlare di parentopoli, ecco che viene fuori la stretta amicizia tra De Fusco e Gianni Letta. Non ci permetteremmo in questa sede di denunciare una scorrettezza di carattere politico, ma possiamo senz’altro dar conto delle reazioni alla nomina di De Fusco. Il Mercadante e i suoi sostenitori si sono letteralmente divisi in due fazioni. Nel Cda composto da Sergio Sciarelli, Laura Angiulli, Giulio Baffi, Francesco Barra Caracciolo, Giuliana Gargiulo e Maria Azzaro, solo l’ultimo nome ha espresso un voto contrario, con il seguente commento: «La mia decisione nasce dal totale dissenso nei confronti dell’orientamento assunto dagli altri colleghi del Cda e dal suo Presidente Sergio Sciarelli. Oggi è stato compiuto un atto gravissimo nei confronti del Teatro Stabile e della sua storia che, se pur breve, ha rappresentato un’esperienza straordinaria nel panorama nazionale. Dispiace che l’immotivata cacciata dell’ottimo direttore De Rosa, che per contratto doveva restare in carica altri tre anni, sia avvenuta con il voto favorevole degli altri esponenti del centrosinistra e con motivazioni – una crisi economica non certo dovuta al lavoro del direttore – usate con il palese scopo di nascondere le vere ragioni: far posto ad un nuovo direttore, Luca De Fusco, gradito alla nuova maggioranza che governa Regione e Provincia». È dunque davvero un problema politico?

Mentre De Fusco raccoglie consensi (da Massimo Ranieri, Lello Arena e Lina Sastri), molte sono le voci di dissenso: Toni Servillo, Emma Dante, Antonio Latella, Umberto Orsini, Sergio Escobar e Mario Martone che, in una lettera pubblicata su Il Mattino, si scaglia contro il nuovo arrivato, definendo “grigio e convenzionale” il suo teatro e additando una “spregiudicatezza politico-amministrativa”, di fronte alla quale chiede addirittura le dimissioni del Cda. 

I consiglieri di centrosinistra Angiulli e Baffi rispondono a Martone, che li invita a dimettersi: «Francamente sono sgomenta di fronte a questo attacco – risponde Laura Angiulli – Mi dimetterò soltanto nel caso che il cartellone proposto da De Fusco non dovesse piacermi».
Ci sono poi le parole di Alessandro Gassman, che è succeduto a De Fusco alla guida dello Stabile del Veneto: «A mandato scaduto, l’incarico non gli è stato rinnovato dal Cda, che riteneva arrivato il momento per una svolta artistica e generazionale rappresentata dal sottoscritto. Nel caso napoletano un direttore viene sostituito in corsa con un contratto ancora valido per tre anni e alcuni buoni risultati ottenuti». Politically correct. Fatto sta che a mettere un punto alla questione politica è ancora una volta Azzaro, che lancia una frecciatina: «L’arte della politica è mediazione e qui la mediazione non c’è stata. A un certo punto il Comune ha dato un’indicazione diversa. Va bene, la destra fa il suo mestiere, ma il centrosinistra? Aveva tutti gli strumenti per opporsi all’imposizione di De Fusco e non l’ha fatto».

Nel frattempo il Teatro Duse di Bologna ha vissuto una commovente ultima serata il 18 dicembre, e Carlo Cecchi viene nominato nuovo direttore artistico dello Stabile delle Marche.
Siamo sul punto di chiudere un anno in cui molto è accaduto nella politica italiana, in particolare in quello che chiameremmo stato sociale della cultura, il cui cuore è rimasto deciso se non altro nell’intenzione di continuare a battere nonostante i colpi ricevuti. Ma la fibrillazione continua, e non sempre i rimedi – che siano della nonna o del chirurgo – bastano a regolarizzare le pulsazioni. Oltre al consuntivo dell’anno passato occorre presentare il bilancio preventivo di quello a venire. Ma oggi è la vigilia di Natale. E a quanto pare, in molti hanno già ricevuto regali.

Leggi la lettera di Andrea De Rosa


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