
Come la scorsa volta un numeroso pubblico si affolla all’ingresso: danzatori, insegnanti che hanno già condiviso strade professionali e che si ritrovano per l’occasione, ma anche nuovi allievi da poco affacciatisi in questo mondo e amatori in cerca di un approfondimento.
Nuova la formula di questo secondo incontro. La parte teorica infatti vede il coinvolgimento di due giovani danzautori, Anna Basti e Nicola Galli, già presenti nella scorsa edizione di DNA, intervistati e stimolati da Ada d’Adamo rispetto ai percorsi drammaturgici intrapresi nelle loro creazioni.
Due brevi video introducono ai rispettivi lavori e la prima riflessione è riservata a come si modifichi la struttura coreografica nella traduzione per il video di un pezzo danzato, elemento evidente soprattutto nel lavoro di Anna Basti.
Le riprese frammentate e la sottolineatura zoomata dei dettagli del corpo riescono ad esaltare la ricerca poetica intrapresa, un corpo che esce dal nero che lo circonda per tornare alla luce, metafora di un percorso che simboleggia il passaggio da uno stato di disagio a una positività, e che si sostanzierà anche in un passaggio dalla solitudine a una coralità.
Molto più razionale e geometrico Nicola Galli nell’esposizione del suo pezzo “Jupiter and Beyond”, un impianto concettuale che trova la sua ispirazione nell’atmosfera del film “2001 Odissea dello spazio”. Un parlare molto soppesato quello di Nicola, così come soppesata e attenta risulta la sua accuratezza di autore nei confronti della coreografia e degli interpreti a cui l’ha affidata.
Anche questo, come quello di Anna Basti, sarà un progetto che verrà sviluppato in alcune residenze artistiche in giro per l’Italia, in quella che sembra essere ormai l’unica modalità di lavoro esistente, pellegrini dell’arte, questuanti di uno spazio e di un’accoglienza che possa permettere all’opera di arrivare al suo compimento.
Li guardo nella loro gioventù che si sforza di essere profonda, vissuta e mi viene da pensare che la pretesa a cui sono sottoposti stia loro levando la freschezza e lo slancio che la gioventù dovrebbe avere. E mentre le parole mi sommergono, ricordo una frase: “La danza comincia là quando si resta senza parole, completamente perduti e disorientati” e ho come la sensazione che in tutto questo dire e spiegare, la bellezza dell’indicibile un po’ si perda.
Mentre queste sensazioni ancora mi aleggiano intorno, cambia già la scena per accogliere Claudia Catarzi: “40.000 centimetri quadrati”, una pedana posta al centro dello spazio scenico e un corpo che si misura in questo spazio limitato, percorrendone i confini, trovando nel limite stesso la sua ispirazione.
Le scarpe risuonano sul legno e creano ritmi di accompagnamento; quando vengono tolte, liberano la possibilità di trovare una condizione più fluida di movimento, il limite non viene più percorso ma diventa barriera che interrompe gli scivolamenti, fino a che il corpo tracima fuori, rimanendo aggrappato con le mani a quella che d’improvviso diventa una zattera in mezzo al mare, o un’ancora contro il vento che vuole trascinare lontano.
Esce di corsa Claudia ed è già la volta di Elena Giannotti. Anche questo un solo, di diversa qualità. Vissuto tutto per accenni, sguardi mandati e ripresi, sospesi, una indeterminatezza del gesto che accenna e si dimentica di sé, pensiero che vaga, che non sa farsi sostanza permanente, ma sempre si polverizza in successioni minimaliste.
La reiterazione di questa qualità, per quanto interessante all’inizio, non trova però un seguito che riattivi l’attenzione, e nella ripetizione perde di forza e attrazione. Entrambi i soli, pur nelle differenze, peccano un po’ in questo essere troppo monocordi, nel non riuscire in una qualche maniera a mantenere forte l’assunto coreografico iniziale.
La seconda, grazie a quadrati che vengono segnati sul pavimento, porta i partecipanti a misurarsi con la ristrettezza di un luogo così come suggerito dalla pedana di Claudia Catarzi.
Proprio qui risiede la particolarità di questi laboratori, così come la riassume efficacemente Ada d’Adamo, osservatrice attenta di tutto il percorso: “La relazione con lo spettacolo determina un modo di stare nel lavoro e una risposta più efficace da parte dei partecipanti, facendo sì che l’esperienza empatica con il performer arrivi a una concretezza”.
Dello stesso parere Floriana che, dalla parte dello spettatore-allievo, trova come “sia un valore aggiunto proprio la possibilità di misurarsi con quello che si è visto, di approfondirne la portata” oltre la semplicità che la proposta sfoggia sulla scena, frutto comunque di un lavoro che ha permesso alla qualità corporea di crescere e di rendersi fluida e comunicativa. Interessante anche “come si arrivi a una unità di senso pur partendo da proposte visive completamente diverse”, cosa che permette al laboratorio di scorrere in maniera leggera e morbida nonostante il cambiamento di prospettiva intermedio.
Arriviamo così al termine di questa seconda tappa con soddisfazione e appagamento. Nuovo appuntamento a marzo.
W4DNA – Waiting for DNA secondo appuntamento
Frasi coreografiche di Anna basti e Nicola Galli – Riflessioni a cura di Ada d’Adamo
40.000 CENTIMETRI QUADRATI
di e con Claudia Catarzi
disegno luci Massimiliano Calvetti
produzione Company Blu con il contributo di MiBac e Regione Toscana
LO SGUARDO DEL CANE
ideazione Jadec N’Aren
coreografia e danza Elena Giannotti
con il contributo di Max Barachini e Mikel Aristegui
produzione Company Blu con il supporto di Centro Artistico Il Grattacielo Livorno, CSC- Bassano del Grappa, Dance Ireland
DNA movement tenuto da Grazia Grosso
Visti presso l’Opificio Telecom di Roma il 15-16 febbraio 2014