Dalla libreria al palco, il romanzo di Viola Ardone ispirato alla storia di Franca Viola. Con la drammaturgia e regia di Giorgio Gallone
«La femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia, così dice mia madre. Io ero più felice se nascevo maschio…».
È una storia di rivolta ed emancipazione “Oliva Denaro”, monologo di Giorgio Gallone interpretato da Ambra Angiolini, tornato a luglio (a grande richiesta) al Teatro Franco Parenti di Milano dopo le repliche di metà aprile.
L’incipit della drammaturgia ricalca quello dell’omonimo romanzo di Viola Ardone (Einaudi 2021), da cui è tratta. La vicenda in filigrana è quella di Franca Viola, la coraggiosa adolescente di Alcamo che nel 1965 scardinò l’Italietta retrograda del “Codice Rocco”, datato 1931. L’articolo 544 prevedeva l’impunità per l’aguzzino che avesse violentato una ragazza, a patto di proporre il “matrimonio riparatore”. Ad abusare di Franca Viola era stato Filippo Melodia, rampollo di una famiglia mafiosa. Franca rifiutò la “paciata”. Con il sostegno del padre, denunciò Melodia, che finì in carcere.
Anche Oliva Denaro sfida un’Italia ipocrita che ancora oggi confonde vittima e carnefice, e colpevolizza con mille pretesti una ragazza violata.
L’articolo 544 fu abrogato solo nel 1981, insieme all’articolo 587 che legittimava il delitto d’onore. Altri 15 anni sarebbero occorsi perché lo stupro fosse dichiarato “reato contro la persona”, e non più delitto “contro la moralità pubblica e il buon costume”.
Sull’allestimento di “Oliva Denaro” al Parenti, nessuna tetra tonalità. La scena di Guido Fiorato è un tripudio di colori. Un’idea di casa. Un orticello. Un albero d’arancio, e un sacco ricolmo dei suoi frutti. Cassette di legno e bancali. Ortaggi e spighe di grano. Una piccola aia recintata. Una natura innocente e domestica. Le insidie hanno aspetto antropomorfo, e si nutrono dei proverbi che inchiodano la donna a un immaginario servile: femmina che non sgrava si ammala di nervi; femmina che sa troppe cose non è seria; la vanità è figlia del demonio.
Angiolini entra in scena con un lungo abito azzurro pastello. Marco Filibeck disegna luci sobrie: un sole mai accecante, una luna mai spenta.
La regia di Giorgio Gallone non osa guizzi particolari. Si mette però al servizio del testo e dell’attrice, dosando i passaggi enfatici. Guida all’interazione con gli oggetti di scena. Le arance diventano traslati del sangue: come simbolo del menarca; come slancio erotico; come allusione alla violenza sessuale subita. Essa, per quanto efferata e odiosa, non annichilirà la vittima, che troverà la forza di reagire.
L’arte sussiste in quanto catarsi. In “Oliva Denaro” una sorta di realismo magico smorza i toni truculenti. Partecipiamo all’evoluzione di una quindicenne che sogna un posto nel mondo e crea le premesse per un cambio di passo nelle dinamiche di genere. Se la madre di Oliva pare rassegnata a un modello maschilista e misoneista, il padre pratica invece il silenzio come essenzialità e concretezza. E, con discrezione, sosterrà la denuncia della figlia.
Oliva è promotrice di una rivolta gentile. Con naturale spavalderia, cambia gli assetti sociali di un Sud atavico. La sua temerarietà diventerà monito per la sorella maggiore Fortunata che, diversamente da lei, aveva accettato il matrimonio riparatore. Inesorabilmente, la forza d’animo di Oliva contagerà anche la madre e diventerà ardimento per il padre: «Se tu inciampi io ti sorreggo».
Dunque una storia di libertà e riscatto. Che evita retorica, didascalie e gioca sul contrappunto. È questo il senso del repertorio musicale scelto come colonna sonora dello spettacolo, che attinge a piene mani alle canzoni di Mina: da “Città vuota” a “Nessuno”, a “Mi sei scoppiato dentro il cuore”. È lo stesso romanzo di Viola Ardone a evidenziare la distanza tra l’immagine idealizzata dell’amore proposta dall’arte e la crudezza della realtà: «Dalla finestra aperta arriva di nuovo la musica di una canzone, ancora Mina. E penso che le canzonette siano un inganno perché sono piene di giovani libere spregiudicate che accusano i ragazzi addirittura di non averle ancora baciate… mentre nella realtà facciamo peccato mortale anche solo se sorridiamo». Anche le composizioni musicali di Paolo Silvestri corroborano una sensazione di levità.
Le paure come porte da attraversare. Oliva insegna che si può compiere una rivoluzione usando l’affabilità: «Quando non so, ascolto; quando non capisco, chiedo. E quando non mi viene risposto… “non sono favorevole”». Una ricetta semplice. Se la praticassimo tutti, il mondo sarebbe un posto migliore.
“Oliva Denaro” è una storia emozionante. È l’ennesimo j’accuse del teatro al patriarcato. Artisticamente matura, Ambra Angiolini (che collabora alla scrittura) contagia lo spettatore incollandone gli occhi al palcoscenico.
Apprezziamo la tenacia che porta l’attrice a sfogare le emozioni solo a monologo concluso. Le corde del dolore, pizzicate con leggerezza, regalano vibrazioni alla sala.
OLIVA DENARO
Ambra Angiolini
dal romanzo di Viola Ardone
drammaturgia Giorgio Gallione
in collaborazione con Ambra Angiolini
regia Giorgio Gallione
scene e costumi Guido Fiorato
disegno luci Marco Filibeck
musiche a cura Paolo Silvestri
produzione Agidi – Goldenart Production
Un ringraziamento speciale al Teatro Giuditta Pasta di Saronno che ha ospitato l’allestimento dello spettacolo
Con il sostegno del Ministero della Cultura – Direzione Generale Spettacolo
durata: 1h 20’
applausi del pubblico: 5’
Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, il 7 luglio 2024