
Una Roma sotto la neve: un paesaggio (raro) che preannuncia quello nordico della fiaba di Hänsel e Gretel. Sarà quest’atmosfera ad accompagnare l’incontro con il regista Vincenzo Manna, vincitore del Premio Scenario Infanzia 2010.
Il giovane regista, diplomato presso l’Accademia Silvio D’Amico di Roma, ci ospita sorridente nello spazio di una sala prove alla periferia della città. Quasi stupito della nostra presenza e di quella della videocamera, forse non ancora così “allenato” ai riflettori puntati su di sé e la compagnia.
L’attenzione se l’è meritata per il successo proprio di “Hänsel e Gretel”.
“La storia di Hänsel e Gretel, pur nel rispetto del plot originario, diviene pre-testo capace di trasmettere suggestioni estetiche e simboliche forti, nel raffinato lavoro di sottrazione visuale e di integrazione con le musiche – spiega la motivazione della giuria al premio – La fiaba antica diventa narrazione attuale mentre affronta i temi dell’abbandono, della fame, della possibilità del riscatto attraverso la messa in comune di affetti e risorse. Lo spettacolo disegna con efficacia l’ambiente fisico e sentimentale in cui si muovono i personaggi, con elementi scenici essenziali ai quali contribuiscono fondamentalmente le ottime prestazioni degli attori, dotati di forti tratti espressionisti dai quali traspare l’attenta osservazione del patrimonio del cinema muto e del teatro magico ed essenzialista contemporaneo”.
Poche righe per sintetizzare i caratteri vincenti del progetto teatrale della nuova compagnia, figlia dell’unione dei gruppi Cassepipe ed Eventeatro.
Cassepipe è una giovane compagnia formatasi nel 2007 con registi e attori provenienti dall’Accademia Silvio D’Amico. Si è già impegnata in importanti messe in scena che hanno esplorato alcuni aspetti del linguaggio teatrale, spostando di volta in volta l’accento ora su uno ora sull’altro dei suoi fattori costitutivi (attore, testo, azione, immagine, gesto, elemento scenografico, suono): oltre a “Misura per Misura”, ha presentato nel 2007 “La storia di Ronaldo pagliaccio del Mc Donald’s” di Rodrigo Garcia, l’adattamento teatrale del “Viaggio al termine della notte” dall’omonimo romanzo di Louis-Ferdinand Céline, i “Monologhi senza lieto fine”. “Il commesso (Paradiso)” di Vincenzo Manna, primo testo di una trilogia dedicata al genere del monologo, è stato presentato all’interno dei Let – Liberi esperimenti teatrali del 52° Festival di Spoleto, mentre “La porta”, sempre di Manna, è la prima produzione ufficiale della compagnia. Seguono “Fari nella Nebbia”, finalista e menzione speciale al 50° Premio Riccione, un lavoro che segna un’importante svolta nella definizione dell’estetica e del linguaggio della compagnia; infine, del 2010, “On Winnie studio su Happy Days” e “Barababuzzi”.
Altrettanto ricca la (seppur breve) carriera del giovanissimo gruppo Eventeatro che, nel 2008, nasce dall’incontro di quattro allieve sempre della Silvio D’Amico. Il gruppo, tutto al femminile, è composto da tre attrici (Elisa Gallucci, Maria Grazia Laurini e Gaia Termopoli) e una drammaturga (Maria Teresa Berardelli, vincitrice del Premio Tondelli 2009). Eventeatro debutta nel febbraio 2010 all’interno della rassegna Let con “Studio per un teatro clinico”, per la regia di Lydia Biondi. Il testo inedito di Maria Teresa Berardelli è vincitore del premio Fersen 2010. Nel giugno dello stesso anno lo spettacolo partecipa alla rassegna Argot Off del Teatro Argot di Roma e al concorso Rossobastardo Live, all’interno del 53° Festival dei Due Mondi di Spoleto.
Da questa unione nasce “Hänsel e Gretel”, scritto e diretto da Manna, a cui dedichiamo la videointervista di oggi, con alcuni spezzoni dello spettacolo.
Creato in vitro appositamente per la partecipazione al premio, il progetto ha imposto la sua forza vitale e presenza sulla scena italiana del teatro ragazzi. Un genere anch’esso nuovo per il regista, che ammette come “il teatro ragazzi è una coincidenza”. Ci si è cimentato così, come una sfida per se stesso, buttandosi nella drammaturgia e nell’adattamento della fiaba classica per rivolgersi al pubblico delicato e complesso dei bambini e degli adolescenti. “Una sorta di presa di responsabilità”.
L’età a cui si rivolge lo spettacolo è ampia, oscillando tra i 5 e i 14 anni, proprio perché il testo e la struttura scenica sono studiati per essere compresi a diversi livelli. Si può virare verso una lettura critica e profonda della psiche umana e delle emozioni, oppure perdersi in quella più piacevole e divertente scandita dalle gag sceniche e narrative, adatte ai più piccoli.
Vincenzo spiega le scelte narrative e tematiche dello spettacolo: in primis la “fame”, non intesa solamente come necessità fisiologica, ma come esigenza affettiva, una fame di tenerezza, presenza e conforto; poi l’abbandono: “Abbiamo messo tutte le altre tematiche da parte: la magia, il mistero, che in qualche modo rientrano, ma come tangenti”.
Un ambiente decaduto è quello in cui è ambientata la storia, in una scenografia scarna composta da soli oggetti di scena, poveri, in cui un palloncino diventa la luna, e ogni oggetto prende vita e forma grazie al gioco scenico. La creatività artistica si affianca alla fantasia infantile, e ogni oggetto si può trasformare in un mondo immaginario, trasportando con leggerezza il peso di valori morali e lasciando scorrere una riflessione profonda sull’esistenza umana, le paure e le necessità di ognuno.
Non esiste un’impalcatura di “effetti speciali”.
Il metodo della costruzione dei personaggi per Manna consiste nel “creare dei caratteri che siano unici, facilmente riconoscibili, ideati attraverso il principio dell’esteriorità, legato al corpo: come cammina il personaggio, la sua gestualità, qual è la sua storia, qual è il suo campo immaginativo…”. Un mondo che si crea direttamente sulla scena e non a tavolino, afferma il regista. Ogni caratteristica diviene così immediatamente riconoscibile.
Per prima cosa nasce il testo: “Il lavoro creativo di drammaturgia è fondamentale a tavolino, un lavoro di scrittura che ha valore drammaturgico in sé. Si sceglie un testo per poi farlo nostro, dandogli nuova vita”. “Io il teatro l’ho iniziato poco tempo fa, fino a qualche anno fa facevo la guida turistica, poi sono stato coinvolto in questo mestiere da una serie di coincidenze casuali […] Per la mia formazione è stato importante andare a teatro, vedere quei pochi buoni artisti che passano in Italia e che mi hanno aiutato a capire il linguaggio teatrale: Danio Manfredini, Giorgio Rossi, Nekrosius, la scuola russa, Peter Brook”.
L’attore, per Vincenzo Manna, è il corpo e il respiro del testo, colui che – a metà strada tra la creatura del dottor Frankestein e i “Sei personaggi in cerca d’autore” pirandelliani – rende reale ciò che nasce come mentale. Tutto ciò non esclude la cura della scena, essenziale, ma altrettanto affascinante, come dimostra lo spettacolo di “Hänsel e Gretel”, avvolta da una musica ricercata e caratterizzata dalle sue sonorità stratificate. Infine l’uso sapiente della luce, a dettare il ritmo scenico, quello delle parole e dei movimenti dei personaggi dai forti tratti espressionisti.
Un lavoro per bambini e proprio per questo, forse, uno spettacolo che ogni adulto non dovrebbe perdere perché, a volte, la ricerca linguistica rivolta all’infanzia lascia trasparire con maggiore chiarezza significati che la complessità del mondo adulto preferisce celare.