Intervista ad Alberto Jona, direttore artistico di Incanti. Ci parla dell’edizione 2011 appena terminata e delle prospettive future
Presentare a Torino e in Piemonte una panoramica della ricerca e della tradizione del teatro di figura internazionale: è sempre stato questo l’obiettivo di Incanti che anche quest’anno è tornato, organizzato da Controluce Teatro d’Ombre, dal 12 al 18 ottobre con il prosieguo dell’evento speciale con il Bread&Puppet il 28 ottobre.
Nato nel 1994, grazie al sostegno della Regione Piemonte e con la collaborazione del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, si sono aggiunti negli anni la Compagnia di San Paolo, la Fondazione CRT, la Città di Torino, Sistema Teatro Torino in collaborazione con la Fondazione del Teatro Stabile di Torino, il Comune di Grugliasco e la Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani.
Da qualche anno, poi, il festival è stato inserito con alcuni spettacoli nel cartellone di Prospettiva codiretto da Fabrizio Arcuri insieme a Mario Martone.
Accanto alla programmazione per un pubblico adulto, il festival ha sviluppato una sezione rivolta alle scuole e due progetti didattici: il workshop di teatro d’ombre al Castello di Rivoli e il Progetto Incanti Produce (PIP).
Soprattutto Progetto Incanti Produce, dove un gruppo di giovani professionisti del Teatro di Figura, sotto la guida di un regista importante della scena internazionale, crea uno spettacolo nuovo e lo presenta all’interno del festival, ha avuto un grande successo nelle tre edizioni svolte dal 2008, dirette da Eva Kaufmann, Neville Tranter e Frank Soehnle. Quest’anno è stata la volta di Giulio Molnàr.
Il tema di Incanti 2011 è stato Teatro di Figura e Storia, che chiude un progetto triennale in coincidenza con le celebrazioni dell’Unità d’Italia.
L’evento di punta è stato Bread&Puppet, il mitico gruppo statunitense che al Teatro Carignano ha presentato l’ultimo spettacolo sul soldato Manning, accusato di passare informazioni del governo statunitense a Wikileaks.
Non solo gli U.S.A. ma “le Americhe” sono stati i protagonisti di una parte del festival, con gruppi provenienti da Cuba e Canada, mentre le altre nazioni sono state rappresentate da gruppi provenienti da Spagna, Belgio e naturalmente Italia.
In questo senso, in occasione di “Italia 150”, gli organizzatori hanno chiesto a Gaspare Nasuto, Marco Grilli, Vladimiro Strinati e Luca Di Matteo di raccontare con i loro burattini il Risorgimento italiano.
Abbiamo domandato ad Alberto Jona, che con Jenaro Meléndrez Chas e Cora De Maria, cura la direzione del festival, di parlarci di questa edizione e delle sue prospettive future.
Puoi farci un consuntivo di questa edizione del festival in tempo di crisi e alla luce della sua immissione in Prospettiva? Quali le difficoltà, e quali invece i punti di forza?
In questi ultimi anni c’è stato un incremento del pubblico di circa il 25%, quindi a fronte di una crisi economica che si abbatte sulla cultura come una mannaia, la risposta del pubblico è una richiesta e un bisogno sempre maggiore di teatro e di cultura in genere. Certamente l’immissione di Incanti, almeno in parte, in Prospettiva è stato un bel volano, ma l’aumento di pubblico è avvenuto su tutto il festival, anche per quegli spettacoli non inseriti nel cartellone di Prospettiva.
Il problema maggiore invece è la difficoltà di programmare con alcune istituzioni importanti. In epoca di tagli sarebbe fondamentale poter dialogare, poter condividere certe scelte, e non che siano invece imperscrutabili fino al giorno della delibera, che spesso avviene mesi dopo la fine del festival. Ma questo è un problema comune a tutti i festival di “taglia media”.
Prospettive? Cercare di migliorare ulteriormente la sinergia con i partner importanti. Per questa edizione siamo riusciti a trovare con lo Stabile non solo punti di contatto come percorsi tematici ma anche di coinvolgimento, ad esempio per lo spettacolo del Bread&Puppet gli allievi della scuola dello Stabile hanno fatto una giornata di workshop con Peter Schumann e sono andati in scena, modalità teatrale, quella del coinvolgimento delle forze locali, che Schumann teorizza e realizza ogni volta che arriva in un paese straniero.
Teatro di figura e storia. Raccontaci un po’ dell’esperienza vissuta in questi tre anni con questa tematica. Avete in mente altre direzioni?
Le ultime edizioni di Incanti hanno avuto sempre un tema, una sorta di fil rouge che segnava la rotta al festival: la musica, l’opera lirica e poi il progetto triennale sul rapporto fra teatro di figura e storia. Credo che Incanti abbia dimostrato come il teatro di figura possa affrontare e raccontare i grandi temi dell’uomo, esattamente come avviene per il teatro di ricerca o per ogni altra forma di teatro. Anzi, le possibilità immaginifiche del teatro di figura sono tali che possono coniugare elementi che nel teatro di prosa in senso lato non potrebbero abitare. E poi l’elemento tematico è uno sprone anche per noi per costruire e ricercare. Ad esempio il Progetto Teatro Popolare, la piccola – dal punto di vista economico – produzione (oltre al PIP) di Incanti 2011, è stata una scommessa: accostare Pulcinella, Gianduja o comunque le maschere della tradizione al Risorgimento italiano e vedere come lo avrebbero raccontato. Ne è nato un affascinante percorso di ricerca dei quattro giovani burattinai di tradizione, con risultati addirittura eccellenti, come nella piéce di Gaspare Nasuto. Per il futuro certamente ci sono tante idee, ma è forse ancora prematuro parlarne.
Mentre il teatro di figura per adulti negli altri paesi è così fiorente, in Italia fa molta fatica ad avere spazio. Voi avete fatto molto per la sua affermazione; quali secondo te le ragioni di questa difficoltà?
Il teatro di figura è stato per tanto tempo “relegato” nel teatro per l’infanzia, e uso il termine relegato in modo polemico, perché il teatro per ragazzi non è affatto un teatro di serie B. L’ombra, la marionetta, il burattino o l’oggetto sono stati compresi raramente nella loro complessità. All’estero il teatro di figura non è chiuso dentro confini precisi, ma è un campo di sperimentazione a tutto tondo, dall’infanzia fino al teatro per adulti. Certamente non è stata facile questa scommessa, ma il pubblico l’ha recepita e ha compreso da subito le potenzialità narrative, la forza di questo teatro, seguendo il festival con attenzione e grande curiosità: l’aumento del pubblico in questi anni di crisi è un segno forte di una scommessa vinta. Quanto ai problemi che tuttora sussistono, sono legati alla diffidenza che ancora possono suscitare burattini, ombre o marionette. Per fortuna esiste una programmazione che accoglie la sperimentazione del teatro di figura, ad esempio Prospettiva, e mi pare che il pubblico sia assai interessato a incursioni in territori sconosciuti.
Progetto Incanti Produce cosa è stato e quali sono le prospettive future? Ci sono giovani che vogliono impegnarsi nel mestiere?
Il Progetto Incanti Produce è stata una idea nata in seno a Controluce e portata avanti con tenacia da Jenaro Meléndrez Chas. Un percorso formativo e produttivo in cui ogni anno un regista di fama internazionale viene a Incanti e lavora per circa un mese con un gruppo di giovani attori, marionettisti provenienti da tutta Europa, che Incanti mantiene con una sorta di borsa di studio per tutto il periodo di formazione. Il progetto è nato anche grazie a un fondamentale apporto, quello del Comune di Grugliasco e dell’assessorato alla Cultura, che hanno messo a disposizione del progetto risorse, spazi e idee con l’ausilio dell’Istituto per i Beni marionettistici e il Teatro Popolare. Oltre alla Regione Piemonte, che nel 2008 ha appoggiato in modo entusiastico un festival di teatro di figura che oltre a essere una vetrina internazionale si proponeva come propulsore didattico e produttivo.
In questi anni sono venuti a Incanti Eva Kaufmann, Neville Tranter, Franck Soehnle e per l’edizione 2011 Giulio Molnàr. Ognuno con un progetto diverso ma egualmente valido. Prospettive future? Certamente poter andare avanti e trasformare il risultato del Progetto Incanti Produce non solo come uno spettacolo che si presenta al festival una o due volte, ma come uno spettacolo che possa camminare con le sue gambe. Quanto ai giovani interessati al teatro di figura, il numero delle richieste di partecipazione al PIP di anno in anno è aumentato ed è aumentata anche la qualità professionale delle persone che vogliono cimentarsi con quest’arte. La scelta del team per Giulio Molnàr è stata quest’anno quanto mai complessa e difficile. Altro aspetto molto interessante è che la provenienza dei giovani artisti che si presentano al PIP viene da ambiti anche molto diversi: teatro di figura, teatro ragazzi, teatro d’attore e così via, segno che il teatro di figura sta forse entrando nel dna del teatro italiano.
Perchè la scelta di presentare il Bread&Puppet,un gruppo storico ma da molti anni assente dalla scena internazionale?
Abbiamo deciso di chiudere l’edizione di Incanti 2011 con il ritorno a Torino del Bread&Puppet Theater, assente dalla scena piemontese da tempo, perché ci è sembrato un doveroso omaggio a una delle compagnie che hanno segnato il teatro nella seconda metà del secolo scorso e che hanno fatto storia. Per un festival come Incanti che si è dato come tema della XVIII edizione il rapporto fra storia e teatro di figura, ci è parso un must.
Le categorie teatrali del Bread&Puppet e di Peter Schumann sono categorie che forse oggi ci sono lontane ma che ci è sembrato importante poterle ancora incontrare. Il teatro di Schumann è un teatro antico, antico come sono le sue radici, la sua idea di tempo teatrale, la sua idea di straniamento e di teatro popolare. Dietro a una voluta dimensione “dimessa” e “improvvisativa”, c’è la sacralità del teatro orientale, dell’idea di teatro come rito esplicitato anche in modo sbrigativo che non cerca mai la immedesimazione anzi, secondo un principio brechtiano, la rifugge.
Il Bread&Puppet ci invita nei suoi spettacoli a riscoprire una lentezza “sapiente” che abbiamo forse perso, a riconnettere opinione pubblica e teatro, a rifuggire ogni idea estetica del teatro stesso. In un certo senso è archeologia teatrale che richiede al pubblico consapevolezza e proprio per poter comprendere cos’è e cos’è stato il Bread&Puppet abbiamo organizzato un incontro pubblico con Peter Schumann, che è stato illuminante e rivelatore.
Fare teatro d’ombre oggi, nel pieno dell’età post telematica, ha ancora senso? Ci puoi fare una piccola ricognizione della situazione di questo modo molto particolare di fare teatro in campo internazionale?
L’ombra nell’era post telematica credo abbia più che mai senso, non solo come resistenza artigianale a un mondo dove tutto ormai è possibile attraverso le immagini, ma anche e forse soprattutto per resistenza a una certa idea di velocità che fa “planare” sulle emozioni. Rivalutare l’artigianato, la lentezza, e con questo lo stupore, la capacità di rimanere incantati davanti a qualcosa di assolutamente semplice ma mai semplificato, di immediato e insieme complesso per capacità di rimandi e suggestioni. L’ombra – diciamo noi di Controluce – è una sorta di buco nero che lo spettatore riempie con il proprio immaginario. E’ quindi un gesto attivo stare davanti al teatro d’ombre. Questo ci sembra importante in un’epoca in cui l’uso dell’immagine è spesso unidirezionale e acritica.
In ambito internazionale l’ombra è sempre più presente, contamina sempre più altre forme di teatro uscendo dal tradizionale teatro d’ombre. Spettacoli ormai storici come “Light” di Mossoux Bonté, (Incanti 2007), o “Tierra Preñada” di Juan Baixas (Incanti 2010) sono il segno della contaminazione con l’ombra. E’ sufficiente andare a vedere l’edizione di quest’anno del Suspence London Puppetry Festival, dove il teatro d’ombre è presente in modo massiccio, per capire quanto l’ombra sia un capo ancora dove si può ricercare, sperimentare e inventare. Dalla Polonia di Tadeusz Wierbicki alla Germania di Norbert Goetz, dalla tradizione turca e greca all’ombromania indiana, passando per le esperienze europee, l’ombra è un linguaggio presente e più che mai vivo.
Continuerete, come compagnia, a sperimentare sul rapporto teatro d’ombre-musica?
La musica è il nostro mondo, non solo di elezione ma di formazione per tutti e tre i membri di Controluce, Corallina, Jenaro e mia. Quindi è impossibile staccarsi dalla musica, non solo per radici ben salde e piantate nel terreno ma anche per una nostra poetica. L’ombra per noi non parla, l’ombra tace. E’ effimera, inafferrabile, svanisce nel tempo e alla vista, un po’ come fa la musica. Accostare i due linguaggi per noi non è solo una possibilità ma è la possibilità di un incontro irripetibile.