Dopo aver “arrevuotato” Napoli con la sua “non-scuola”, Marco Martinelli sta per concludere un’analoga missione a Lamezia Terme. Missione è effettivamente il termine più appropriato perché il fondatore del Teatro delle Albe sembra riesca a compiere piccole-grandi rivoluzioni culturali fatte di teatro e di adolescenti laddove ce n’è bisogno.
Nel 2005, grazie al suo “metodo” che mette in relazione i giovani con la forza immortale dei classici, nacque a Napoli il progetto “Arrevuoto” (in napoletano: metto sotto sopra). Sul palco centinaia di adolescenti, recitarono e reinventarono Aristofane, Jarry, Molière in una realtà che mai si pensava potesse contenere così tanta voce: Scampia, il non-luogo per eccellenza, emblema del disagio e della desolazione che Roberto Saviano e Matteo Garrone hanno poi fatto scoprire al mondo intero.
Da queste voci è emersa Punta Corsara, ormai consolidata compagnia costituita da un gruppo di giovani di talento che tra quegli adolescenti si sono distinti.
Raggiunti gli obiettivi, nel 2009 Martinelli ha lasciato Napoli, considerando conclusa la sua missione.
Ma un’altra realtà aveva bisogno di essere rivoluzionata. Così nel 2010, il regista riceve una telefonata: è Tano Grasso, assessore alla cultura di Lamezia Terme che gli chiede letteralmente di “arrevuotare” la città calabrese.
Come una sorta di passaggio del testimone, sarà proprio Punta Corsara, nata sotto il segno dell’ “arrevuoto” napoletano, con la sua nuova guida Emanuele Valenti, ad avere il compito di aiutare Martinelli a mettere sotto sopra Lamezia. La rivoluzione inizia a gennaio 2011: “Capusutta” è il suo nome e far conoscere la non-scuola a 70 giovani provenienti da diverse realtà, il suo obiettivo.
“Dare potere alle donne, cancellare le disparità tra classi, generi e età, pensare in modo diverso alla ricchezza, alle relazioni, ai ruoli” è stato l’ideale di partenza che si è concretizzato nella riscrittura della commedia di Aristofane “Donne al Parlamento”, in scena al Teatro comunale Politeama di Lamezia Terme i prossimi 20 e 21 novembre.
Come spiega Emanuele Valenti, la scelta del testo è stata dettata dal fatto che “la commedia di Aristofane racconta il tentativo di fondare una società guidata da sole donne, cosa inconcepibile nel quinto secolo avanti Cristo. Leggendo il testo, cercando di capire cosa fosse ancora vivo per noi di quella favola antica, ci è sembrato che oggi le cose non sono tanto differenti, che prendere in giro un potere maschile è ancora dissacratorio e che i tentativi anche ingenui di inventarsi un mondo diverso sono assolutamente attuali”.
Così, esortati da Marco Martinelli nel “far rivivere lo spirito di Dioniso, il sacro fuoco del dio del teatro”, attraverso il suo consolidato metodo non-scolastico, i giovani lametini coinvolti sono riusciti a trasformare il teatro in luogo d’incontro e di messa in discussione.
La rivoluzione è nel rovesciamento, nell’inversione di rotta. Ma cosa succede stando a “Capusutta”?
Ce lo spiega Tano Grasso: “Capusutta è mettere il mondo a testa in giù, rovesciandolo con la fantasia e facendo correre il cuore e l’immaginazione. Capusutta prende i testi degli antichi, da Aristofane a Brecht, e non li “mette in scena”, ma li “mette in vita”. Capusutta è la possibilità di utilizzare il palcoscenico come luogo di libertà, dove tutto è possibile, come nei sogni. A Capusutta puoi assumere tutte le maschere, diventare uomo o donna, vecchio o bambino, fiore e drago e navicella spaziale. E’ una soglia che tutti possono varcare, non ci sono audizioni o provini: l’unica selezione la fa il tuo piacere di starci dentro. Si può anche sbagliare, scoprendo che la parola “errore” è legata alla parola “errare”: andare, viaggiare, rischiare, scoprire. Capusutta sa che “io sono noi”, come dice un proverbio africano, e che l’altro non va ammazzato o eliminato, ma con l’altro ci si può ac-cor-dare, diventare coro. Sta in piedi perché sul palco c’è ascolto e disciplina e attende il momento in cui l’opera si farà insieme agli spettatori, perché anche loro sono parte del nostro coro, il loro silenzio e le loro risate saranno la musica che manca, li attendiamo. Capusutta è una linea che lega l’Italia disunita, parte da Ravenna e passa da Napoli per approdare a Lamezia, e domani chissà, farà il percorso inverso”.
“Questo vorrebbe essere Capusutta – prosegue Valenti – una terra da seminare, di tutti, della città. Una terra che rivede continuamente i propri confini, dove non si insegna ma si partecipa. Un luogo che diventi uno sberleffo all’immobilità, a quelle cose che sembra non possano mai cambiare. Un rito recitato assieme, per darsi coraggio, per farsi passare la paura, la sera prima di una rivoluzione”.