Roberto Corradino: di che cosa parliamo quando parliamo di Cuore

Roberto Corradino
Roberto Corradino
Roberto Corradino (photo: Federica Fioretti – Esterni)

Roberto Corradino, attore e autore, nato a Bari, classe 1975.
L’ho incontrato nella mia casa di famiglia, durante le scorse vacanze di Natale, quando abbiamo registrato la video intervista di oggi.

Questa è, infatti, una storia di Cuore: mancavano allora poco più di due settimane al debutto della nuova produzione di Reggimento Carri, la compagnia fondata da Corradino nel 2000, dopo gli anni di esperienza come attore con Mimmo Cuticchio, Maria Maglietta, Pippo Delbono, Federico Tiezzi e il Teatro Kismet OperA.

Con il Reggimento aveva prodotto nel 2003 “Piaccainocchio”, spettacolo finalista al Premio Scenario e, nel 2005, “Perché ora affondo nel mio petto”, una riscrittura dalla “Pentesilea” di von Kleist. Nello stesso anno, “La commedia al sangue”, dal romanzo “Di questa vita menzognera” di Giuseppe Montesano, in coproduzione con il Festival Castel dei Mondi di Andria.

Dopo lo spettacolo “Conferenza / Nudo e in semplice anarchia”, dal Riccardo II di Shakespeare del 2006, nel 2009 arriva a “Le muse orfane” di Michel Marc Bouchard, e tra fine 2010 e inizio 2011 finalmente “Cuore”, interpretato fra gli altri da Michele Altamura, Riccardo Lanzarone, Francesco Martino, Filippo Paolasini e Gabriele Paolocà.

Lo spettacolo propone alcune delle più importanti sequenze del libro di De Amicis del 1888, ma gli episodi leggendari di Garrone, dagli Appennini alle Ande, la piccola vedetta lombarda, lo scrivano fiorentino, il tamburino sardo, ritagliate dal libro, iniziano a prendere forma e vita propria, iniziando un ragionamento sul presente di tono caustico e vivace.

D’altronde è un po’ questa la cifra di Corradino, in bilico fra sarcasmo e amarezza, dove non sai mai se sta provando a prenderti scherzosamente in giro o se sei tu che non ci arrivi, ma la verità è lì, a portata di mano. In fondo è un invito a non prendersi molto sul serio, ma chi ha visto i suoi lavori sa che l’approssimazione non esiste, che ogni scena è preparata in modo scrupoloso, e che Roberto Corradino è dedito in forma appassionata al suo lavoro.

Così, un classico della nostra letteratura diventa pretesto per raccontare, attraverso voci diverse, l’infanzia d’Italia, la sua adolescenza di ieri e di oggi, per cercare di arrivare a descrivere il suo presente, incastrato fra speranze vane e inciampi da nazione arretrata e imbelle. Perché quella gioventù ardimentosa e rinascimentale pare scomparsa, e oggi l’Italia è un paese per vecchi.
Striderà forse la riflessione proprio in concomitanza con quel 150esimo anniversario dell’Unità nazionale: quell’Italia, la sua miseria ma anche le sue glorie. Gli slanci possibili. Il vigore e lo spunto vitale.

Ma in fondo in fondo siamo diversi? O siamo diversamente uguali?
Ecco, questa è una tipica domanda da Corradino.
Non una di quelle che uno fa a lui, ma una di quelle che lui fa a te. Si capisce quindi che l’intervista diventa ben presto un’avventura.
Ma alla fine il percorso è più interessante, e si finisce il dialogo con qualche dubbio in più da entrambe le parti. “Cominciamo con questo nuovo lavoro, a ragionare di NOI, a parlare balbettando un NOI che è di là da venire. Non un IO dico, quanto piuttosto un tentativo di dire NOI SIAMO.”

Siamo cosa, Corradino?

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