Manfredi Perego, Daniel Abreu, Jacob Gomez e G.re tra i protagonisti di questa nona edizione
Un festival diffuso rivolto alla valorizzazione dei linguaggi trasversali della danza contemporanea live e della danza in video: è questo il Fuori Formato Festival, evento organizzato dal Comune di Genova e curato da Teatro Akropolis, Rete Danzacontempoligure e associazione culturale Augenblick quest’anno giunto alla sua nona edizione.
Tra le sue particolarità, quella di offrire gli spettacoli a titolo del tutto gratuito, un valore aggiunto che porta il pubblico ad essere estremamente eterogeneo, fatto sì di aficionados ma anche di curiosi, amatori, passanti, esperti e profani. Come indica il suo nome, Fuori Formato si contraddistingue da sempre per una proposta plurale, aperta a diversi linguaggi, talvolta i più lontani tra di loro, altre volte molto affini, con spettacoli site-specific per essere calati nella realtà degli spazi performativi proposti, ovvero “storicamente” quelli della splendida Villa Durazzo Bombrini del XVIII Bombrini di Cornigliano, nell’estrema periferia ponente della città. Quest’anno Fuori Formato si è arricchita, per la prima e l’ultima serata, della corte a logge del porticato del centralissimo Palazzo Ducale in piazza De Ferrari, nel cuore più pulsante di Genova, crocevia di colletti bianchi, turisti, studenti in gruppi, famiglie, e altra svariata e colorata umanità. Noi abbiamo assistito alle prime due serate del festival.
“Totemica” è un solo composto da Manfredi Perego, coreografo con una ricerca originale e coerente nel movimento, per una danzatrice, Chiara Montalbani. Montalbani interpreta una divinità arcaica, un principio ancestrale, un corpo umano che si erge a totem animistico: scarpe da tennis, pantalone nero, maglia color carne effetto nudo, un make-up stilizzato in due righe nere orizzontali sugli occhi, a richiamare l’incisione di una maschera tribale.
Si muove per direzioni oblique, passando da pose angolari, con un richiamo latente e onnipresente alle danzatrici di Nijinsky del suo celeberrimo “Sacre du Printemps”, e per profondi piegamenti che aprono il bacino verso la terra, come una dea madre che partorisce la terra stessa generando la natura, il terreno, i prati. Quasi una madre Gea che prende (e dà) vita dall’immobilità senza tempo verso il presente della performance, come fossimo in un rito sciamanico. Non mancano passaggi di ricerca verso l’aere, con giri vorticanti, braccia che salgono leggere, le gambe che si slanciano in tilt molto aperti, creando un dialogo tra il movimento animale e animista che caratterizza molto lo stile di Perego e alcuni passaggi di grammatica-tecnica squisitamente attinenti alla modern dance più pura, quella pioneristica di Martha Graham: d’altronde non è lei stessa una dea-madre generatrice per la danza e per il teatro del XX secolo?
Diverse riflessioni scaturiscono da questa “Totemica”, che Perego e Montalbani portano con il coraggio di essere sé stessi e di mettere in scena una danza sincera, rischiando il pericolo di risultare, in qualche passaggio, un po’ déja vu: la rappresentazione è pura e sincera, il codice chiaro ma rarefatto, la creatura in scena è chiaramente una divinità ancestrale, anima e animale, algida e furente, carnale e pietrificata, totale, “totemica” per l’appunto.
Segue in prima nazionale “Quema”, dello spagnolo Jacob Gòmez, un duo per un danzatore e una danzatrice. L’idea del coreografo è parlare dell’amore attraverso il racconto di una relazione tra due “vecchi” amanti, nonostante i performer siano due danzatori piuttosto giovani, interpretandolo in una chiave assolutamente ironica, divertita, dissacrante e brillante. La performance inizia con il suono delle campane a lutto, per finire con le campane suonate a festa, mentre nel mezzo si dipana il sottofondo di una cantata, composta da Albert Galindo, che suona come un continuo mantra d’amore.
I due interpreti si incastrano, sedere contro sedere, gambe dentro gambe, secondo formazioni simmetriche, giochi d’incastro e figure originali, si staccano ed eseguono la loro danza, spesso all’unisono, seguendo una partitura fatta di smorfie, sorrisi, ammiccamenti, in uno stile che strizza l’occhio alla queerness e con uno sguardo che appiattisce le differenze di genere, uomo e donna, per sottolineare piuttosto le affinità di animo – o meglio di spirito – fra i due amanti nel loro percorso. L’infilata di passi e gesti racconta una storia sul filo del divertissement e della celebrazione del sentimento, con un tono sprezzante assolutamente memorabile. Una vera boccata d’aria fresca, non priva di una riflessione profonda.
La sera successiva ci spostiamo a Villa Durazzo Bombrini, che ospita il solo “Brote Digital” di G.re e “Mas o Menos Inquietos” di Cìa Daniel Abreu.
“Brote Digital” va in scena nella Sala Camino della villa, quasi completamente oscurata, dove l’interprete G.re si muove in un’oscurità pesante, illuminata lateralmente da due luci tenuissime su un tappeto sonoro elettronico, distorto e rarefatto.
La performer a petto nudo, un corpo e un aspetto non-binary, tanto fuori dal genere da sembrare intersezionale, si muove a fatica, cercando le soluzioni più scomode per avanzare nello spazio, come un insetto che vuole uscire dalla larva, cercando la sua strada sugli spigoli più scomodi del proprio corpo: gli ischi, i gomiti appuntiti, il cranio, le dita, il collo del piede. Una fatica fisica, la sua, che richiama il butoh, ma anche le virtuosità di un certo circo fisico, senza però nessuno scopo di stupire o meravigliare lo spettatore, piuttosto percorrendo una strada verso la ricerca di una propria identità, cercando di esplorare il pavimento e il proprio incarnato attraverso una serie di giustapposizioni fisiche, estetiche, poetiche, figure fisiche quasi astratte dal corpo e al tempo stesso così presenti ad esso, in una sorta di metamorfosi kafkiana – tanto che, in un passaggio, la performer esausta fa colare dalla propria bocca un sottilissimo filo di bava, quasi ad immedesimarsi con il ragno che fila la sua tela.
I minuti dedicati a questo “Brote Digital” sono connotati da un silenzio spesso almeno quanto l’oscurità. G.re tiene il pubblico col fiato sospeso, a respirare e contorcersi insieme, a partecipare alla creazione comunitaria di questa intima e toccante performance.
Ben altra atmosfera per un’altra prima nazionale, “Mas o menos inquietos” di Daniel Abreu, un passo a due danzato nel piazzale esterno della villa, all’ora dell’imbrunire, dal coreografo spagnolo stesso insieme alla danzatrice Carmen Fumero.
Ci troviamo di fronte a una composizione con pochissima contaminazione di linguaggi: un passo a due ritmico, che gioca sulla fisicità più pura e garbatamente atletica dei performer. Vestiti in blue jeans, piedi nudi, t-shirt o camicia a quadri, la danza dei due comincia con un gioco di equilibrio di lunghe e leggere aste in legno, costruzione di strutture precarie e flessibili che lasciano poi il passo ai movimenti dei protagonisti. Molto ben costruita, energica, ritmica, la coreografia non annoia mai, nonostante una ricerca stilistica e poetica non particolarmente innovativa; ma forse la chiave di lettura che tiene il pezzo è proprio una genuinità sfacciata, semplice ma al tempo complessa, potente come le molte prese che sfidano la gravità e le linearità dei corpi, semplice e casual come indossare un paio di jeans.
TOTEMICA
Coreografia: Manfredi Perego
Danza: Chiara Montalbani
Musiche: Paolo Codognola
Luci: Giovanni Garbo
Produzione: MP.ideograms, TIR danza
Durata 24’
Applausi 3’
QUEMA
Coreografia: Jacob Gómez Ruiz
Danza: Joel Mesa, Queralt Farran
Musiche: Jacob Gómez Albert, Galindo Massiel
Durata 15’
Applausi 3’
BROTE DIGITAL (BIANCO-ROSSO)
Coreografia e danza: G.re
Musica: Lucie Prod’homme, Olafur Arnalds
Produzione: Compagnia Arearea2024
Durata 25’
Applausi 3’
MAS O MENOS INQUIETOS
Cìa Daniel Abreu
Coreografia: Daniel Abreu
Interpreti: Carmen Fumero, Daniel Abreu
Collaborazione: Centro de Danza Canal e Festival Quadernos Escénicos (Tenerife)
Durata 20’
Applausi 3’