
L’Ubu Buur di Marco Martinelli non è teatro. Perché? Innanzitutto perché gli attori non sono attori. Ma adolescenti senegalesi che, prima di incontrare il Teatro delle Albe, il palco non l’avevamo mai visto né sentito nominare.
Martinelli e i suoi si portano dietro dieci anni di laboratori con i ragazzini ravennate, una tournée che dal 1998 porta in giro lo spettacolo I polacchi, rielaborazione dell’Ubu Re di Jarry con la formula fissa: Ubu-Mandiaye N’Diaye, Madre Ubu-Ermanna Montanari e i palotini-coro di adolescenti.
Dalla Ravenna afro-romagnola (nel 1986 a Bagnacavallo, 29 chilometri da Ravenna, le Albe dicevano che “siamo tutti marocchini” perché la Romagna è un pezzo di Africa andato alla deriva e finito per incastrarsi nel mezzo dell’Adriatico…) sono passati a Chicago e alla cultura hip hop, e poi a Scampìa con il progetto Arrevuoto. E allora perché non sbarcare anche in Senegal, nel paese natale di Mandiaye, a Diol Kadd? Niente acqua, si lavora seguendo il ritmo del sole, 300 anime e un numero indefinito di bambini che si arrampicano sugli alberi per vedere le prove. Ma, alla fine, sanno a memoria tutte le battute dello spettacolo.
L’Ubu Buur di Martinelli non è teatro perché lo spazio dove lo spettacolo è stato immaginato, costruito, vissuto non è un palco, ma 30 x 40 metri di terra con in mezzo un gazebo in piena savana. Perché anche questi palotini africani – un misto tra piccoli stregoni capaci di magie arcaiche e children/soldier dall’atrocità facile – seguono il metodo della ‘non-scuola’, dove il teatro non si impara, ma si fa e siamo tutti asini sapienti, tecnici di Dioniso, il Dio del sesso, del vino, della vita.
Non è teatro perché la lingua parlata è un fluido e vitale mischiare di suoni: il wolof di Padre Ubu e la sua corte, il francese dell’occidente, di Bordure-Roberto Magnani, servitore ansimante e scodinzolante, di Madre Ubu, Lady Machbeth e vecchietta romagnola.
Non è teatro perché l’Ubu Buur di Martinelli è una grande festa. A Ravenna, a Scampìa, a Chicago, dappertutto. È la celebrazione della spinta vitale e dell’esuberanza incarnata dall’adolescenza che può dialogare con il mondo adulto. È un ritorno alla dimensione del rito arcaico, alla communitas. È la consapevolezza che il potere è corrotto, il mondo è guasto ma qui non ci si deve fermare. Con innocenza, ingenuità e forza. Se ci tolgono queste, la festa è finita. E allora, se ne vedessimo di più di non-teatro così, (soprattutto in Italia, soprattutto a Milano) io mi sentirei più tranquilla.
UBU BUUR
dall’irriducibile Ubu di Alfred Jarry
drammaturgia e regia: Marco Martinelli
ideazione: Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Mandiaye N’Diaye
con: Mandiaye N’Diaye (Padre Ubu), Ermanna Montanari (Madre Ubu), Roberto Magnani (Capitano Bordure), Danilo Maniscalco (Re Venceslao)
e con: Boubacar Diaw, Moussa Gning, Mame Mor Diop, Aliou N’Diaye, Aliou Bouba N’Diaye, Cheikh N’Diaye, M’Baye Babacar N’Diaye, Mor N’Diaye, Mouhamadou N’Diaye, Ndiaga N’Diaye, Khadim N’Diaye, Kingsley Ngadiuabe (coro dei Palotini-ribelli), Amadou Sow (Bugrelao), Sofy Dia, Yassin Dia, Paola Faye (Regina Rosmunda), Khadim Dia, Babacar-Faye, Malese Faye, Khadim Khouma, Abdulaye Giulio Sene (Zar di tutte le Russie).
scene: Ermanna Montanari
costumi: Montanari e Roberto Magnani
assistente costumi: Laura Randelli
disegno luci: Francesco Batacchio
suono: Enrico Isola
tecnico di palcoscenico: Danilo Maniscalco
produzione: Ravenna Teatro, Festival des Francophonies en Limousin, Comune di Ravenna, Provincia di Ravenna in collaborazione con Teatro Festival Italia (Napoli), VIE Scena Contemporanea Festival (Modena)
ringraziamenti: A.N.G.E.L.O., Garden Center, Merceria La Beneficenza, Valérie Monnier, Plasticose, Post Post, Sartoria Pasini Zoli, Sporty
durata: 1 h 30’
applausi del pubblico: 10’
Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, il 4 dicembre 2008