Ore 20 del 22 marzo 2010. Primo appuntamento delle “Sondes”. Entro nel Tinel, lo stupendo teatro modulare (palcoscenico in basso e gradinata) ricavato nell’antico refettorio dei certosini, di cui conserva ancora intatti parte della struttura e degli affreschi. Nel palcoscenico, in alto, un unico dispositivo scenografico di grande impatto, installazione mobile: un satellite metallico-multischermo. Metafora dello spazio, moltiplicatore di immagini o parete opaca. Per ogni Chartreuse News Network (CNN) cambia posizione, disegnando e sezionando lo spazio scenico in modo più o meno efficace e significante. Nella platea, tra il pubblico, le postazioni: computer dove campeggiano luminose e bluastre immagini della Terra vista dallo spazio. Dietro gli schermi, ragazzi e ragazze. Più ragazze che ragazzi.
Nell’arco dei quattro giorni di “Sondes” vengono presentati cinque CNN. Quattro i macro-temi trattati: “I Morti e i Vivi”, “Le scale di misurazione della catastrofe”, “Haiti Anno Zero”, “Che significato diamo alla catastrofe?”, e attraverso questi una pluralità di sfaccettature di punti di vista: dallo sguardo sulle vittime (morti e dispersi) e delle vittime (le testimonianze di haitiani), allo sguardo esterno (il mondo spettatore e il mondo in azione per la catastrofe). Da una parte gli scienziati del Centre national d’études spaciales, dall’altra i molti volti degli aiuti umanitari, slancio e buona fede, ma anche il cinismo della speculazione delle imprese – già attive per ricavare affari d’oro anche da questa tragedia – e il patetismo del mondo dell’entertainment: come rinverdire con un’iniziativa benefica un’immagine appannata.
Vari e con gradi diversi di complessità, originalità e efficacia i dispositivi scenici realizzati, processi artistici a tendenza “aperti” e non spettacoli. Forme drammaturgiche varie, con stili e registri multipli, spesso ibridati, proteiformi: da un teatro mimesi della realtà, fra realismo e narrazione, al teatro astratto, del gesto traccia semantica, delle parola rarefatta e evocativa, quando non puro suono. Tecnologie come da attesa altamente impiegate, con compresenza di vari supporti video, tecniche di ripresa, registrazione e riproduzione del suono, sofisticati, integrati e – in alcuni casi – con un alto coefficiente artistico innovativo.
Interessanti i tentativi di ‘risemantizzazione’ dell’oggetto quotidiano, come nella proposta dedicata alla scala Mercalli: uno stand appendiabiti, un vassoio con bicchieri, una scala, un tavolino. Su questi oggetti si esercitano le azioni delle attrici, vengono scossi e rovesciati, nei secondi di durata del sisma, e a più riprese, in un’escalation di gravità, uniti alle azioni delle attrici, così che contemporaneamente sono il sisma che si scatena e le cose e le persone travolte dal sisma.
In questa direzione, e nella tensione di rapporti di distanza terra-spazio, va l’azione di ricostruzione in fieri del sistema solare, a terra sul palco, con uso di materiali quali un recipiente, un cumulo di zucchero, oppure un arancio (il sole), ripresa e proiettata su un grande schermo da un performer in una prossimità esplorativa, di particolare effetto, di contatto-sguardo.
Indubbiamente più realizzato, in rapporto alla questione della globalità, il dispositivo che, sfruttando la dimensione circoscritta e aperta creata dai pannelli semitrasparenti del satellite posto a terra, ha messo in scena una drammaturgia composta e scomposta dalla compresenza di azioni di diverso segno e contesto situazionale, in un assemblaggio polifonico di vari materiali: immagini, suoni, testi, rituali riprodotti. Due attrici sono prese nel rituale di lavare e disporre in un sudario il corpo di un uomo, un’altra simula l’intervento/confessione di una scienziata coinvolta nel monitoraggio del sisma, un attore cerca di disegnare su un cavalletto e continuamente viene interrotto da sussulti. Suggestiva l’azione, captata in video, di un corpo in caduta, proiettata e moltiplicata in un ossessivo e circolare ripetersi di cadere, rialzarsi, cadere. Infinità della catastrofe, mentre la misurazione dello spazio, della terra, del palco, del corpo umano, motivo riproposto con varianti in numerosi dispositivi, sembra il tentativo di dare una scala di valori della dimensione della catastrofe. In tutti questi casi, l’impressione è che i dispositivi afferrino il tempo dell’attualità e trovino un modo di rappresentarlo fuori dagli schemi narrativi tradizionali dei media.
Troppo facili, invece, le imitazioni della satira tipica del talk show televisivo di alcune proposte.
Rimane la sensazione che i dispositivi scenici, per necessità aperti, dovrebbero esserlo in alcuni casi ancora di più e che la questione di quale sia la nuova forma drammaturgica da creare per rispondere all’attualità non sia aggirabile.
L’esplorazione continua con il progetto performativo Asteroide, che risulta più compiuto formalmente e semanticamente. Valérie Cordy, nelle sue cinque performance-asteroidi, presentate alla fine di ogni CNN, dà piena attuazione alla metafora del satellite, punto di vista capace di dominare il flusso. In un gioco di identità ironico e problematico, Valérie – trasformata in asteroide – viagg